Secondo il coordinatore del dipartimento dell’Educazione, è più risorsa che minaccia: vietarlo con la scusa di un possibile uso disonesto sarebbe un errore. «Bando piuttosto al catasfrofismo: non allontaniamo i ragazzi dalla tecnologia, aiutiamoli invece ad adeguarsi al meglio al cambiamento»
Ha soltanto pochi mesi di vita, almeno sulle carte che l’hanno presentato al mondo. Era il giorno 3 novembre 2022: e, com’è scontato, da allora non ha smesso di far chiacchierare. Di suscitare ora stupore, ora ammirazione diffidente, ora paura e anche un poco d’ansia - e forse più. Disprezzo mai: prevale il fascino, verso quel qualcosa che non si capisce ancora appieno e che si teme, in apparenza superiore alle facoltà dell’uomo e capace, magari un giorno, di diventarne contraltare. ChatGPT è tutta e "solo" questa cosa qui, che non poteva che far parlare di sé a ogni pie’ sospinto e accrescere parimenti i suoi consensi e i suoi dissensi, i fautori e i detrattori: specie là dove promette di farsi beffe dell’uomo. La scuola in primis, dove uno strumento in grado di creare testi efficaci al posto degli allievi potrebbe vanificare ogni principio educativo.
O forse no. Non è di questo parere, quantomeno, Emanuele Berger, direttore della Divisione della scuola e coordinatore del Decs, che, ancora circospetto ma affascinato, prova a metterne in luce le potenzialità in senso positivo. Perché, è risaputo, il male non è nelle cose ma nell’uso scorretto che se ne può fare. Da qui poi tutto discende: e soprattutto gli argomenti a favore di uno strumento che ha tutte le carte in regola per essere d’aiuto all’umanità, invece che nemico.
Direttore, se le dico ChatGPT, qual è il primo pensiero: risorsa o minaccia?
«Come dipartimento dell’Educazione, siamo venuti a conoscenza di ChatGPT solo da poche settimane. È prematuro dirlo. Personalmente, mi sento di esprimere anzitutto stupore e curiosità: è l’intelligenza umana che ha creato l’intelligenza artificiale di ChatGPT. Allo stesso tempo, però, esprimerei anche preoccupazione».
Preoccupato per chi: i giovani, la scuola, la loro educazione?
«Non tanto per la scuola, ma per la società e per gli usi poco virtuosi e poco democratici che possono essere fatti di strumenti, quali ChatGPT, nel campo della disinformazione e della manipolazione».
Come dipartimento, avete intenzione di prendere posizione al riguardo?
«Direi che è presto per prendere posizione ufficialmente».
Ci avrete però sicuramente riflettuto su. L’intenzione qual è: quella di lasciare libere le scuole o di emanare delle direttive?
«Prima di pensare a direttive o divieti, il caso di ChatGPT conferma la necessità di educare alla conoscenza della tecnologia, dal punto di vista tecnico, ma anche sociale e culturale, e all’uso consapevole. Si tratta di un orientamento che il Ticino sostiene già da tempo e che occorre continuare a seguire, su più piani».
Quali?
«Il primo è quello della conoscenza dell’oggetto ChatGPT, rispettivamente dell’intelligenza artificiale, che devono entrare tra i temi e i concetti trattati a scuola durante le lezioni».
Vuol forse alludere alla possibilità che ChatGPT sia utilizzato in classe, a scopi didattici?
«Questo è il secondo piano al quale mi riferivo poco fa: l’integrazione nella didattica dello strumento ChatGPT. Credo ci siano molte opportunità da cogliere, anche perché, integrandolo nella didattica, si va indirettamente a favorirne un uso consapevole, quindi anche critico, da parte degli allievi».
leggi anche
Arriva Google Sparrow, il rivale di ChatGPT che vuole essere il miglior bot conversazionale al mondo
I quali, secondo il professor Luca Gamabardella, stanno perdendo però il loro senso critico. È d’accordo e altrettando in ansia per il futuro dei giovani?
