Prezzi del petrolio al ribasso: nell’ultima settimana giù del 10%. E ora cosa succede?

Chiara De Carli

5 Agosto 2022 - 16:17

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Per gli esperti, le perdite nette registrate dai prezzi del petrolio, nel corso di questa settimana, sono indice di una prossima recessione.

Prezzi del petrolio al ribasso: nell'ultima settimana giù del 10%. E ora cosa succede?

La domanda mondiale per i beni di consumo sta diminuendo. Così come i prezzi del petrolio, un chiaro segnale del rallentamento dell’economia mondiale. Nell’ultima settimana, infatti, il costo del greggio è sceso del 10% al di sotto dei 100 dollari al barile, toccando così valori che non si vedevano da almeno sei mesi.
Questa mattina, alle 8.52, i futures Brent in consegna a ottobre vengono scambiati a 93.79 dollari al barile, in significativo ribasso rispetto solo ai 102 dollari al barile segnati a inizio settimana. I futures WTI, consegna a settembre, a 87,94 dollari al barile. Solamente il 3 agosto a quota 96 dollari.

Tendenza invertita

Nei primi mesi dell’anno, a causa della crescente domanda di greggio, dovuta alla ripresa delle attività umane in seguito alla pandemia, aveva portato il prezzo del petrolio a infiammarsi. I cali di giugno e luglio hanno invece decretato delle perdite, invertendo la sua corsa.
Il sell-off basterà per allentare le pressioni inflazionistiche?

Per le Banche centrali, l’inflazione è il drago da combattere

L’aumento dei prezzi dei combustibili, la carenza di materie prime e le sanzioni impartite dai G7 verso la Russia, per via dell’invasione dell’Ucraina, hanno costretto le banche centrali a scegliere una politica monetari più restrittiva, per favorire un rallentamento della domanda e quindi una riduzione dell’inflazione. Federal Reserve (Fed), Banca nazionale svizzera (Bns), Banca centrale europea (Bce), e da ultimo la Bank of England (BoE). BoE che, nella giornata di ieri, ha deciso di alzare i tassi d’interesse di mezzo punto percentuale e avvertendo che il Regno Unito si sta dirigendo verso una recessione di lunga durata, con l’inflazione che spinge oltre il 13%. La Bce, invece, ha messo in chiaro che la guerra in Ucraina sta deteriorando le stime del Pil nell’Eurozona.

La situazione in Asia

La Cina, nonostante sia una delle poche nazioni con un’economia interna in crescita, ha iniziato a mostrare alcuni segnali di debolezza. Le attività delle fabbriche si stanno riducendo e l’economia perde qualche colpo, il che mette in discussione la sua domanda di greggio.

«Il mercato - ha affermato Prashant Bhayani, capo degli investimenti funzionario per l’Asia di BNP Paribas Wealth Management - è più preoccupato per la crescita che per l’inflazione, anche se l’inflazione è ancora un problema importante, il prezzo del petrolio è sceso».

Petrolio libico sul mercato

Il crollo di questa settimana è in parte dovuto al fatto che la Libia sia tornata a essere protagonista nella produzione del greggio. Potenzialmente ora le sue esportazioni possono stabilizzarsi oltre il milione di barili al giorno, allentando la rigidità del mercato.
Intanto, l’OPEC+, di cui fa parte anche la Russia, ha reso noto di voler aumentare l’offerta collettiva per settembre, ma solamente di 100 mila barili al giorno. Mentre l’Arabia Saudita, leader del gruppo, non ha perso tempo, rialzando in Asia il prezzo del petrolio a valori record: il prezzo di riferimento OSP sull’Arab Light è infatti salito di 2,1 dollari al barile a 6,5 dollari sopra al benchmark Oman/Dubai.

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