Mentre in Svizzera si sostiene che con questa azione l’immagine del settore bancario sia stata salvata, all’estero dicono l’esatto contrario.
Sono passati ormai quasi due giorni dalla fusione tra Credit Suisse e Ubs. E nonostante buona parte dell’opinione pubblica la consideri la soluzione migliore, più passando le ore e più il malcontento sembra essere sulla bocca di tutti. Alcuni economisti sostengono che il salvataggio poteva essere gestito diversamente: perlomeno, si sarebbe potuto lasciar andare la parte che ha trascinato inesorabilmente Credit Suisse nel baratro e che con la Svizzera ha poco a che fare, ovvero l’Investment Banking. E ora viene da chiedersi, al cospetto di un mostro bancario senza precedenti, come è stata recepita la mossa al di fuori dei confini elvetici.
A fare le pulci ci ha pensato Octavio Marenzi, ceo di Opimas, società austriaca di consulenza gestionale focalizzata sui mercati dei capitali globali. Intervistato dalla Cnbc ha dichiarato che «la posizione della Svizzera come piazza finanziaria è in frantumi». «Il Paese sarà ora visto come una repubblica finanziaria delle banane».
Sfide sul lungo periodo
Ha parlato poi di «conseguenze per altri istituti finanziari svizzeri». Credit Suisse godeva di «una reputazione a livello nazionale di gestione finanziaria prudente, di solida supervisione normativa e, forse, un po’ cupa e noiosa per quanto riguarda gli investimenti, è stata spazzata via». Insomma, la posta in gioco secondo Marenzi è davvero elevata e alla Svizzera ora spettano degli anni pieni di sfide finanziarie e legislative, anche per ricostruire la sua reputazione.
Azioni Ubs in risalita
Intanto oggi i mercati sembrano aver digerito la fusione tra le due banche, così come l’azzeramento delle obbligazioni aggiuntive di primo livello (AT1) di Credit Suisse per un valore di 16 miliardi di franchi svizzeri. Un compromesso trovato nell’accordo tra Ubs e le autorità, per agevolare l’acquisizione e proteggere dagli investimenti relativamente rischiosi. Tale investimenti prevedono infatti che i titolari possano convertirli in azioni o svalutarli in concomitanza di determinate situazioni, come nel caso in cui il coefficiente patrimoniale di un istituto scivola al di sotto di una soglia fissata in precedenza. Con la sua azione, Finma ha sostanzialmente tolto parola agli obbligazionisti, forse per scendere a compromessi con Ubs.
Le quotazioni di Ubs a metà giornata sono in recupero di oltre il 4% a poco più di 18 franchi per azione, in rialzo anche i titoli assicurativi come Zurich Insurance Group del 2,48%. Credit Suisse invece è in stallo a CHF 0,82. Complessivamente lo SMI sta recuperando l’1,23% a 10’774,06 punti.
La mossa messa in campo da Finma ha certamente un carattere straordinario. Solitamente la prassi vuole che in caso di fallimento di una banca, si dia priorità agli obbligazionisti piuttosto che agli azionisti. E in questo caso è avvenuto il contrario. Una mossa mal giudicata anche dai regolatori dell’Unione europea (ovvero da Bce, Autorità bancaria europea e dal Comitato di risoluzione unico) e Bank of England. Sostenendo che a loro avviso, in caso di eventi analoghi, continueranno a imporre perdite agli azionisti prima che agli obbligazionisti.
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Franco perde un po’ del suo fascino in Europa
Intanto il franco, anche nella giornata di oggi, risulta sulla soglia della parità nei confronti dell’euro, scambiato a 0,9955 franchi. Mentre il dollaro è passato di mano a 0,9236 franchi, in ribasso dello 0,60%; recupera terreno anche sulla valuta nipponica a 143,17 yen (+1,29%).
Bob Parker consulente senior all’International Capital Markets Association è intervenuto a riguardo alla Cnbc. Secondo l’esperto la debolezza è molto modesta. «Siamo tornati alla vicini alla parità sul franco svizzero-euro». Sembra dunque che «in una certa misura il franco svizzero abbia perso parte del suo fascino come valuta rifugio». E conclude precisando che si tratta «di una sorta di effetto a breve termine». In vista di conoscere cosa deciderà la Banca nazionale svizzera, nella riunione programmata per giovedì.
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