«Negli ultimi anni la Bns ha imparato ad agire con misure più decise», spiega l’economista. «Ha imparato ad agire con fermezza per ottenere risultati» nel più breve tempo possibile.
La Banca nazionale svizzera (Bns) ha deciso di non mollare la presa nei confronti dell’inflazione e di contrastarla con l’ennesimo rialzo dei tassi di interesse. Da venerdì il tasso di policy sarà portato all’1,0%, su di 50 punti base come annunciato dall’istituto centrale elvetico giovedì mattina. Si tratta del terzo aumento consecutivo, dopo 7 anni di tasso negativo.
Negli ultimi mesi, l’inflazione ha iniziato ad allentare la sua morsa, lasciando ben sperare soprattutto gli investitori. Ma per la Bns ora non è il momento di abbassare la guardia, piuttosto è necessario mantenere alta l’attenzione per supervisionare l’evoluzione della situazione all’interno e all’esterno dei confini elvetici.
L’aumento di 50 punti base ha colto però di sorpresa diversi economisti, tra cui Luca Soncini, docente di finanza all’Università della Svizzera Italiana (Usi) e membro del CdA di BancaStato che confessa: «Come tutti mi aspettavo l’aumento di un quarto di punto e non di mezzo» Spiega inoltre che «negli anni siamo stati abituati a uno storico approccio fatto da piccoli passi. È anche vero che dopo il 2015, la Bns ha imparato a sorprenderci con misure più decise, forse perché ha compreso che in certi momenti deve usare gli strumenti in suo possesso, agendo con fermezza se vuole che le sue azioni diano frutto. Lo abbiamo visto, per esempio, con il blocco e la difesa del franco svizzero e ancora con l’introduzione del tasso di interesse negativo Speriamo che i risultati che si vedano in periodo di tempo vero, quello che loro sperano».
Soncini, le prospettive di crescita economica sono al ribasso, per il 2023 si parla di un Pil svizzero tra lo 0,5 e l’1,0% con l’inflazione ancora al di sopra della soglia del 2%, come si inserisce questo nuovo aumento del tasso guida?
«È la differenza tra il dato puntuale, o prospettiva di corto termine, e l’obiettivo a medio termine. La politica delle banche centrali mira a una riduzione dell’inflazione e dei rischi ad essa connessi e implica una contrazione delle dinamiche di crescita.
Per la Bns si pone poi un problema in più, da sempre: è difficile non allinearsi alle politiche adottate dalle principali banche centrali, in primis la Bce».
leggi anche
La Bns segue la Fed e porta il tasso guida all’1,0%. Jordan: «Non sono da escludere ulteriori aumenti»
L’azione dei tassi di interesse si riscontra sul lungo periodo. Stiamo assistendo già da settembre un lento ma progressivo allentamento dell’inflazione, quanti altri aumenti ci vorranno prima che la Bns decida di fermarsi?
«Sul fronte della lotta all’inflazione non direi proprio che si possa cantar vittoria, anzi. Sappiamo che cosa è successo sui prezzi di certi beni fondamentali, come per esempio il costo dell’energia per cominciare, ma anche della sanità, senza parlare del costo dello stesso denaro. E ancora non abbiamo visto la lievitazione del costo del lavoro. Eppure tutte le indicazioni che vengono dal mercato del lavoro testimoniano di un generale incremento, perlomeno nominale. È vero che consumi e investimenti non crescono come si vorrebbe, mentre la produzione in molti ambiti gira al di sotto delle proprie capacità, anche a causa dei problemi nella catena di approvvigionamento, per cui è difficilmente ipotizzabile una duratura pressione forte sui prezzi: per questo penso che la Bns si accinga a chiudere presto la fase rialzista».
L’abbandono dei tassi negativi che conseguente ha? Si ritornerà mai a quei valori? Qualche esperto ha dichiarato che è stato un fallimento, è così?
«Per me è stata una scelta coraggiosa e non fallimentare. Un esperimento socio-finanziario che è andato oltre la visione nominale/reale alla quale eravamo abituati. Certo, non sono mancati gli effetti collaterali, le sofferenze, ma il bilancio complessivo per l’economia e la finanza non è negativo. Dobbiamo stare attenti a non attribuire delle colpe ai tassi negativi che in realtà vanno caricate su altri fenomeni e a vedere solo la parte vuota del bicchiere. Il basso costo del denaro ha fatto esplodere i volumi del credito, così come il basso costo dell’energia per decenni ha dato una spinta alla globalizzazione, frenato poi bruscamente dagli aumenti. Anche i debiti pubblici sono aumentati più del dovuto, ma non per i tassi bassi. Io sono del parere che in futuro avremo tassi d’interesse tendenzialmente più bassi, anche per la presenza di più monete decentralizzate, e vedremo più spesso tassi negativi. Il denaro costerà meno».
leggi anche
L’aumento dei tassi di interesse della Bns. Lunati, Supsi: è importante tutelare l’export
Per quanto riguarda il rafforzamento del franco. Sappiamo che in questi mesi ha in qualche modo protetto l’economia svizzera. Come reagirà ora con questo nuovo aumento: continuerà a mantenersi forte nei confronti delle altre valute oppure tornerà a indebolirsi?