«Questa è proprio una delle finalità principali della scuola di oggi, che deve sviluppare il senso critico verso ogni oggetto di conoscenza e di realtà, quindi anche verso l’intelligenza artificiale. Molti già ne fanno uso senza saperlo: pensiamo ad esempio a Deepl, ma anche Spotify».
leggi anche
INTERVISTA Paura di Chat-GPT? Luca Gambardella: «E perché? È una macchina che non ragiona»
Necessario stabilire dei confini all’uso?
«Posto che un divieto preventivo e generalizzato mi sembra inutile e inefficace, va detto che la scuola non è un’isola e non può fare astrazione del mondo al quale appartiene. Non può nemmeno privare gli allievi dell’opportunità di capire il mondo che li circonda».
E il rischio che venga usato per falsare la verità e i risultati scolastici?
«Per quanto riguarda le valutazioni sommative e certificative, è chiaro che occorrerà trovare un modo per assicurarsi che ChatGPT non possa influenzarle».
Il problema è etico, più che scolastico?
«Se il problema etico riguarda l’utilizzo lecito o illecito dell’intelligenza artificiale a scuola, mi sento di affermare che ChatGPT si pone sullo stesso piano di un bigino, del copiare da un compagno, del ricorrere all’aiuto di un genitore o di usare un motore di ricerca per trovare in rete delle risposte già pronte. Con questo voglio dire che l’attenzione deve essere spostata dal possibile abuso dello strumento alla promozione del "principio educativo", universale e indipendente, secondo cui si va a scuola per imparare e non per performare e riuscire nelle verifiche. Il percorso cognitivo che mi porta a rispondere a una domanda, o il modo in cui non riesco a farlo, è molto più importante della semplice risposta stessa».
La possibilità di "barare", ingannare, essere sleali potrebbe agire da deterrente all’utilizzo in classe? Mi spiego: vietarlo può essere un modo per educare alla correttezza?
«Un’educazione alla correttezza passa dalla consapevolezza che le "scorciatoie" non servono a imparare. Che nell’apprendimento molto spesso i processi sono più importanti dei risultati e che, a medio-lungo termine, le scorciatoie non rendono».
Forse ha ragione dunque Luca Gambardella: il vero problema da risolvere, a scuola ma anche fuori, è la pigrizia. Per anni si è lavorato per accrescere l’interesse verso le discipline Stem, che in un certo senso semplificano la vita. È forse il momento di fare un passo indietro e restituire importanza a quelle umanistiche e al pensiero dell’uomo?
«Nel rispondere, partirei da una provocazione. Uno dei fattori che ha contribuito alla diffusione della cultura umanistica tra Quattrocento e Cinquecento è stata la stampa a caratteri mobili che, continuo nella provocazione, è un’innovazione tecnica e tecnologica come lo sono ChatGPT e l’intelligenza artificiale».
La scrittura e la capacità comunicativa sono state però messe progressivamente in difficoltà e a rischio dalla tecnologia: prima con i messaggi di testo sempre più brevi, poi le parole ridotte a sigle, poi il computer che autocorregge e adesso ChatGPT. È questo il colpo di grazia?
«Fermandomi nella mia provocazione, eviterei di adottare sguardi nostalgici verso il passato e non cederei alle lusinghe del catastrofismo».
Qual è la missione della scuola, oggi?
«Non allontaniamo gli allievi dalla tecnologia che li circonda nel quotidiano: una scuola sconnessa dal mondo nel quale i suoi allievi vivono è una scuola che non li spinge a impegnarsi. Una scuola che davanti ai cambiamenti della società mette la testa sotto la sabbia e applica divieti appare agli occhi degli allievi poco interessante e incoerente rispetto al proprio mandato educativo. Confrontiamo dunque gli allievi con i cambiamenti, mostriamo loro che ci interessano, e confrontiamoli anche con le contraddizioni generate dal cambiamento, sostenendoli nell’affrontarlo con curiosità e con spirito critico».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Iscriviti alla newsletter