Nel 1943 l’imposta preventiva assumeva la funzione di garanzia contro l’evasione fiscale. Ora, a fronte degli enormi cambiamenti economici, la Svizzera è costretta a rivedere la sua tassazione, per tornare a essere competitiva.
Mancano una decina di giorni al referendum del 25 settembre, quando gli svizzeri saranno chiamati alle urne per votare su delle questioni importanti. I quesiti saranno quattro per tre differenti argomenti: allevamenti intensivi, Avs e imposta preventiva. Anche su quest’ultimo tema, nel corso delle settimane, si sono spese tante parole, a cominciare dal Consiglio federale e dal Parlamento, ma anche voci provenienti dalla piazza finanziaria svizzera. Il tema è complesso e per questo abbiamo deciso di affrontarlo dando la parola a Samuele Vorpe, professore Responsabile del Centro competenze tributarie della Supsi.
Professore, partiamo dal principio: quando è stata istituita e a cosa serve l’imposta preventiva?
«L’imposta preventiva è stata introdotta nel 1943, con l’intento di combattere l’evasione fiscale. Con il segreto bancario e l’inaccessibilità dei dati bancari da parte dell’autorità fiscale, questa imposta era stata adottata come mezzo per combattere l’evasione fiscale. In poche parole: il debitore della prestazione trattiene il 35% del reddito da capitali mobiliari assoggettati all’imposta preventiva e lo versa all’Amministrazione federale delle contribuzioni. Solamente a seguito della dichiarazione di questi redditi da parte del percettore del reddito è possibile ottenere il rimborso dell’importo decurtato».
Gli evasori fiscali in questo modo non sono al sicuro?
«Non completamente. L’autorità federale porta avanti le sue indagini e qualora la persona o la società dovesse venire scoperta, sarà avviata una procedura per sottrazione d’imposta, con il recupero di quanto sottratto e relativa multa fiscale. L’imposta viene, infatti, prelevata preventivamente, ma il percettore soggiace sempre ai suoi obblighi di dichiarazione dei redditi colpiti da imposta preventiva. Detto in altre parole, l’imposta preventiva non libera il contribuente dalla successiva dichiarazione dei redditi. Inoltre, in caso di mancata dichiarazione, il 35% del reddito non viene più recuperato.
Proprio per via del suo tasso così elevato, l’imposta preventiva era stata pensata per incentivare la dichiarazione dei redditi, assumendo così la funzione di garanzia per lo Stato. Non si applica a tutti i redditi, bensì a quelli provenienti da capitali mobiliari (interessi e dividendi), prestazioni assicurative e vincite alla lotteria».
Come funziona dunque l’imposta preventiva?
«Viene trattenuta da chi emette il reddito (cosiddetto debitore della prestazione). Quindi, una banca quando versa gli interessi, una società che emette obbligazioni e versa interessi o un dividendo. Al momento del versamento deve trattenere preventivamente il 35% e versarlo all’Amministrazione federale delle contribuzioni. Spetta poi al beneficiario del reddito fare richiesta del rimborso, come previsto dalla legge».
L’imposta fa poi differenza tra chi risiede in Svizzera e chi all’estero.
«Nel primo caso, per fare un esempio, una società emette un’obbligazione con un interesse annuo pari a 100 da versare all’investitore. Al netto dell’imposta preventiva al 35%, il beneficiario dell’obbligazione percepirà 65 e dovrà poi chiedere il rimborso, una volta dichiarato il reddito. La persona residente all’estero, invece, per ottenere il rimborso deve far capo alla convenzione contro le doppie imposizioni esistente tra Svizzera e il suo Stato di residenza. In assenza di una convenzione, l’imposta preventiva diventa un’imposta definitiva».
Perché questa soluzione non va più bene per la Confederazione?
«Il 35% è uno dei tassi più elevati al mondo e in Svizzera, a detta del Parlamento e dell’Esecutivo, e di conseguenza sta portando diverse società a spostarsi all’estero per le attività di emissione del capitale. Fuori dai confini svizzeri, ad esempio Lussemburgo, è possibile, una volta emessa l’obbligazione, versare l’interesse evitando di trattenere un’imposta alla fonte. L’imposta preventiva viene trattenuta soltanto dalle persone che hanno sede o amministrazione effettiva in Svizzera. Se, quindi, il debitore della prestazione è all’estero, fuoriesce dal campo di applicazione. In questo modo, una società che decide di spostarsi in Lussemburgo e di emettere un’obbligazione, può versare l’intero interesse senza trattenute da imposte alla fonte».
La Svizzera ha perso la sua attrattività?
«Negli anni, la Svizzera si è resa conto del calo drastico delle emissioni di obbligazioni, perché frenata dall’imposta preventiva. La piazza finanziaria ha perso competitività, dunque, soprattutto rispetto a Paesi come il citato Lussemburgo, dove l’imposta da versare alla fonte è pari a zero.
Il Consiglio federale, dopo svariati tentativi di riforma, l’anno scorso ha licenziato un messaggio, approvato poi dal Parlamento, nel quale viene a cadere l’imposta preventiva sugli interessi delle obbligazioni di origine svizzera. Le emissioni di obbligazioni vengono così incentivate, evitando il trasferimento di società in altri Stati».
