INTERVISTA Farmacie svizzere, mancano medicinali e personale. Tamò, OFC Ticino: Situazione preoccupante

Chiara De Carli

13/09/2022

25/01/2023 - 15:22

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I farmacisti lo dicono già da mesi, se non da anni. La politica del farmaco vigente non funziona e ora, a seguito della pandemia e della guerra in Ucraina, tutti i nodi stanno venendo al pettine. Ne abbiamo parlato con Federico Tamò, portavoce dell’Ordine dei Farmacisti del Cantone Ticino.

INTERVISTA Farmacie svizzere, mancano medicinali e personale. Tamò, OFC Ticino: Situazione preoccupante

Antidolorifici, antibiotici, ma anche un banale sciroppo per la tosse. Andando in farmacia, a volte con in mano la prescrizione del proprio medico, è capitato di non trovare a disposizione il farmaco richiesto. Dall’altra parte del bancone, il farmacista che, desolato, è stato costretto a rispondere: «al momento non è disponibile», seguito da «le propongo questa alternativa», lasciandoci smarriti in preda a dubbi e perplessità. Oltre a domandarci: cosa sta accadendo sulla filiera del farmaco?
Se da un lato è vero che i magazzini dei medicinali sono sempre più vuoti, non lo è il fatto che si tratti di una situazione nuova. L’andamento precario si era già manifestato prima della pandemia, quando interruzioni della catena di approvvigionamento, rincaro delle materie prime e monopolizzazione dei principi attivi da parte dei laboratori davano del filo da torcere al commercio del farmaco. Con pandemia, guerra e da ultimo il rincaro dei prodotti energetici, le condizioni sono andate a complicarsi sempre di più. Costringendo ogni giorno farmacisti, medici e pazienti a dover fare i conti con quello che il mercato ha a disposizione.
L’allarme è stato lanciato negli scorsi giorni dai farmacisti di tutta Europa. Sì perché, per fare un esempio, in Germania, qualche settimane fa è tornato disponibile il tamoxifene, farmaco oncologico utilizzato nella cura del cancro al seno, dopo che per tre mesi era diventato introvabile. In questi giorni, i farmacisti tedeschi si sono lamentati con i loro politici, dichiarandosi delusi, poiché sembrano aver preso la questione sotto gamba. Sulla stessa linea l’Italia, con Marcello Cattani, presidente di Farmindustria che ha invocato l’intervento della politica affinché la nuova legge di bilancio preveda più fondi per la spesa farmaceutica, altrimenti il rischio è di vedere molte aziende chiudere. E in Svizzera, invece, cosa sta accadendo?

Federico Tamò, portavoce dell’OFCT

Abbiamo provato a fare il punto con il portavoce dell’Ordine dei Farmacisti del Cantone Ticino (OFCT) e farmacista, Federico Tamò, che nel corso di una normale giornata di lavoro ci ha aiutato a mettere in ordine i fatti, spiegando un quadro descritto da lui stesso come «preoccupante». «La situazione - ha sottolineato il portavoce dell’OFCT - era già tesa prima della pandemia e della guerra in Ucraina, ora è peggiorata. Pensiamo che in Svizzera, oggigiorno, mancano complessivamente, tra antibiotici, antidolorifici e altri, circa 600 farmaci».

Da cosa è determinata questa situazione?
«La continua pressione sui prezzi ha un impatto importante sui canali di fornitura; sono sempre meno e sempre più simili tra loro. Di conseguenza sono più soggetti a problemi che causano interruzioni dell’approvvigionamento.
Per quanto riguarda i farmaci rimborsabili dalle casse malati, i loro prezzi sono stabiliti dall’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP). Dunque, più il prezzo viene abbassato tramite le revisioni e i paragoni con l’estero e più si deve produrre dove mano d’opera e materie prime hanno un basso costo. Più questa soglia diviene bassa e meno sussiste la possibilità di produrre in altri posti, facendo sì che la produzione delle sostanze si concentri su uno o due laboratori».

