L’inflazione sta scendendo. Per Stefano Gianti questo ormai è chiaro. Ma quando prenderanno una pausa dal ciclo dei rialzi dei tassi le banche centrali?
La scorsa settimana Federal Reserve (Fed) e Banca centrale europea (Bce) hanno alzato nuovamente i tassi di interesse, rispettivamente di 25 punti base. Per la Banca nazionale svizzera (Bns) dovremo aspettare settembre per conoscere la sua decisione.
L’inflazione intanto sta scendendo, anche se più lentamente del previsto. Da oltre un anno, i governatori degli istituti centrali si sono detti decisi a contrastarla, riportandola - costi quel che costi - entro i range prestabiliti, dato che nei mesi si è rivelata più appiccicosa del previsto. Tanto che alcuni studiosi accusano la stretta alla politica monetaria adottata, additando i tassi di interesse come inefficaci. Ma è realmente così?
«Negli Stati Uniti l’inflazione è scesa, non ancora ai livelli desiderati dalla Federal Reserve, tra il 2 e il 2,50%, ma la tendenza è chiara e ben delineata - ci spiega Stefano Gianti, education manager per Swissquote Bank -. Inoltre da un paio di mesi a questa parte, i tassi di interesse sono tornati a essere positivi, dopo un periodo di tempo in cui il livello d’inflazione era ben maggiore».
La Bce è in ritardo rispetto alla Fed sulla politica monetaria, quindi è molto probabile che continuerà con la stretta anche a settembre e forse dopo. Avrebbe dovuto muoversi prima?
«La Bce è da sempre in ritardo rispetto alla Fed. Nel 2022, ha iniziato il suo ciclo del rialzo dei tassi a distanza di mesi rispetto all’istituto centrale statunitense, poiché la zona euro era ancora appesantita dal rallentamento economico indotto dalla pandemia. Non si voleva creare un ulteriore impatto negativo. Ad ogni modo, non avrebbe dovuto muoversi in anticipo: innanzitutto l’economia europea non è dinamica quanto quella statunitense e inoltre, durante il biennio 2021-2022, l’economia tedesca era in forte calo. Dunque non sarebbe stato possibile e se lo avesse fatto sarebbe stata ampiamente criticata per una potenziale recessione che almeno sino ad ora non si è palesata».
La Bns in tutto questo si trova in mezzo alla zona euro, nonostante abbia iniziato a rincarare il costo dei prestiti qualche mese prima rispetto alla Bce. Oltre a controllare l’inflazione interna, dovrà quindi prestare attenzione anche alle mosse dell’istituto centrale europeo?
«Tutto sommato per la Bns la situazione è buona. Innanzitutto, non ha dovuto intervenire, così come in passato, sul valore della valuta nazionale. In più, il fatto che l’economia svizzera si sia mostrata nei mesi forte e resiliente, in modo particolare sul fronte dell’export dei servizi, fa sì che gli investitori vedano nel franco svizzero un porto sicuro e investano liquidità in società svizzere. Il tutto rafforzando ulteriormente la moneta. Considerando il tasso nominale effettivo, è infatti tra le valute più forti di quest’anno».
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A quando una pausa da parte delle banche centrali?
«Per quanto riguarda la Bns, a nostro parere, a settembre non dovrebbe inasprire ulteriormente la politica monetaria. Sul fronte Bce, le parole di settimana scorsa di Christine Lagarde suggeriscono ancora una volta un approccio cauto e orientato all’andamento dei dati: gli investitori valutano un problema tedesco abbastanza rilevante e per questo si pensa che non ci sarà un nuovo aumento nella riunione di settembre. La Fed, infine, potrebbe rimandare il prossimo rialzo a dicembre, ma ancora non è detto. Ad ogni modo, dovremmo essere vicini al picco».
In Svizzera nella prima parte dell’anno c’è stato un incremento del numero di fallimenti aziendali. Colpa dei tassi di interesse?
«È normale che l’aumento dei tassi di interesse abbia un impatto sull’economia. Tuttavia, in Svizzera abbiamo ancora un livello di costo dei prestiti molto basso rispetto alla vicina euro zona, pari all’1,75%. Nella Confederazione, inoltre, le conseguenze dell’inflazione sono state meno rilevanti rispetto ai partner commerciali, grazie alla forza del franco che ha permesso di contenere l’inflazione importata. In Svizzera la crescita economica è rallentata, certo, ma non in maniera così importante. Ricordiamo poi che fino a poco tempo fa i tassi erano sotto zero, quindi ben venga un livello positivo».
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Le aziende aumentano intanto i costi dei prodotti per compensare l’inflazione. Insomma, quelli che ci stanno perdendo di più sono i comuni cittadini, è così?
«Sì, soprattutto dopo il Covid, negli Stati Uniti, ma anche nel resto del mondo, l’inflazione è stata scaricata completamente sull’aumento dei costi. Gli indici dei prezzi alla produzione sono aumentati a doppia cifra, così come l’indice dei prezzi al consumo. Una volta scesi i prezzi delle materie prime, tuttavia, le aziende hanno mantenuto i prezzi gonfiati, aumentando i margini di profitto dei venditori al dettaglio».
In quali realtà economiche i salari sono cresciuti e in quali no?
«In Svizzera i salari, stando alle statistiche disponibili, sono tutto sommato saliti, negli Usa anche. Tuttavia, questi dati non mostrano tutte le fasce di reddito: le persone appartenenti alle più basse ne hanno risentito e che ne stanno risentendo maggiormente. Trasferendo tutti i costi ai cittadini, il costo della vita è aumentato. E mentre l’imprenditore assiste a un incremento dei profitti, il dipendente non vede un aumento reale del salario o, per lo meno, non quanto il livello di inflazione».
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