Secondo i massimi esperti i prezzi di Brent e Wti rimarranno al di sotto dei 100 dollari al barile. Ma sullo sfondo grandi incertezze: una fra tutte la ripresa delle attività in Cina.
L’anno che si sta per concludere è stato un anno complesso sotto tutti i punti di vista. Anche per il petrolio. I prezzi di Brent e Wti hanno assistito a un continuo saliscendi, raggiungendo i picchi nei mesi di marzo e giugno, superando i 120 dollari al barile. Nelle ultime settimane le quotazioni hanno subito una flessione, scendendo al di sotto dei 100 dollari al barile.
Il 2022 si sta chiudendo con il Brent intorno agli 80 dollari al barile e il Wti tra i 75 e gli 80 dollari al barile. In altre parole, i prezzi dell’oro nero sono scesi del 23% negli ultimi sei mesi, ma la volatilità permane elevata. I timori di una insufficiente fornitura di petrolio sono stati superati da una crescita globale prevista in rallentamento e dalle preoccupazioni che una recessione sembra inevitabile.
Osservati speciali per l’imminente 2023 saranno la Cina, la guerra in Ucraina e le sanzioni contro Mosca, oltre che alle prossime mosse dell’Opec+. E una domanda sola: il petrolio salirà di nuovo verso picchi massimi o è destinato a scivolare ulteriormente? Ecco cosa dicono gli esperti.
Citi
Come si legge su Money.it, gli esperti di Ed Morse, responsabile globale di Citi il Brent viaggerà sugli 80 dollari e il Wti sui 75. Stimano che la domanda di petrolio nel 2023 crescerà di circa 1,2 o 1,3 milioni di barili al giorno, con l’offerta che raddoppierà nel corso dell’anno, “in buona parte proveniente dall’emisfero occidentale, dagli Stati Uniti, dal Brasile, dal Canada, dalla Guyana, dall’Argentina, forse dal Venezuela e persino dal Messico”.
JPMorgan
“Prevediamo che l’offerta crescerà del 30% al di sopra del ritmo della domanda nel 2023, poiché la produzione russa si normalizzerà completamente e la combinazione di progetti convenzionali (Brasile, Norvegia, Guyana) e non convenzionali (Stati Uniti, Canada, Argentina) fornirà ulteriori 1,6 mbd”. Si prevede infatti che il Brent rimanga sui 90 dollari al barile, sull’idea che l’alleanza Opec+ si adopererà per mantenere i mercati in equilibrio nel 2023.
OPIS
Tom Kloza, Global Head of Energy Analysis e Denton Cinquegrana, Chief Oil Analyst di OPIS prevedono che nel 2023 il WTi si stanzi sui 90 dollari al barile e il Brent tra i 95 e i 96 dollari al barile “Precisamente quanto questi numeri supereranno la media dipenderà dal successo della riapertura della Cina e dalla capacità dei paesi occidentali di evitare una recessione significativa”.
Bank of America
Per la Bank of America i prezzi del Brent raggiungeranno una media di $100 al barile, grazie alla ripresa della domanda di petrolio da parte della Cina, unita a un calo delle forniture russa di circa 1 milioni di barile al giorno. Secondo la banca di investimento, l’Opec+ taglierà la produzione di 2 milioni di barili al giorno per tentare l’aumento dei prezzi del petrolio.
“La nostra domanda di petrolio e le proiezioni dei prezzi per il 2023 dipendono fortemente dalla solida crescita della domanda di Cina e India, quindi eventuali ritardi nella riapertura dell’Asia potrebbero influenzare la nostra traiettoria dei prezzi prevista", ha affermato la banca, aggiungendo che il percorso verso un ambiente post-pandemia potrebbe non essere facile, “dati i bassi livelli di immunità in Cina”.
Goldman Sachs
Goldman ha rivisto al ribasso le sue previsioni. Infatti ritiene che per il 2023 il Brent rimarrà su una media di $98 e il WTI a $105. La banca ha affermato che c’è meno rischio che i prezzi aumentino questo inverno con la Cina che consuma meno di quanto previsto in precedenza, la Russia che esporta vicino ai livelli prebellici e i problemi di produzione che si attenuano in Kazakistan e Nigeria.
Banca Mondiale
Peter Nagle e Kaltrina Temaj, della Banca Mondiale, ritengono che i prezzi del petrolio raggiungeranno una media di $92 al barile nel 2023 e di $80 al barile nel 2024, in calo rispetto ai $100 al barile previsti nel 2022. Tuttavia, i prezzi rimarranno ben al di sopra della loro recente media quinquennale di $60 al barile.
La stima tuttavia è ancora incerta. Ci sono diversi fattori che potrebbero alterare l’offerta e la domanda globale. A cominciare dalle sanzioni dell’Ue alla Russia e dal price gap deciso dal G7 sul petrolio. Ma anche la capacità di produzione dell’Opec+ e le prospettive per l’olio di scisto statunitense, nonché l’uso e il rifornimento di scorte petrolifere strategiche. Si teme poi una possibile recessione globale. Quasi certamente, a seguito del price cap sul petrolio e dell’embargo sul greggio russo da parte dell’Unione europea (Ue), le esportazioni di Mosca diminuiranno ulteriormente nel 2023. Dal prossimo febbraio, l’Ue bloccherà anche le importazione di prodotti petroliferi. Il reindirizzamento di queste esportazioni potrebbe rivelarsi più difficile per la Russia, in particolare per le esportazioni di oleodotti che hanno poche opzioni di trasporto alternative. Inoltre, il Regno Unito e l’Ue hanno vietato la fornitura di servizi marittimi, in particolare assicurazioni, alle navi che trasportano greggio russo, a meno che non rispettino il tetto massimo del prezzo del petrolio del G7 a 60 dollari al barile.
I due analisti fanno poi notare che la produzione dell’Opec+ rimarrà soggetta a quote nel 2023. I membri del cartello hanno concordato di ridurre il loro obiettivo di produzione di 2 milioni di barili al giorno a partire da novembre 2022 e fino alla fine del 2023.
L’anno prossimo circa la metà della crescita della produzione mondiale dovrebbe arrivare dagli Stati Uniti, si prevede infatti - nelle migliori delle ipotesi - un aumento di produzione di circa 1mb/g.
La Cina tornerà a consumare petrolio?
Insomma, le prospettive sono al quanto incerte. Certo è che l’allentamento delle misure zero-Covid in Cina potrebbero spingere l’acceleratore della domanda, portando ancora una volta i prezzi del petrolio a crescere.
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