Per ottenere il via libera, sarà necessario sottoporsi a due visite mediche a distanza di due settimane.
“Vado a morire in Svizzera, prima che il male mi divori”. È questa la decisione a cui spesso i malati affetti dalle più svariate patologie arrivano dopo anni di sofferenza. Una scelta fatta in piena consapevolezza, spesse volte quando la lucidità mentale è ancora conservata, come all’esordio di una demenza degenerativa.
In Svizzera, il suicidio assistito è legale dal 1941 e, ogni anno, più di 1’000 persone, per la maggior parte stranieri, scelgono di porre fine alla propria esistenza con questa modalità. Lo confermano le statistiche delle associazioni per il suicidio assistito: dai dati raccolti da Dignitas, per esempio, si può vedere come negli ultimi 20 anni, la maggior parte delle persone arrivavano da Germania (48%), Regno Unito (16%), Francia (15%), Svizzera (7%), Italia (6%) e Austria (2,4%). E ancora: Usa (5%), Israele (3,4%), Canada (2%) e Australia (1,3%). Questo fenomeno, nel tempo, ha fatto conoscere la ridente e verde Svizzera, non per orologi e cioccolata, ma per essere una tra le mete principali del “turismo della morte”.
Sul fronte delle patologie, le persone che più spesso sono indotte a questa scelta sono i malati di cancro (nel 42% dei casi; Ust, 2014). A cui fanno seguito, i pazienti affetti da malattia neurodegenerativa (14%), cardiovascolare (11%), dell’apparato locomotore (10%), depressione (3%), demenza senile (0,8%).
Tempistiche più dilatate
Se fino a qualche mese fa, le modalità per ricorrere al suicidio assistito erano più rapide, da qualche tempo non è più così. Ora, per poter procedere verso il fine vita, devono essere svolte due consultazioni mediche, a distanza di due settimane l’una dall’altra. Prima di questa modifica, la persona interessata, dopo aver ottenuto il “via libera” dall’ente a cui si era rivolto, soggiornava in Svizzera solo per qualche giorno prima di porre la parola fine sulla propria vita.
Così facendo, invece, le tempistiche si sono dilungate, andando a ripercuotersi su volontà e costi per i malati. Un percorso che rischia di diventare molto oneroso, soprattutto per chi necessita di assistenza continua.
Aggiornamento linee guida suicidio assistito
Il cambio di passo è avvenuto lo scorso maggio, quando la Federazione dei medici svizzeri (Fmh) ha approvato la revisione delle direttive medico-etiche del 2018 “Come confrontarsi con il fine vita e il decesso”, dell’Accademia svizzera delle scienze mediche (Assm). Saranno inserite nel codice deontologico della federazione, che dovrà essere rispettato dai suoi membri. La FMH è l’organizzazione ombrello delle associazioni mediche svizzere che rappresentano gli interessi dei medici svizzeri, di cui più del 90% dei medici ne sono parte.
Ecco le linee guida più importanti:
- Ai fini di appurare il sussistere della volontà autonoma di porre fine alla propria vita, salvo casi eccezionali sufficientemente motivati, il medico deve svolgere con il/la paziente almeno due colloqui approfonditi a distanza di un minimo di due settimane l’uno dall’altro.
- I sintomi della malattia e/o le limitazioni funzionali del/della paziente sono gravi e devono essere comprovati da una diagnosi e da una prognosi appropriate.
- Non è accettabile in termini medico-etici, ai sensi delle presenti direttive, l’assistenza al suicidio prestata a persone sane.
- Prima, durante e dopo l’assistenza al suicidio, vanno tenute in considerazione le esigenze dei congiunti, ma anche quelle dell’équipe interprofessionale addetta all’assistenza e delle altre persone coinvolte. Va fornito il supporto necessario e ciò va documentato.
Opinioni controverse
Le nuove misure, più precise per alcuni, non hanno trovato il benestare delle associazioni per il suicidio assistito. Ritengono, infatti, troppo severa la regola delle due settimane, in particolare per le persone straniere, per le quali stanno predisponendo la possibilità di svolgere la prima consulenza online.
Considerando poi che la maggior parte dei pazienti sono persone anziane, viene da sé che diversi di loro sono costretti a recarsi in Svizzera. Nel caso di persone con disabilità fisiche sarebbe necessaria attivare assistenza durante il loro soggiorno e questo farebbe lievitare nettamente i costi, rendendo il tutto molto impegnativo sotto il profilo economico.
A tal proposito, non vengono nemmeno in aiuto le eccezioni previste dalle linee guida: possibili solo nel caso in cui la persona sia in fin di vita o in uno status di elevata sofferenza, per cui sarebbe irragionevole prolungare l’attesa.
Dignitas prende posizione
Dignitas, una delle organizzazioni più conosciute in Svizzera, nella newsletter spedita lo scorso 27 maggio, sottolinea che, nella nuova direttiva, il punto di vista personale del paziente è stato spostato verso una classificazione più oggettiva e medico-diagnostica della sofferenza. Questo significa che un medico svizzero è tenuto a redigere un’analisi ancora più dettagliata rispetto al passato per quanto riguarda la diagnosi: "dovrà infatti considerare l’evoluzione del disturbo nel tempo, le terapie sperimentate, i farmaci…”.
Sulla stessa linea di pensiero anche Exit, la più grande organizzazione svizzera per il suicidio assistito, che ritiene i fattori psicosociali determinanti per il desiderio di morte in una persona.
Anche le persone sane hanno diritto al suicidio assistito
Le associazioni non si sono nemmeno ritrovate sull’indicazione in merito all’“esecuzione del suicidio assistito in persone sane”. Secondo Dignitas infatti non è stato tenuto conto della libertà del singolo individuo: solo a lui spetta decidere momento e modalità della propria fine. Un diritto sancito dalla Corte Suprema Federale Svizzera, dalla Corte europea dei Diritti umani e dalle Corti costituzionali tedesca e austriaca. “Questo diritto – precisa Dignitas – è garantito in tutte le fasi dell’esistenza di una persona. La decisione di porre fine alla propria vita spetta all’individuo, in base al modo in cui definisce personalmente la qualità della vita e un’esistenza significativa”.
Inoltre, Dignitas critica il fatto che su una questione così delicata sia stata presa in considerazione solamente un’organizzazione privata e non enti o medici che si occupano quotidianamente della tematica. Recriminano il fatto che una vita più lunga non corrisponda a una buona qualità di vita. E ritengono che la scienza medica debba assumersi la responsabilità sulle condizioni in cui versa ciascun individuo, a volte consumato dalla malattia da cui è afflitto.
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