Già ai vertici di Credit Suisse e Aberdeen, Matteo Bosco coordinerà il panel ESG al Lugano Finance Forum, il 22 novembre. Sicuro che la sostenibilità, rallentata da Covid e guerra, sia il futuro: «Quest’anno in Svizzera l’incremento sarà a doppia cifra».
Finanza e ambiente, finanza e sociale, finanza e governance. Oppure, con una sigla unica, ESG, dall’inglese Environment, Social, Governance: qualcosa di ben noto da tempo in un mondo che tende ad ampliare i suoi interessi verso l’investimento responsabile, associando le finalità di gestione a un’attenzione verso la sostenibilità. In un Ticino che si appresta ad ospitare il Lugano Finance Forum, alla undicesima edizione a Palazzo dei Congressi il prossimo 22 novembre, è un tema che non poteva certo mancare, né che viene surclassato dalla moderna criptofinanza. Due sale, due panel in contemporanea, fra le 9.30 e le 17.30: da una parte una sessione dedicata alla blockchain, dall’altra all’ESG, con ospiti di rilievo come l’ex ministro delle Finanze autriaco Gernot Blümel e altri a precederlo o seguirlo, tutti a declinare la sostenibilità nei suoi molteplici aspetti. Chi meglio di Matteo Bosco poteva coordinare il tutto, relatore con Samuel Grantham (Abrdn) sulla transizione climatica e presentatore fin dal mattino dei diversi eventi che intratterranno il pubblico. Master in scienze economiche a Losanna nel 1989, una lunga carriera ai vertici prima di Credit Suisse poi di Aberdeen, prima di accettare l’offerta e la scommessa di una ex compagna di università ed entrare, nel 2019, in Conser Invest SA, sede a Ginevra, si dedica al mondo ESG affiancando l’attività professionale più stretta a diverse pubblicazioni sul tema, segnalandosi come un esperto in materia che avrà parecchio da offrire alla platea. Lui ridimensiona il proprio ruolo; preferisce definirsi, con quel tanto di modestia che dice molto più di quanto provi a minimizzare, che «introduco e do una mano»; con la competenza, però, di chi sa quanto esattamente la sostenibilità conti, oggi, per gli investitori. E a questo punto si può cominciare a sorprendersi.
Bosco, ci sveli: quanto conta, oggi?
«Poco, se guardiamo a quelle che sono le mie aspettative. Il mondo quotato in Borsa vale oggi 380 trilioni di dollari, tra capitalizzazioni equity e bond. Ebbene, la parte che si definisce sostenibile, in regime cioè autodichiarativo e privo di verifiche, è di circa 35 trilioni. Rappresenta cioè meno del 10% del totale».
Ci si immagina però che, rispetto a un passato anche recente, vi sia stato un incremento importante. Vero o falso?
«Calcolato sul periodo 2016-2020, l’incremento arriva al 55%. La parte più significativa e tangibile di questo percorso riguarda la carbonizzazione. È evidente che esiste un problema nel mondo, creato da emissioni che generano cambiamenti climatici. Ciò nonostante, non siamo riusciti ancora a fare ciò che è stato stabilito nell’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, nel 2015».
La finanza che parte gioca - o può giocare - in tutto questo?
«La finanza ha un ruolo da giocare, nettamente. Basti pensare che, secondo le stime, le 250 maggiori società quotate controllano l’86% delle emissioni. È chiaro che possono avere una grande influenza nella riduzione. Per un rilancio economico meno carbon intensive, c’è poi da considerare l’European Green Deal e l’appello fatto alla finanza privata. Sul sito della Commissione Europea è scritto che la finanza sostenibile ha un ruolo chiave nel raggiungimento degli obiettivi politici nell’ambito del Green Deal europeo e degli impegni internazionali dell’Unione sugli obiettivi climatici e di sostenibilità. Come? Incanalando gli investimenti privati nella transizione verso un’economia neutrale dal punto di vista climatico, resistente al clima, efficiente nell’uso delle risorse ed equa, come complemento al denaro pubblico».
La finanza aiuta la sostenibilità. La sostenibilità aiuta la finanza?
«Possiamo farne una questione filosofica e intavolare lunghe discussioni. Di fatto, però, è un po’ la stessa cosa, con un solo obiettivo: operare con più criterio. I fattori che riguardano la sostenibilità stanno diventando sempre più importanti. Non si tratta solo di buonismo, ma di valutare gli investimenti sotto tutti gli aspetti, non soltanto quello più evidenti sul piano finanziario».
«Sempre più importanti»: sta dicendo dunque che quel «meno del 10%» di cui parlava con un po’ di rammarico all’inizio crescerà in fretta? E chi farà da traino?
«Se pensiamo alla finanza svizzera, le cifre sono raddoppiate ogni anno, negli ultimi tre anni. E l’aumento del 2022 rispetto al 2021 sarà a doppia cifra. Non c’è una categoria migliore di altre: parliamo di tutti. Ormai il cambiamento è diventato qualcosa di normale, non c’è più bisogno di etichettarlo come sostenibile. Siamo all’inizio di un fenomeno che sarà travolgente. Finora, tutto è stato fatto con una certa leggerezza».
Ci sono Paesi più virtuosi?
«Nel 2018, l’Europa superava gli Stati Uniti quanto ad asset di investimento globale sostenibile, con 14 trilioni di dollari contro quasi 11,9. Nel 2020, gli Stati Uniti erano saliti a 17 trilioni, l’Europa scesa a 12».
L’anno del Covid. C’entra qualcosa?
«Nel periodo del Covid c’è stato un rallentamento nel cammino. Credo che la tendenza verso il sostenibile si riprenderà e aumenterà; mi auguro però in "stile elvetico". Le imposizioni troppo severe, come quelle dell’Unione europea che ha dato una sua definizione di Green escludendo a priori carbone, gas, petrolio e nucleare, salvo poi reintrodurre il gas dopo lo scoppio della guerra, mancano di quel pragmatismo svizzero che è molto più auspicabile. Bisogna capire ciò che l’industria è in grado di produrre, prima di regolamentare a prescindere».
Già, la guerra: un altro punto chiave. Come ha inciso sul percorso?
«Rallentandolo. Ha portato alla ribalta il gas e il petrolio, i portafogli sono diventati più carbon intensive. Se ragioniamo sul short-term, il conflitto russo-ucraino ha fatto cadere l’attenzione verso il sostenibile. Ha carbonizzato i prodotti finanziari: quello che si è registrato è un rialzo, sia pur sotto il benchmark. La guerra ha dato il là a una serie di reazioni, come l’inflazione e la ricerca di investimenti redditizi. Possiamo dire che non ha fatto bene all’accordo di Parigi».
E adesso? È così necessario riportare l’attenzione là dove l’occhio si è giocoforza distolto?
«Il Finance forum di Lugano sarà un’occasione. Si comincerà parlando di donne e finanza, per passare poi alle sfide della finanza sostenibile, l’inflazione e la politica monetaria, la transizione climatica, gli obiettivo dello sviluppo sostenibile nel settore degli investimenti; al pomeriggio, la trasparenza dei fondi di investimento, l’efficienza energetica, il dead cat bounce e gli investimenti alternativi».
Appuntamento a martedì 22 novembre, info: https://finlantern.com/financeforum/
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