Per la Cina, Taiwan rappresenta una provincia ribelle da conquistare nuovamente, anche mediante l’uso delle armi. Qualora dovesse sferrare un attacco, la Tsmc ha dichiarato che interromperà la produzione di chip, causando un grande disordine economico.
Era solo di qualche giorno fa la notizia della fine della crisi dei microchip. E ora, con l’ipotetica invasione di Taiwan - il Paese dove ha sede la più grande azienda produttrice mondiale -, tutto rischia di essere messo nuovamente in discussione.
I microchip sono indispensabili per ogni sorta di tecnologia: auto, computer, smartphone; e con gli stop imposti dalla pandemia, i cicli produttivi erano già stati messi altamente in crisi. Le conseguenze sono ricadute sui consumatori, con consegne dei prodotti ritardate di oltre un anno. La situazione aveva spinto, poi, diversi Paesi a finanziare le aziende che ora, paradossalmente, presentano un surplus di semiconduttori.
Produzione esagerata?
Loo scorso mese di luglio, l’azienda Taiwan Semiconductor Manufacturing Company Ltd (Tsmc), il primo produttore mondiale di microchip, aveva annunciato profitti record con un aumento del 76,4% su base annua per il periodo aprile-giugno.
Se la Cina invade Taiwan
Se fino all’altro giorno, il mercato mondiale si vedeva costretto a ridurre la domanda, nel giro di poche ore, con l’arrivo di Nancy Pelosi a Taipei, la situazione si è rovesciata. Spingendo le tensioni tra l’isola autonoma e Pechino sempre più alle stelle: per la Cina, Tawain rappresenta una provincia ribelle, da riconquistare a tutti i costi, anche con l’uso delle armi. E nel caso in cui decidesse di invaderla, la Tsmc, che controlla il 52% del mercato mondiale, bloccherebbe la sua attività, generando «un grande disordine economico».
Lo ha dichiarato qualche giorno fa Mark Liu, presidente del colosso mondiale di microchip, quando la visita della speaker della Camera Usa era ancora non era certa.
La Tsmc, ha sottolineato Liu, non può essere controllata con la forza. Anche perché per garantirsi materie prime, sostanze chimiche e pezzi di ricambio, deve rimanere connessa in tempo reale con i partner di tutto il mondo: Usa, Europa e Giappone.
La sospensione della produzione da parte della Tmsc, per cui le vendite in Cina contano il 10% del fatturato, renderebbe inutili le tecnologie cinesi più avanzate, comprese quelle militari.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Iscriviti alla newsletter