Tensioni geopolitiche, interruzioni della produzione e ripresa della domanda hanno spinto il rialzo di Brent e Wti che hanno raggiunto nuovi massimi da 7 anni.
Il prezzo del petrolio sale e raggiunge nuovi record storici. Era dal 2014 che non toccava vette così alte: ben 7 anni.
Nello specifico, il Brent, nella giornata di martedì 18 gennaio è salito del 2,5%, raggiungendo gli 88,66 dollari, mentre il Wti, quello americano, in aumento del 3,2%, ha chiuso a 86,6 dollari.
In entrambi i casi, il rialzo è dovuto principalmente a interruzioni di produzione in Libia, Nigeria, Angola, Ecuador, e più recentemente, Canada a causa del freddo estremo, oltre alte tensioni geopolitiche e una ripresa della domanda, nonostante la variante Omicron, che interessa ampiamente anche il nostro Paese.
Tensioni geopolitiche
Lunedì i ribelli yemeniti Houthi (sostenuti dall’Iran) hanno attaccato strutture civili negli Emirati Arabi Uniti, uccidendo tre persone. La coalizione militare a guida saudita ha risposto con raid aerei su Sanaa, la capitale dello Yemen.
In particolare, uno degli attacchi ha colpito i camion di carburante a Musaffah, vicino a un importante deposito di proprietà di Abu Dhabi National Oil, noto come Adnoc, a circa 15 miglia dal centro della città, dove i camion fanno scorta di benzina e diesel da distribuire ai piazzali. La società coinvolta ha detto a novembre che stava investendo quasi 6 miliardi di dollari per aumentare la capacità di produzione a 5 milioni di barili al giorno, al fine di vendere più greggio possibile prima che la domanda si esaurisca.
Questi eventi hanno ulteriormente aumentato i prezzi del petrolio.
Carenza di gas
A spingere i prezzi del petrolio verso l’alto è anche la carenza di gas naturale al di fuori degli Stati Uniti.
Nello specifico, il fabbisogno energetico in Europa e in Asia ha aumentato la domanda di petrolio di mezzo milione di barili al giorno a dicembre e si prevede un ulteriore aumento di 300.000 barili al giorno a gennaio e febbraio.
Inoltre, secondo le previsioni, la domanda di greggio raggiungerà livelli record quest’anno e il prossimo.
Previsioni 2022
Con la domanda globale di petrolio sulla buona strada per superare i livelli del 2019 e la capacità inutilizzata in calo tra le nazioni OPEC+, per il 2022 l’outlook sul greggio resta positivo.
Le scorte commerciali nei paesi Ocse sono ai minimi storici sotto i 2,7 miliardi di barili. In confronto, al culmine del blocco globale causato dal Covid-19 a metà del 2020, le scorte dell’Ocse erano a un livello record di oltre 3,2 miliardi di barili.
L’OPEC, da parte sua, sembra intenzionata a continuare la sua politica di aumenti graduali dell’offerta.
Al contempo la variante Omicron al momento non sembra essere un rischio per la mobilità.
La banca svizzera si aspetta dunque che il Brent venga scambiato tra gli 80 e i 90 dollari al barile nel 2022, sostenuto da una robusta crescita della domanda, dalle basse scorte e dal calo della capacità inutilizzata. Bene faranno anche i titoli energetici, i quali hanno accumulato un ritardo nell’ultimo anno.
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