Secondo Edoardo Beretta, professore titolare della facoltà di Scienze economiche dell’Usi «sorge l’interrogativo che i tassi di interesse siano poco efficaci o che presentino tempistiche di trasmissione all’economia più lunghe».
Ennesimo rialzo dei tassi di interesse per i Paesi dell’Eurozona. Nel primo pomeriggio il puntuale annuncio di un incremento pari a 25 punti base che ha portato il tasso principale al 4,00%.
Senza mezzi termini, in conferenza stampa, la presidente della Banca centrale europea (Bce) Christine Lagarde ha messo davanti alla cruda realtà: il rialzo del costo del denaro proseguirà almeno fino a settembre. Poi si valuterà in base alla reazione dell’economia reale. «Abbiamo terminato il cammino? No, non siamo ancora a destinazione. Abbiamo altra strada da fare? Sì», ha detto Lagarde. Mettendo in guardia i mercati, anche se già si sapeva, «continueremo ad alzare i tassi alla prossima riunione. Abbiamo ancora molto lavoro da fare». Quando allora potremo attenderci una pausa?
«Solo quando i tassi di crescita dell’inflazione torneranno ad essere in linea con l’obiettivo del 2% nel medio termine», ci spiega Edoardo Beretta, professore titolare della facoltà di Scienze economiche dell’Usi e professore aggregato alla Franklin University Switzerland. «Attualmente - continua - non è ancora il caso, ma la Bce si attende che le condizioni di finanziamento più restrittive ingenerate dall’aumento dei tassi d’interesse di riferimento contribuiranno a riportare l’inflazione verso l’obiettivo».
Professore, nell’Eurozona apparentemente non si è ancora rotto niente, quanto resisterà la sua economia all’incremento dei tassi?
«Non penso che sia più “in pericolo” ora rispetto ad un qualsiasi altro aumento paragonabile dei tassi d’interesse di riferimento. Piuttosto, ritengo che ci si debba chiedere per quale motivo l’inflazione si attesti (ancora) a livelli così disallineati rispetto agli sforzi messi in campo. La stessa riflessione deve essere fatta non solo in Europa, ma anche negli Usa.
Sorge l’interrogativo che i rialzi dei tassi d’interesse di riferimento siano poco efficaci o che, perlomeno, presentino tempistiche di trasmissione all’economia più lunghe. L’attuale “fiammata” inflazionistica, escludendo la componente geopolitica, è in gran parte ancora ascrivibile agli effetti della pandemia. Ovvero, dalla “domanda di recupero” (revenge effect) da parte degli individui e da un’offerta caratterizzata da “colli di bottiglia”, nonché da “profitti di recupero” dopo tempi difficili. Non dimentichiamolo: il Covid-19 è stato per l’economia una crisi “esogena”, cioè non è scaturita dallo stesso. È, quindi, plausibile che gli strumenti di politica economica comunemente usati siano meno efficaci».
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«Difficile, come sempre, esprimersi. La Bns ha “margini d’azione” maggiori, grazie a tassi d’interesse di riferimento in Svizzera minori rispetto all’Eurozona, ma l’inflazione presenta ancora piccoli segnali di “frenata”. È probabile, dunque, che la decisione d’aumento fra le due sia quella più prudente, in attesa di quella successiva calendarizzata per settembre 2023. Se la Bns si riunisse (come la Bce) su base mensile o quasi – quindi, ancora nel luglio 2023 –, avrei invece ritenuto opportuno confermare i tassi d’interesse di riferimento attuali».
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