Usa e Cina restano in testa ai Paesi dove le pmi hanno mostrato interesse a espandersi, ma fra i nuovi mercati si segnala l’India. Parola del direttore della sezione ticinese di Switzerland Global Enterprise, dal 1927 in aiuto delle imprese che vogliono crescere oltreconfine. Prossime sfide? Scommettere sui giovani e imparare a tenerseli "in casa".
In che direzione vanno le imprese elvetiche? In quella che porta oltre i confini della Svizzera, alla conquista di nuove frontiere che allarghino la piazza nazionale. Parola d’ordine Tech, dove la Confederazione eccelle e non fa fatica a promuoversi all’estero, ma non è la sola. Food, industria Mem, infrastruttura si affiancano a fintech, cleantech e medtech nell’elenco dei settori dove più le imprese si dimostrano attive nella propria promozione oltreconfine; ad accompagnarle, il più delle volte, Switzerland Global Enterprise, organizzazione senza scopo di lucro che del 1927, grazie all’idea pionieristica di quattro aziende, promuove le esportazioni su mandato della Seco, attraverso servizi di consulenza e formazione. Sede a Zurigo, altre 27 uffici all’estero e rappresentanze nella maggioranza dei Paesi del mondo, osserva le imprese muoversi e le guida attraverso attività di indagine e analisi di mercato, approfondimento degli aspetti fiscali, ricerca di partner commerciali, organizzazione di viaggi d’affari, fiere, workshop: difficile essere esaustivi o più specifici dinnanzi a un’attività che coinvolge la maggioranza dell’industria svizzera interessata a crescere. «Assieme ai nostri partner nazionali ed esteri sosteniamo le pmi nel loro progetto di internazionalizzazione e supportiamo le aziende estere interessate a insediarsi in Svizzera, rafforzando in questo modo la piazza nazionale», spiega Luca Degiovannini, direttore di S-GE Lugano. Dove si va? Nel 2021, in testa c’erano ancora gli Stati Uniti, con il 9,1% del supporto offerto e la Cina, 7,6%; poi Germania (7,3%), Brasile (6,9%), Francia (5,1%). «Mi piace dire che costruiamo dei ponti. Creiamo un network, facciamo crescere le aziende, il loro fatturato e la nostra economia».
Degiovannini, quanto piace alla Svizzera volgere lo sguardo all’estero?
«La Svizzera è un Paese al centro dell’Europa ed è in un certo senso spronata all’export. Si contano circa 600.000 imprese, di queste circa 48.000 sono attive nell’export. In relazione alla popolazione, è un valore alto».
Preferenze?
«Dipende da diversi fattori e dai mercati di cui si è in cerca, ciascuno differente dall’altro per ovvi motivi. Anzitutto, precisiamo: le aziende svizzere non se ne vanno da dove sono. Si spostano, si allargano, verso porti nuovi. Creano alternative. Se dieci anni fa il trend era la Cina, oggi magari si guarda all’India, abbastanza vicina ma più attenta all’aspetto ecologico. Ciò non significa che la Cina venga abbandonata. Resta comunque uno dei mercati più importanti, anche se un certo eccesso di regolamentazioni cui sottopone le aziende sta cominciando a far sentire i suoi effetti. C’è poi da tenere in considerazione il contesto politico, che ugualmente influenza il posizionamento della Svizzera. Fermo restando che è l’obiettivo primo a indirizzare le scelte: la ricerca di competenza».
Mercati emergenti da cui la Svizzera si sente attratta?
«Anche in questo caso, la risposta dipende dai segmenti in cui ci si colloca. Per esempio, nel settore cosmetico, tra i mercati di riferimento identifichiamo l’Indonesia, il Giappone e la Corea; tra quelli emergenti constatiamo un trend positivo per l’Africa del nord e l’America latina. Il settore metalmeccanico, abituato a mercati come la Cina, la Germania, l’Italia, pone uno sguardo attento in questo momento all’India, al Messico e al Brasile. Contano anche gli accordi di libero scambio che si stabiliscono tra i vari Paesi».
A tal proposito, ci sono mercati che tendono a venire abbandonati - e perché?
