Silenzio dall’Inps, che attende chiarimenti dal ministero per i cosiddetti "frontalieri al contrario". Quanto agli altri, "attenzione - dice la Cgil - l’ambiguità è rischiosa. E se domani le casse cambiano idea?"
Non capita spesso di trovarsi d’accordo, quando a dividere è una frontiera. Specie se si tratta di quella svizzero-italiana, a marcare non un semplice confine ma le distanze che separano due Paesi impegnati troppo spessi a rimpallarsi responsabilità. Colpa del Ticino che non ha doverosamente a cuore i frontalieri; no, colpa dell’Inps che non vuole dialogare: neanche la questione assegni familiari negati a chi lavora in Svizzera fa eccezione alla prassi cui si è abituati. Eppure, in una situazione poco limpida dove ciascuno accentua i doveri inevasi dell’altro, su una cosa le due parti si trovano affiatate: la ragione di quanto sta accadendo va cercata nell’atteggiamento dissonante delle casse di compensazione ticinesi.
La casse svizzere forzano la mano
Sono loro che forzano la mano e parafrasano le norme a proprio piacimento, dicono i sindacati elvetici Unia e Ocst; il problema non è dell’interpretazione che deve dare l’Inps, fa eco di contro la Cgil, ma di quella che stanno dando le casse. "Fanno fatica a entrare in un’ottica diversa dalla precedente - osserva Matteo Mandressi, segretario Cgil Como con delega alla politiche internazionali dei frontalieri - Continuano a ragionare con l’ottica degli assegni familiari, ma l’assegno unico introdotto in Italia è qualcosa di diverso. Non è legato a un rapporto di lavoro".
Il dilemma: erogare per intero o per differenza
Ciò significa che, in teoria, tutti gli italiani possono richiederlo: compreso il coniuge inoccupato del lavoratore frontaliere, ma anche il frontaliere stesso. Ed è qui che sorgono le preoccupazioni. Perché "che facciamo se un giorno la cassa Ias, che oggi ha deciso a propria discrezione di garantire per intero l’assegno familiare svizzero a due genitori che lavorano in Ticino o a una famiglia dove l’altro coniuge sia senza lavoro, domani cambia idea? In effetti, io la ratio di questa sua scelta fatico a comprenderla: perché garantire la quota intera e non pretendere, come in altri casi, che prima siano richiesti i 50 euro dell’assegno unico in Italia? Perché gravarsi di quest’onere, se lo Ias potrebbe invece erogare solo la differenza dell’importo? In fondo, non sarebbe neanche necessario fare troppi distinguo: si tratterebbe solo di ragionare con la stessa logica precedente, ma su una platea più ampia".
Diritti e doveri del lavoratore
Una scelta poco conveniente, insomma, che potrebbe dunque venire rimangiata da un giorno all’altro, in assenza di una normativa che non lasci adito a equivoci. "Ci troviamo in una situazione in cui è la cassa di compensazione a stabilire il dovere del lavoratore. Le casse dovrebbero essere chiare: io, lavoratore, ho il diritto di sapere cosa vogliono che io faccia. In questo, lo Ias si è comportato bene: si è mosso per tempo, ha studiato la materia e ha dato delle risposte, se non condivisibili quantomeno comprensibili".
Primo marzo: l’Inps deve fare in fretta
Per mettere a tacere tutto e tutti, non resta dunque che affidarsi all’Inps, sollecitandola a fornire quei chiarimenti da troppo tempo chiesti e ormai sempre più urgenti. "Venerdì scorso c’è stato un confronto a Roma con i sindacati italiani, che però non è stato risolutivo. I tempi stringono, il primo marzo è alle porte e abbiamo invitato l’Inps a fare in fretta. Deve dare un’interpretazione definitiva alla circolare che, emessa all’inizio, lascia in sospeso diverse questioni".
Ma anche il ministero del Lavoro latita
Il punto attorno cui si è costretti a girare pare però sia ancora un altro. L’Inps stessa è in attesa: di un responso del ministero del Lavoro, al quale ha chiesto come comportarsi nei confronti dei "frontalieri al contrario": coloro che, dalla Svizzera come da altrove, si recano in Italia a lavorare e con il nuovo Family Act rischiano di essere ancor più penalizzati dei frontalieri dall’Italia alla Svizzera. "In contrasto con le norme comunitarie e con i trattati bilaterali che imputano il pagamento degli assegni al Paese di lavoro - denunciano Cgil, Cisl e Uil - migliaia di frontalieri in ingresso in Italia, ma residenti all’estero, rischiano concretamente di perdere parti significative del reddito e le conseguenti detrazioni fiscali". Pochi, quelli che dal Ticino si muovono verso l’Italia: i numeri non sono certo paragonabili ai 74mila che percorrono la direzione opposta, ma si tratta per questo di una minoranza che rischia di trovare ancora meno solidarietà e aiuto.
Finora, infatti, silenzio.
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