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Quali vantaggi comporta la revisione dell’imposta preventiva?
«Ci sono dei vantaggi in termini economici per la piazza finanziaria svizzera, perché le società rimangono in Svizzera, generando attività economiche sul territorio (consulenze, posti di lavoro, ecc.).
Per i residenti in Svizzera, l’imposta preventiva rimane solo sui redditi da averi dei clienti delle banche, come conti correnti e di deposito. Mentre sulle obbligazioni emesse da società, Cantone o dalla Confederazione, ecc. l’interesse da parte del beneficiario economico sarà percepito lordo. Il reddito dovrà comunque essere dichiarato, ma l’imposta preventiva non sarà trattenuta».
Cosa cambia per l’investitore residente all’estero?
«Non avrà più bisogno della convenzione poiché riceverà l’interesse senza trattenuta alla fonte. In questo caso si registreranno le maggiori perdite di gettito fiscale, dovute a questa riforma. Per fare un esempio, attualmente con l’Italia vige la convenzione del 1976, per cui l’interesse da obbligazione è imponibile nello Stato di residenza del percettore. La convenzione con l’Italia stabilisce che la Svizzera può trattenere un’imposta alla fonte al massimo al 12,5%. Dunque, nel caso in cui il percettore dell’interesse in Italia dichiari un importo di 100, la Svizzera potrà trattenere il 12,5 e il percettore riceverà un reddito di 87,5. Solo una volta effettuata la dichiarazione dei redditi, sarà rimborsato dallo Stato italiano del 12,5 attraverso il credito d’imposta.
L’aliquota cambia per ogni Stato con cui la Svizzera ha concluso una convenzione, mentre laddove non vi è una convenzione, la Svizzera trattiene il 35% come imposta definitiva. Venendo meno l’imposta del 35% sugli interessi, significa che la Svizzera non trattiene più un’imposta (aliquota zero) sulla base di quanto stabilito dalla convenzione e il percettore riceve l’importo stabilito, senza trattenute.
In caso di accettazione popolare, la Svizzera diventerebbe quindi molto interessante per gli investitori stranieri: acquistando obbligazioni svizzere riceveranno interessi senza alcuna imposta alla fonte. Lo stesso vale per lo svizzero che riceve l’interesse al lordo senza imposta preventiva».
Se sugli interessi da obbligazione non viene trattenuta l’imposta preventiva del 35% viene meno la funzione di garanzia per combattere l’evasione fiscale. Come la giustifica il Consiglio federale?
«Nei rapporti con l’estero la funzione di garanzia rimane, poiché dal 2017 esiste lo scambio di informazioni automatico tra le autorità fiscali sui redditi finanziari. Viene meno invece la funzione di garanzia per i residenti in Svizzera, dove non c’è uno scambio di informazioni e dove continua a sussistere il segreto bancario. Il Consiglio federale lo vede come un indebolimento della funzione di garanzia nella lotta all’evasione fiscale. Ma mettendo sul piatto della bilancia la mancata funzione di garanzia per i residenti in Svizzera con l’interesse pubblico, dato da un aumento dei posti di lavoro e dal miglioramento della competitività svizzera come centro di emissioni delle obbligazioni, ecco che l’Esecutivo ha ritenuto che i vantaggi fossero nettamente superiori agli svantaggi.
Tra l’altro oggi è più difficile nascondere dei capitali e relativi redditi al fisco. Le banche ormai, anche se non previsto dalla legge, perseguono una strategia del denaro dichiarato e quelle che accettano soldi non dichiarati sono sempre meno. Inoltre, dal 2010 ad oggi, sono aumentate le autodenunce esenti da pena da parte dei contribuenti svizzeri».
Quando si vedranno i primi benefici?
«Il Consiglio federale e il Parlamento dicono che nel breve e medio termine i benefici saranno talmente importanti che si dovrebbero riuscire a coprire le mancate entrate derivanti dall’imposta preventiva nel giro di qualche anno. Tutto dipende anche dall’evoluzione dei tassi di interesse. Se dovessero aumentare, le perdite di gettito crescerebbero di pari passo. Se restassero bassi, anche le perdite resterebbero relativamente basse».
Dal suo punto di vista come considera questa proposta?
«Sicuramente si potevano implementare anche altre soluzioni per salvaguardare al meglio la funzione di garanzia, come un sistema di notifica. Va rilevato però che la Svizzera ha perso parte della sua competitività fiscale a causa di diversi motivi: introduzione dello scambio di informazioni automatico, abolizione dei regimi fiscali speciali cantonali (regimi holding e società d’amministrazione), così come la futura implementazione dell’imposta minima del 15% per i gruppi multinazionali a livello mondiale, quando in Svizzera queste società, in determinati Cantoni, oggi pagano meno del 15%. Tutto questo ha indebolito la sua competitività. Eliminando parzialmente l’imposta preventiva, la Svizzera potrebbe recuperare terreno, rispetto a Stati più virtuosi come ad esempio il Lussemburgo».
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