Una questione che preme al direttore dell’Unione Contadini Ticinesi che sottolinea: «nel privato talvolta manca un uso cosciente dell’acqua, in quanto bene indispensabile e prezioso. Tuttavia ci sono diverse campagne di sensibilizzazione sono in atto».
I giorni di marzo in cui ha piovuto si possono contare sulle dita di una mano. E quelle settimane intere di pioggia che caratterizzavano il territorio, sembrano - almeno per ora - non esistere più. Una situazione già precaria: il Luganese, per esempio, è arrivato in questo 2023 già in deficit idrico di 400 mm a causa della siccità che ha contraddistinto l’anno precedente. A pagarne le spese soprattutto il settore dell’agricoltura, il cosiddetto settore primario, senza il quale faremmo davvero fatica a sopravvivere.
Per quanto ci si possa preparare a un’eventuale mancanza di acqua nel periodo più caldo dell’anno, l’Unione Contadini Ticinesi e l’Ufficio della consulenza agricola del Cantone Ticino si stanno già portando avanti, espletando misure a cui le aziende agricole possono fare ricorso in caso di necessità. Ma «al di là di tutti i provvedimenti possibili che si possono prendere, mi piacerebbe che fosse fatta una riflessione sul riempimento delle piscine private o dei volumi d’acqua che vengono utilizzati per svago o senza averne coscienza. Nell’agricoltura questo senz’altro non accade, anche perché si producono dei beni di primaria importanza per tutti noi». A dirlo è Sem Genini, direttore Unione Contadini Ticinesi (UCT) che ha a cuore la questione e che ci tiene a sottolineare: «Contadine e contadini sanno di dover fare i conti con l’acqua, lo fanno da sempre. In molti altri settori produttivi invece, così come nell’utilizzo privato, questa coscienza e questa abitudine a considerare l’acqua un bene indispensabile e prezioso forse non c’è»
Direttore, arriviamo da un anno estremamente siccitoso e il 2023 si sta mostrando l’esatta fotocopia. Quali sono le conseguenze per l’agricoltura?
«Senza dubbio, le conseguenze per l’agricoltura potrebbero essere dure da affrontare, come è successo lo scorso anno. Per gli agricoltori l’acqua un elemento fondamentale per ogni tipo di produzione, orticoltura, viticoltura, cerealicoltura, foraggicoltura, allevamento, estivazione, ecc».
Come si sta preparando il settore all’estate?
«L’Ufficio di consulenza agricola già da alcuni anni ha messo a punto, in collaborazione con la Protezione civile, un protocollo d’emergenza, che include la messa a disposizione di materiale specifico, per aiutare gli agricoltori nell’irrigazione delle colture. L’anno scorso, tuttavia, questa grave penuria d’acqua era estesa a tutte le acque di superficie. Abbiamo quindi chiesto ai Comuni del Mendrisiotto la concessione immediata, per gli agricoltori del comprensorio, di poter prelevare acqua ove possibile, magari dal lago, da pozzi di captazione dismessi o dal pozzo in campagna Adorna, considerando appunto il settore primario in questo difficile momento come prioritario. Inoltre, si sono cercate delle soluzioni alternative per il trasporto di acqua. Tutti hanno profuso un grande impegno, Società agricola del Mendrisiotto, Cantone, Comuni, enti, Consorzi dell’acqua e altri, nell’organizzare una risposta concertata e importante a favore degli interessi collettivi.
Prima di Natale, abbiamo organizzato un incontro coinvolgendo gli attori principali di questa tematica che hanno, e potranno anche in futuro, giocare un ruolo importante per pianificare in anticipo ed essere preparati nel caso in cui eventi di siccità si dovessero ripetere, purtroppo molto probabile anche quest’anno. Quindi ci siamo attivati e siamo in fase di preparazione di una strategia per il 2023».
All’aumento dei costi per l’inflazione, si somma dunque anche il problema dell’acqua. Quanto incidono questi aumenti sull’attività agricola e sul prezzo finale?
«In base alla quantità di ore di sole e anche di vento, soprattutto in campo aperto, ad esempio in orticoltura, sarà necessario procedere con delle irrigazioni come è successo lo scorso anno con costi supplementari. Ogni volta che lo si fa, bisogna calcolare i costi della manodopera che variano in base alle dimensioni di ogni azienda. Per esempio, l’anno scorso nel Mendrisiotto, dove non c’era più acqua nemmeno nei pozzi di captazione, è stato necessario calcolare le ore di lavoro per andare a prenderla, portarla sul campo o nel vigneto e ancora, il gasolio per il trattore con la cisterna».
Guardando all’anno scorso, quanto è costata la siccità?