«Il franco forte non ha protetto l’economia svizzera. È l’economia, soprattutto l’esportazione, che si è dovuta proteggere dal superfranco reagendo, dimostrando una notevole resilienza. Però è vero che è meglio non immaginarsi che inflazione avremmo oggi con un franco più debole, verosimilmente tra l’8 e il 10% come il resto dell’Europa, e a quali prezzi dovrebbero cercare di vendere i loro prodotti le nostre aziende. E quanta disoccupazione e quanta più povertà. Un motivo in più per essere cauti nel giudicare le politiche monetarie. La Bns si è mossa in acque estremamente agitate, indossando una sorta di camicia di forza - siamo “embedded”, che piaccia o no, nell’Europa - e ha cercato di mediare. Il risultato, ripeto, non è male. Penso che questo livello di parità cambio EUR/CHF, il più importante per noi, sia destinato a rimanere stabile per un po’, grazie anche all’uso dell’altro strumento di politica monetaria a disposizione della Bns e cioè l’intervento sul mercato dei cambi e la vendita di titoli in valuta estera».
Quali conseguenze ha l’aumento dei tassi sulle tasche dei cittadini?
«I tassi d’interesse rappresentano il costo del denaro che è, senza ombra di dubbio, il bene circolante più importante. È il sangue che circola nel “corpo economia”, nel “corpo organizzazione sociale”. Più il prezzo è basso e più circola in fretta. Abbassare i tassi è come prendere un anticoagulante, alzarli significa appesantire la circolazione del fluido.
La lista degli effetti sui vari soggetti economici e sociali è lunga e differenziata a seconda dalla parte in cui uno si trova, in particolare se è, pro saldo, debitore o creditore, se gli interessi li deve pagare o li incassa. A me fanno paura quelli che si sono indebitati tanto, restando su debiti a corto termine (Libor/Saron): e se riprendessero a salire a breve? Da monitorare è comunque l’inflazione, più che i tassi: è lei che penalizza i redditi, specie quelli bassi, e le rendite. “Brucia” i debiti, è vero, ma non velocemente, mentre la velocità con la quale polverizza i poteri d’acquisto è alta».
E sulle aziende?
«Per cominciare vendono meno perché attorno, come detto, il potere d’acquisto cala. Poi i costi aumentano a tutto campo, a cominciare dal costo del credito, indispensabile per gli investimenti e per la gestione corrente. Non per niente la “cost optimisation” è il tema all’ordine del giorno di tutte le aziende, private e pubbliche. Purtroppo ci sono molte più aziende in difficoltà di quanto si pensi».
leggi anche
INTERVISTA Aumento dei tassi, a quando il prossimo? Mirante: «Attenzione a non frenare la crescita»
Comprese le banche e la finanza?
«Le banche vivono fondamentalmente dell’intermediazione tra il denaro raccolto (che normalmente si rimunera) e i piazzamenti (il credito, che genera redditi), più tutto il fuori bilancio e la consulenza (che genera commissioni). Tassi più alti significa generalmente più redditi, basta guardare ai risultati di tante banche commerciali in questi mesi, ma fondamentale è la struttura del bilancio. E infatti ci sono anche banche in difficoltà perché si sono rifinanziate male, a breve. Poi c’è un altro fenomeno: i volumi della finanza sono cresciuti in questi anni grazie soprattutto ai tassi bassi che hanno fatto lievitare i valori dei “bankable assets”, oltre che degli immobili. È un discorso che vale soprattutto per il segmento “Private Banking”, dove gli Asset under Management sono generalmente cresciuti. Con tassi più alti, cambia la musica.
In generale, poi, recessione più tassi in crescita, più inflazione, uguale, per le banche, maggiori sofferenze e perdite. È matematico. Come di sicuro si scopriranno nuove vittime della finanza basata sulla leva e sul costo del denaro basso».
Siamo davvero messi meglio rispetto ai Paesi dell’euro zona?
«Sì, su questo non ci sono dubbi. Basta guardare cifre e indicatori. Vuol dire che siamo ancora forti, resilienti, che abbiamo saputo cogliere le opportunità della situazione difficile con importazioni meno care, costo reale del lavoro al ribasso, mantenimento dei livelli di qualità e concorrenziali. Tuttavia i prossimi 12 mesi saranno decisivi».
Argomenti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Iscriviti alla newsletter