La decisione dell’Arabia Saudita e di altri Paesi esportatori arriva per contrastare il calo della domanda di greggio negli Stati occidentali.
I membri dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (Opec+) hanno annunciato a sorpresa domenica tagli alla produzione per 1,16 milioni di barili al giorno. La decisione ha fatto lievitare i prezzi del greggio, scatenando il malcontento degli Stati Uniti e del resto dell’Occidente.
Taglio di 1 milione di barili al giorno
All’apertura delle contrattazioni in Asia, lunedì mattina, i prezzi dell’oro nero sono balzati dell’8% dopo la notizia del taglio, con il petrolio Brent di riferimento internazionale che ha superato gli 86 dollari al barile e il West Texas Intermediate (WTI), l’indicatore statunitense, che è salito a quasi 81 dollari.
La sola Arabia Saudita ha dichiarato domenica che attuerà un taglio volontario di 500mila barili al giorno, pari a poco meno del 5% della sua produzione, in coordinamento con alcuni altri Paesi Opec e non solo. Riyad starebbe cercando di rilanciare i prezzi tra i timori di un indebolimento della domanda.
Di conseguenza la Russia, membro dell’Opec+, ha dichiarato che estenderà il suo attuale taglio di produzione di 500.000 b/g fino alla fine dell’anno. La riduzione di Mosca era stata annunciata per la prima volta a marzo come ritorsione alle mosse dei Paesi occidentali di imporre un tetto ai prezzi delle sue esportazioni di petrolio via mare.
leggi anche
Addio benzina e diesel in Europa dal 2035. Approvati gli e-fuels, ma non i biocarburanti, delusa l’Italia
Una manovra straordinaria
L’iniziativa a guida saudita appare insolita perché è stata annunciata al di fuori di una riunione formale dell’Opec+, il che suggerisce un senso di urgenza da parte dei membri che partecipano ai tagli. Il provvedimento fa seguito al brusco calo dei prezzi del petrolio registrato il mese scorso: i tumulti del settore bancario statunitense e l’acquisizione forzata di Credit Suisse da parte di UBS hanno scatenato timori di contagio sui mercati finanziari globali e un significativo calo della domanda del greggio.
«L’Opec+ ha effettuato un taglio preventivo per anticipare qualsiasi possibile debolezza della domanda dovuta alla crisi bancaria che è emersa», ha dichiarato Amrita Sen, direttore della ricerca di Energy Aspects, società provider di dati sul mercato dell’energia.
Tensione tra USA e Arabia Saudita
I tagli a sorpresa rischiano di riaccendere le dispute tra Riyad e gli Stati Uniti, che l’anno scorso hanno spinto il regno saudita a pompare più petrolio nel tentativo di domare l’inflazione e l’impennata dei costi energetici. A ottobre, la Casa Bianca ha accusato l’Arabia Saudita di essersi schierata con la Russia, nonostante l’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte di Mosca e il suo tentativo di creare una crisi energetica tagliando le forniture di gas all’Europa. Proprio in quel periodo l’Opec+ aveva annunciato l’ultimo taglio formale della produzione di 2 milioni di b/g.
Persone che hanno familiarità con le riflessioni dell’Arabia Saudita hanno dichiarato al Financial Times che il governo saudita ha voluto mettere in difficoltà gli USA. Questo dopo che l’amministrazione Biden ha pubblicamente escluso nuovi acquisti di greggio per ricostituire le scorte strategiche, mentre la Casa Bianca lottava per domare l’inflazione.
L’altalena dei prezzi del greggio
I tagli volontari dei membri dell’Opec+ inizieranno a maggio e dureranno fino alla fine del 2023. L’Iraq ridurrà la produzione di greggio di 211.000 b/g, gli Emirati Arabi Uniti di 144.000 b/g, il Kuwait di 128.000 b/g, il Kazakistan di 78.000 b/g, l’Algeria di 48.000 b/g e l’Oman di 40.000 b/g, secondo le dichiarazioni dei rispettivi governi.
Il Brent era sceso a un minimo vicino ai 70 dollari al barile alla fine del mese scorso, ma si è stabilizzato nell’ultima settimana per risalire a poco meno di 80 dollari. Il benchmark di riferimento internazionale è stato scambiato in una fascia relativamente stretta tra i 75 e i 90 dollari al barile per gran parte degli ultimi sei mesi. Nonostante il sell-off del mese scorso, molti operatori prevedevano un aumento dei prezzi nel corso dell’anno, quando si prevede che le forniture saranno inferiori alla domanda, con la piena riapertura dell’economia cinese dopo le restrizioni imposte dal Covid.
Il ministro dell’energia dell’Arabia Saudita, il principe Abdulaziz bin Salman, fratellastro del primo ministro e principe ereditario Mohammed bin Salman, ha sostenuto che il mondo sta diminuendo gli investimenti nelle forniture di petrolio. Il regno saudita dipende dai proventi dell’oro nero ora più che mai, per poter finanziare l’ambizioso programma di riforme economiche del principe Mohammed.
In arrivo aumenti anche in Svizzera?
Ci saranno conseguenze sul prezzo del carburante e dei prodotti raffinati nel nostro Paese? Stando ai dati dell’Ufficio federale dell’energia (DFAE), il petrolio soddisfa il 36,3% del consumo energetico lordo della Svizzera.
Il greggio importato nella Confederazione proviene per il 39% dalla Nigeria, il 25% dalla Libia - entrambi membri dell’Opec+ che non hanno ancora aderito al taglio - e il 32% dagli Stati Uniti. Per quanto riguarda la materia prima quindi, per il momento non dovrebbero esserci grandi sbalzi di prezzo al rialzo.
Tuttavia la produzione propria a partire da questa fornitura, che viene gestita nell’unica raffineria di petrolio della Svizzera si trova a Cressier (Neuchâtel), copre soltanto un quarto del fabbisogno del Paese. Il restante 75% circa della domanda di prodotti raffinati viene quindi soddisfatta tramite l’importazione dai vicini Stati europei, principalmente dalla Germania. Questi acquistano a loro volta il greggio dai Paesi membri dell’Opec+, che di conseguenza dovranno adattare i loro prezzi in seguito alla decisione del taglio della produzione.
Non ci sarà dunque da stupirsi se anche nel nostro Paese arriveranno aumenti nel prezzo di benzina, diesel o in altri impieghi dei prodotti raffinati nel corso dei prossimi mesi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Iscriviti alla newsletter