«La guerra, per esempio, ha costretto tante aziende a cambiare. Mi riferisco in particolare al settore dell’energia. C’è chi oggi guarda all’Arabia Saudita o al Qatar, chi agli Stati Uniti oppure all’Algeria. Anche il settore food e quello farmaceutico sono stati condizionati dal conflitto, visto che molti prodotti arrivavano dall’Ucraina. Non posso dire però che ci sia un mercato che traina. Ci sono, piuttosto, tante opportunità da cogliere, che sono in corso di sviluppo. Le aziende possono chiedere un consiglio alla nostra organizzazione per capire verso quale mercato orientarsi: è bene identificare quali sono i valori aggiunti legati al prodotto, definire che genere di clientela si sta ricercando e analizzare i dati forniti dal mercato. Un esempio: se intendo esportare cioccolato d’alta gamma, potrei orientarmi ad un mercato come il Giappone, attento alla cultura del valore di questo prodotto e dove lo “Swiss Made” è molto riconosciuto».
Settori più favorevoli ai prodotti elvetici? Sempre gli stessi o si intravede qualche ampliamento?
«L’orologeria e la farmaceutica ancora dominano. Così il settore metalmeccanico, che ottiene importanti riconoscimenti grazie all’hi-tech. Ricordiamo peraltro che il fenomeno è duplice: non ci sono solo le aziende svizzere che si espandono all’estero, ma anche le aziende straniere che si stabiliscono in Svizzera.
Da non sottovalutare nemmeno i settori finance e food: formaggio e cioccolato sono ancora riconosciuti come i prodotti “nazionali”».
Ambiti emergenti?
«Biotech, Medtech, la robotica, l’intelligenza artificiale: la Svizzera gode di ottima reputazione all’estero. Anche il Canton Ticino ha diversi ambiti emergenti, con iniziative come il “Plan B” per il settore della criptovaluta portato avanti dalla città di Lugano, il quale attira l’attenzione internazionale verso questa tecnologia. O il centro di sviluppo per i droni a Lodrino. La Svizzera ha ottime possibilità di affermarsi nel mondo soprattutto nell’ambito tecnologico».
Un Ticino che prova - e riesce - a essere leader nel mondo?
«A proposito di tecnologia, pochi sanno che in Ticino oggi si producono i macchinari per la produzione in alti volumi delle puntine a sfera per le penne, presso la Mikron Switzerland AG di Agno. Queste macchine sono impiegate dal 95% dei produttori mondiali: significa che il 95% delle penne a sfera utilizzate ogni giorno in tutto il mondo hanno una relazione con il nostro Cantone».
Poi però arrivano l’inflazione, il franco forte, la crisi energetica: quanto hanno condizionato il mercato dell’export e le decisioni delle aziende?
«Il mio punto di vista è che il franco forte combinato all’inflazione contenuta, in questo momento, possa essere per certi versi anche visto come un’opportunità. La bassa inflazione compensa la forza del franco e dà una certa stabilità ai mercati. Inoltre, rispetto ad altri paesi, il problema energetico ha avuto un impatto minore. Ci sono Paesi che, per compensare i costi, hanno concesso aiuti di governo, che sono andati ad aumentare il debito pubblico e a generare, a mio avviso, più instabilità. Finora la Svizzera ha preferito non intervenire in questa maniera, ma adottare una strategia più orientata alla sensibilizzazione».
Resta comunque l’incertezza generale dei mercati. Nessuna paura?
«La situazione è instabile, senza dubbio. Ma c’è anche un altro aspetto che gioca a favore della Svizzera. Le aziende sono abituate a situazioni del genere e reagiscono rapidamente. Sono più agili e flessibili: lo dimostra il portafoglio di ordini accumulato nel 2022, per molte aziende molto positivo. In tal senso, la stabilità di governo è un fattore importante. Resto convinto che la situazione attuale sia più un’opportunità che un disagio per la Svizzera. Riguardo alla crisi energetica, l’allarmismo di qualche mese fa si è affievolito, grazie anche a un inverno caldo che ci ha fatto consumare meno e ci ha permesso di fare scorta per l’anno prossimo».
Il franco no, l’inflazione no, l’energia no: Degiovannini, la Svizzera non ha proprio nessuna questione da affrontare?
«Tra le maggiori incertezze per le ditte svizzere menzionerei l’erosione degli accordi con l‘Ue, ossia l’accesso privilegiato nel mercato più importante per l’export Svizzero e l’esclusione da Horizon 2020, dove le Università Svizzere a lungo termine possono perdere competitività. Un’altra insidia riguarda le competenze e la ricerca di personale qualificato. In Ticino lo sappiamo bene: l’aumento della manodopera d’oltre frontiera ha anche una relazione con la difficile ricerca di profili qualificati nella regione».
Perché è così complicato trovare competenze in patria?