«In diversi casi nel Mendrisiotto, perlomeno in campicoltura e foraggicoltura, si è arrivati a perdite anche del 100%; per la foraggicoltura, la qualità del raccolto è stata scarsa. Anche la mancanza di erba nei pascoli degli alpeggi ha influito sulla produzione di latte e quindi di formaggio. I volumi dell’anno scorso sono stati inferiori ad altre annate e la durata della stagione alpestre si sta riducendo».
Cosa fare per coprire l’aumento dei costi?
«Al momento, l’Unione Svizzera dei Contadini, sta pensando a un aumento dei prezzi alla produzione del 10% da parte della grande distribuzione, solo per coprire i maggiori costi attuali che non comprendono quelli derivanti dalla siccità. L’anno scorso, l’Ufficio federale di statistica, ha calcolato una perdita di guadagno complessiva del settore attorno ai 4 punti percentuali e si è stimato un deficit per il settore agricolo svizzero di 300-400 milioni di franchi che non sono per niente stati colmati. Infatti, sebbene i prezzi per i consumatori siano aumentati, ciò non è invece accaduto per i prezzi alla produzione».
Oltre a inflazione e siccità, quali altre difficoltà ha dovuto affrontare il settore?
«Come tutti, l’aumento dei costi dell’energia, ma anche altri fattori legati alla produzione, come ad esempio i fertilizzanti il cui costo è strettamente connesso al conflitto in Ucraina».
Per quanto riguarda le sementi, il settore si sta indirizzando su tipi sempre più resistenti alla siccità?
«Si fa il possibile e non si può cambiare tutto da un giorno all’altro, è poi il consumatore finale che decide se un prodotto alternativo piace o meno. La ricerca per trovare varietà e anche razze animali resistenti e con un bisogno di acqua inferiore, ha tempi lunghi. Così come per cambiare una coltura con un’altra. In Ticino, così nel resto della Svizzera, si sta lavorando molto in questa direzione grazie ad istituti di ricerca riconosciuti e importanti come Agroscope, il WSL per la vite, gli Uffici cantonali e federali e i contadini e le contadine. Però per padroneggiare una pratica agronomica servono anni, se non decenni».
C’è stato un cambiamento nel prediligere una specie piuttosto che un’altra, per esempio soia al posto del riso?
«In Ticino per esempio da diversi anni si sta considerando il sorgo come coltura alternativa al mais, però ha una resa inferiore e quello che si semina viene coltivato solo a scopo foraggero per gli animali. Un mercato con prodotti a base di sorgo per l’alimentazione umana praticamente non esiste. Come detto prima: bisogna avere un mercato interessato ad acquistare questi prodotti. Lo stesso discorso vale per i lupini, che richiedono meno acqua, e un sondaggio fatto alla popolazione per vedere il grado di interesse ha dimostrato che ce n’era, ma poco».
La Svizzera tradizionalmente ha diversi allevamenti per bovini da latte, come si stanno regolando i produttori?
«Come ripeto spesso, l’allevamento di bovini da latte si adatta molto bene al nostro territorio: è l’unica attività agricola che è possibile portare avanti in determinate zone. Da noi le vacche possono pascolare all’aperto per molti giorni all’anno, sfruttando in molti casi pascoli che altrimenti non potrebbero avere altra destinazione. L’anno scorso ci sono stati problemi di approvvigionamento idrico seri in alcuni alpeggi. Dalle sorgenti usciva davvero poca acqua ed è stato difficile arrivare alla fine della stagione riuscendo a produrre formaggio. Gli interventi sui pozzi di captazione delle sorgenti vengono fatti con regolarità anche sugli alpeggi; anche negli alpeggi ticinesi in cui sarà necessario farlo si procederà. Però anche in questo caso non si tratta di opere che si realizzano dall’oggi al domani».
La siccità apre a una riflessione sugli allevamenti intensivi. Se da straordinaria diventerà la regola, dovranno essere ridotti?
«Per me sentire parlare di allevamenti intensivi in Svizzera e soprattutto nel nostro Cantone è un’assurdità e bisogna smetterla, soprattutto se penso ai pig palace cinesi dove i maiali vengo allevati in edifici di 26 piani. Nel nostro Paese mi limiterei quindi a parlare di allevamento animale, come anche dimostrato dalla votazione sull’allevamento intensivo dove ben il 62,5% della popolazione ha votato un chiaro NO all’inutile iniziativa del 25 settembre 2022. È altresì evidente che in base alla disponibilità di risorse andrà riorientato anche l’allevamento, cosa che in parte sta già accadendo. Però, ancora una volta, sono molti i fattori in gioco: le abitudini alimentari, le richieste del mercato e soprattutto un calcolo reale delle risorse, che cambiano enormemente in base alle modalità di produzione. Spesso si semplifica troppo, il ciclo dell’acqua così come il suo utilizzo sono invece cose molto complesse».
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