Cambiamento o adattamento a una situazione che degenera? Per l’investment manager di Abrdn, non c’è dubbio: bisogna intervenire. «La finanza ha una missione importante. Nessun settore resterà escluso, a patto che segua la strada delle rinnovabili».
Transizione climatica non è tema su cui farsi trovare impreparati, specie da qualche tempo a questa parte. Non solo per una questione di mero benessere, di sopravvivenza sul pianeta e di qualità della vita nel prosieguo: non ne saranno stupiti gli addetti ai lavori, lo saranno un poco di più quanti restano lontani dal mondo della finanza, ma il cambiamento climatico è qualcosa che incide, in maniera anche pesante, sui mercati. Gli istituti bancari centrali l’hanno anche scritto nero su bianco, dopo attente analisi e fior di statistiche preparate con cura: i problemi ambientali, o i comportamenti virtuosi che li contrastano, sono responsabili anche della stabilità economica e, se il riscaldamento globale non sarà gestito in maniera efficace, non ne andrà solo della salute, della flora e della fauna o dei paesaggi cui siamo abituati. Ne saranno intaccati i bilanci delle istituzioni finanziarie, per esempio, sostiene senza dubbio l’Unione Europea. E giusto per citare solo una delle conseguenze.
Non è venuta in aiuto la guerra in Ucraina, che ha rallentato un percorso in apparenza ben avviato. L’Europa, in particolare, ha conosciuto una brusca battuta d’arresto; e mentre ci si prepara a ripartire, molte restano le incognite. A cominciare dall’inflazione, che entra di prepotenza anche nel simposio in programma a Lugano il prossimo 22 novembre, e in particolare in uno degli incontri che si susseguiranno per l’intera giornata intorno agli ESG. "Transizione climatica in una ambiente inflazionato": titolo suggestivo che vedrà riunirsi intorno a un tavolo di Palazzo dei Congressi, sede della undicesima edizione del Lugano Finance Forum, Matteo Bosco di Conser e Samuel Grantham, Abrdn. Pronti a confrontarsi su sostenibilità, ambiente, governance e ad offrire le loro considerazioni esperte al pubblico.
Grantham, vada oltre l’apparenza e le belle parole. Che cosa c’è dietro la frase scelta per presentare l’evento?
«Il significato va cercato all’interno della condizione economica attuale, dove la guerra in Ucraina e la situazione che si è andata creando l’hanno portato alla ribalta, assieme alla questione della sicurezza enegetica. Che cosa c’è? C’è la ricerca di un equilibrio fra la finanza e il comportamento più o meno virtuoso delle compagnie che la fanno. Bisogna cominciare a distinguere e prendere in considerazioni quelle società che, quotate in Borsa, mettono l’efficienza e la sostenibilità fra le loro priorità».
Perchè il clima è così importante per la finanza?
«Perché il momento è diventato particolarmente rilevante, per quanto riguarda la transizione climatica e ciò che comporta. Gli eventi atmosferici anomali sono sotto gli occhi di tutti e si susseguono con frequenza. L’estate scorsa è stata una delle più calde che si siano registrate, altri fenomeni imprevisti si sono verificati e continuano a verificarsi. E ora di prenderne atto e di "materializzare" ciò che l’uomo sta facendo. Finora, non si è data abbastanza attenzione a un argomento e un comportamento che incide sulla vita dell’umanità. Le strade sono due: medicina o adattamento; curare oppure adeguarsi. La domanda è: che cosa vogliamo fare? Che cosa abbiamo bisogno di fare?».
Si parla spesso del connubio fra finanza e clima. Non si rischia così di dimenticare altre"materie" importanti? E la medicina, la scienza...? In quale modo il clima "vale" di più, nel suo riflettersi sulla realtà finanziaria?
«Per il clima, il momento è topico, tanto che si ragiona anche sui cambiamenti di normative. Perché? Perché la situazione si sta aggravando e ormai non è più possibile chiudere gli occhi e aspettare che tutto passi, senza aspettarsi conseguenze. Pensiamo alla California, alla siccità, all’emergenza incendi: tutto questo ha avuto un impatto significativo anche sulle società finanziarie. Per la prima volta il problema climatico è stato così decisivo da portare alcune società alla bancarotta».
Eppure si tratta di qualcosa che non è cominciato ieri. La strada è stata lunga, prima di arrivare fino a qui. Perché si interviene per bene solo adesso?
«Parliamoci chiaro: se anche oggi fermassimo le emissioni e l’inquinamento, ci sarebbe bisogno di tempo per trovare un equilibrio. Il percorso è lungo. Noi, però, abbiamo bisogno di rimanere concentrati sull’obiettivo. Non abbassare la guardia. Chiederci: Che cosa possiamo fare? Come possiamo aiutare la finanza ad aiutare il clima, attraverso gli investitori e gli investimenti?».
Gli investitori, almeno prima dell’avvento della guerra, sembravano sempre più interessati agli investimenti sostenibili. La guerra è stata così devastante, anche su questo fronte? Oppure potrà agire da incentivo alla finanza sostenibile, dopo averci mostrato il peggio verso cui altrimenti andiamo?
«La guerra è un evento terribile, non c’è dubbio. Difficile trovarle meriti. Ha dato chiaramente il via a un norme cambiamento nella spesa pubblica. Quello che prima della guerra era "verde", ora è "marrone". Molte compagnie sono ad alto rischio. L’attenzione è stata riportata sulle rinnovabili, ma intanto le società sono esposte e il loro futuro dipende dalla Russia. Sul lungo termine, bisognerà ragionare sulle infrastrutture per il gas».
Per tornare al titolo, la guerra che non accenna a concludersi aggrava l’inflazione. Come incide sul cambiamento climatico?
«L’impatto è notevole. Dobbiamo ancora capire con esattezza fino a che punto inciderà sul percorso verso la transizione energetica e dov’è il punto di equilibrio».
Lei che ne pensa?
«Dal mio punto di vista, credo sia urgente capire dove c’è un bisogno cruciale di intervenire e migliorare. Le banche non sono abbastanza sensibili alle green emission. L’80% non prende in adeguata considerazione il cambiamento climatico. Il target dev’essere la decarbonizzazione. Quindi, tornando alle strade da prendere di cui si parlava all’inizio, il 98% dovrà essere cambiamento, il 2% adattamento».
Non solo la guerra ha creato un grande problema energetico. La finanza, oggi, è fatta anche di blockchain. La blockchain è accusata di consumare troppa energia. La salviamo o la buttiamo dalla torre?
«Certo, è vero, la blockchain consuma energia in maniera intensiva. Ma la blockchain è una eccellente tecnologia, che saprà assicurare la propria catena di approvvigionamento. Bisogna solo pensare in maniera rinnovabile».
Grantham, nel frattempo che facciamo: condanniamo tutto ciò che non è sostenibile e lo lasciamo in disparte?
«Io penso sia necessario avere un approccio più realistico. La transizione energetica è un viaggio. Non possiamo e non vogliamo escludere dei settori. L’obiettivo di tutti è la riduzione delle emissioni: è questo il giusto messaggio da inviare».
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