C’è un particolare caso che si ricorda in modo particolare?
«Abbiamo l’esempio del Valsartan. Qualche anno fa, prima della pandemia, a causa della contaminazione del principio attivo in un laboratorio, la quasi totalità dell’assortimento di questo farmaco è stato ritirato dal commercio. Perché la maggior parte delle ditte attingevano solo a quel centro produttivo.
Quando un laboratorio unico copre il 90% della richiesta globale di un determinato farmaco, la garanzia del suo approvvigionamento è ad altro rischio. Per questo, un margine più ampio potrebbe permettere l’esistenza di più fonti di produzione e un approvvigionamento diversificato.

Come hanno influito pandemia e guerra in Ucraina?
«Con la pandemia e il successivo scoppio della guerra in Ucraina, le condizioni sono ulteriormente peggiorate, soprattutto per gli aspetti logistici. Dunque, oltre alla fragilità della produzione, si è aggiunta la fragilità del trasporto, rendendo difficoltoso il trasporto di numerosi principi attivi, prodotti principalmente in Asia».

Aumentare l’accessibilità dei farmaci e calmierarne i prezzi non rappresenta sempre la giusta strada prendere.
«L’abbassamento dei prezzi da solo non rappresenta una soluzione. Bisogna andare a cercare i giusti compromessi. La politica degli ultimi vent’anni in materia di salute e prezzi dei farmaci è stata principalmente incentrata sul costo e sull’economicità del farmaco. Senza tenere in considerazione altre conseguenze, quelle che ora stiamo pagando».

L’incremento dei costi dell’energia farà aumentare il costo finale dei farmaci?
«I cambiamenti sul fronte energetico sono molto rapidi, mentre la modifica del prezzo dei farmaci sulla ricetta deve essere modificato dall’UFSP, quindi lentamente. Se nel mentre, un determinato farmaco non è più redditizio, la sua presenza in commercio è compromessa».

Ci sono dei farmaci che sono più a rischio?
«L’ultimo esempio è la Digossina, farmaco utilizzato per alcune patologie cardiache. Per fortuna la sua prescrizione è relativamente rara. Consideriamo, però, che una confezione da 3 mesi costava 7-8 franchi. Ora, non c’è più niente, poiché in Svizzera non è più commercializzato. Per questo, qualora un medico ritenga opportuno prescrivere questo farmaco a un suo paziente, dovrà trovare un’alternativa. Un farmaco con le stese proprietà non esiste; sarà costretto a ripiegare su medicamenti diversi con costi nettamente superiori, oppure a richiedere una preparazione apposita o infine a importare il prodotto dall’estero, entrambe soluzioni meno rapide e più costose».

Dal vostra punto di vista cosa potete fare?
«Per noi è importante riuscire a trovare la soluzione giusta per i nostri pazienti: se questa è in commercio e disponibile in Svizzera, tutto è più semplice. In caso contrario, bisogna ingegnarsi un po’ di più. La continua modifica dei piani terapeutici, per ragioni di carenze d’approvvigionamento, complica la buona compliance del paziente e con questo l’efficacia e l’economicità. Comportando la necessità di dedicare più tempo alla persona, sia per la ricerca della cura alternativa sia per rassicurarlo della scelta. Un tempo supplementare che non è al momento retribuito in nessun modo e a cui il personale deve far fronte, nonostante la carenza di personale specialistico. Dobbiamo accettare come farmacisti e come pazienti il fatto che spesso siano soluzioni di seconda mano, che richiedono dei tempi a volte più lunghi, o ancora prodotti simili, ma non completamente corrispondenti esattamente a ciò che serviva».

Cambiando argomento, come avete accolto la possibilità di esercitare come farmacisti indipendenti?
«Sicuramente rappresenta qualcosa di importante. Le prestazioni dei farmacisti erano riconosciute unicamente dall’assicurazione di base, in relazione alla somministrazione di farmaci. Nel corso del tempo, è stato notato come i farmacisti potevamo essere attivi anche in altre circostante, permettendo la riduzione dei costi sanitari. Per noi è molto positivo e aspettiamo la messa in opera delle nuove possibilità».

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