«Abbiamo ottime scuole, ma c’è anche tanta voglia e facilità nello spostarsi: mantenere le competenze in casa non è scontato. Le prossime sfide da affrontare riguarderanno proprio la capacità di innovarsi e di creare dei programmi aziendali dedicati ai giovani, in modo che un giovane possa vedere un futuro con una prospettiva di crescita nelle aziende attive nella regione, magari integrando nei programmi di crescita la possibilità di seguire delle formazioni all’estero per conto dell’azienda. Una stretta collaborazione tra istituti di formazione e aziende è sicuramente d’aiuto».
Torniamo al capitolo guerra. L’atteggiamento verso la Russia è cambiato, per ragioni etiche, o prevalgono le ragioni del business?
«La nostra associazione resta neutrale e si allinea alla linea dettata dalla Confederazione. Il nostro ufficio a Mosca per il momento rimane in standby. Chi vuole fare business con la Russia può rivolgersi a noi per capire più in dettaglio quale tipi di sanzioni o restrizioni sono in atto».
Qualcuno c’è, a voler seguire la via degli affari a prescindere dalle sanzioni?
«La Russia è una nazione importante a livello internazionale. Un danno d‘immagine però l’ha indubbiamente avuto. A breve termine, direi che il business con la Russia rimane molto complesso. A lungo termine, vedremo. Al momento, per le aziende Svizzere prevalgono altri mercati e diverse aziende attive in Russia prima del conflitto hanno chiuso i loro stabilimenti. Abbiamo registrato un chiaro incremento delle richieste di supporto nel 2002, pari al 4,3%».
E quella percentuale della Svizzera che al momento resta escluso dal novero degli esportatori? La Svizzera che vuole espandersi ha opportunità di crescere ancora? Settori minori, magari curiosi, che potrebbero prossimamente guardare al di là di se stessi?
«Recentemente ho avuto modo di scoprire con piacere che in Svizzera produciamo tanto zucchero dalle barbabietole. Otto barbabietole per un chilo circa di zucchero. Confesso che non lo sapevo. Ovviamente possibilità ci sono, credo più concrete nel settore secondario e terziario. Inoltre, lo Swiss Made è molto riconosciuto a livello internazionale, quindi direi che esportare significa generare più opportunità, una concreta occasione per espandersi».
Esempi concreti?
«La Svizzera ha tante competenze e progetti di sviluppo in corso. Penso al Fintech, ma anche alle energie alternative e il settore del cleantech, i quali si stanno sviluppando molto rapidamente. C’è chi produceva compressori per il gas ad esempio e si sta focalizzando sull’idrogeno. E dove c’è bisogno di tecnologia, la Svizzera ha parecchio da offrire».
Guardiamo la realtà dall’opposto punto di vista. Chi viene qui e perché: solo per condizioni economiche magari più favorevoli?
«Non solo. La Svizzera offre un vantaggio tecnologico, poli di competenza ed eccellenza internazionale, come per esempio l’Istituto Dalle Molle per l’intelligenza artificiale. Nel 2022, per il dodicesimo anno consecutivo, è stata leader mondiale per l‘innovazione. Ha molto da offrire a chi vuole svilupparsi».
Chi arriva, oggi?
«Ci sono diverse nazioni a noi vicine, che aprono qui delle sedi con uffici commerciali per accedere al mercato internazionale, o nazioni che riconoscono nella Svizzera il luogo ideale per sviluppare ulteriormente la loro tecnologia. Non c’è una tendenza particolare di un Paese sull’altro».
Nuove tendenze riguardo ai settori, invece?
«Il settore cripto & blockchain è molto appetibile. In Svizzera la realtà cripto è vista come un’opportunità, non come un pericolo. Questo pone meno limiti e amplia le opportunità».
Degiovannini, quali sono i mercati che suggerisce di tenere sott’occhio, nel futuro prossimo?
«Sud America, direi Messico e Brasile per il settore metalmeccanico. In particolare, per il Brasile constatiamo una crescita d’interesse per il settore del lusso e delle infrastrutture. Darei un occhio all’India per il rapido sviluppo del Paese. Non a caso, già da diversi anni alcune case automobilistiche tedesche hanno creato nel Sud dell’India i loro impianti di produzione anche per i modelli top di gamma. Il raggiungimento di un accordo di libero scambio, per il quale i negoziati sono in corso, aprirebbe molte opportunità, sia per quanto riguarda i volumi di mercato, sia per le competenze tecnologiche. A chi fosse interessato, consiglio di visitare il nostro sito internet s-ge.com, sempre aggiornato su i vari trend di mercato internazionali e le fiere con padiglioni Svizzeri nei vari paesi».
Argomenti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Iscriviti alla newsletter