Per Aiti non c’è dubbio: per rilanciare l’economia ticinese occorre investire e puntare su scuola, innovazione e cultura d’impresa. E per farlo ha studiato a un piano strategico di 10 anni.
«Il Canton Ticino ha bisogno di buon senso» lo ha ribadito anche oggi Stefano Modenini, direttore dell’Associazione industrie ticinesi (Aiti) nella conferenza stampa tenuta in occasione della presentazione di un “Piano economico del cantone Ticino”. L’obiettivo? Stabilire una strategia di crescita economica all’interno del cantone, condivisa tra gli attori del territorio.
Un documento finale di 100 pagine suddiviso in sei capitoli, strutturato su un lasso di tempo di 10 anni quello di Aiti, associazione «che in Ticino – afferma Oliviero Pesenti, presidente dell’associazione – produce oltre il 21% del Pil del cantone. Siamo uno dei datori di lavoro più importante e meritiamo di essere ascoltati».
Queste pagine, secondo quando dichiarato da Aiti, vogliono essere una riflessione sui cambiamenti economici e sociali in corso. Partendo dalle esigenze concrete emerse nel corso delle discussioni con le aziende associate, i temi messi sul tavolo riguardano l’invecchiamento della popolazione, la necessità di aggiornare formazione e competenze delle persone, ma anche cultura d’impresa, innovazione e lavoro transfrontaliero. Inoltre, rappresenta un punto di partenza per parlare con organizzazioni economiche, istituzioni e politica al fine di individuare soluzioni concrete.
Perché un piano strategico
Per Aiti l’industria è un elemento cardine dell’economia e dello sviluppo economico del territorio, per questo è necessario mantenere in Ticino una solida base produttiva.
«Le nostre proposte – spiega Stefano Modenini, direttore di Aiti – partono dalle esigenze delle imprese e danno una fotografia di quello che serve per permettere lo sviluppo economico».
Da rivedere la formazione
Il punto cardine del piano strategico di Aiti è la formazione. Indispensabile adeguamento e allineamento tra scuola e imprese, spesso troppo lontane le une dalle altre. In modo particolare per Aiti bisogna puntare sulla scuola dell’obbligo, per esempio aumentando le competenze digitali e Stem (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica), facendo conoscere la cultura d’impresa e cosa significa fare l’imprenditore, quindi migliorando i contatti tra imprese, giovani e famiglie. C’è poi il discorso della formazione delle competenze personali, le cosiddette soft skills, indispensabili oggigiorno per trovare una buona posizione: capacità di adattamento, responsabilità, disciplina, curiosità. E invita la scuola - dalle medie al liceo - a ripensare all’obbligatorietà del tedesco, lingua necessaria per comunicare nel mondo dell’industria della Svizzera interna. Un elenco di migliorie, insomma, spesso anche provocatorie. Aiti invita infatti lo Stato e il settore scolastico a delle riflessioni: «nel momento in cui aumenta l’insuccesso dei percorsi formativi è indispensabile che la scuola si domandi dove non funziona», commenta Modenini.
Orientamento scolastico
Per quanto riguarda l’orientamento scolastico professionale «ci sono ancora troppi elementi culturali che orientano le scelte dei ragazzi e delle famiglie verso gli studi classici». Spesso dovuto al fatto che al momento dell’orientamento le possibilità offerte da un indirizzo tecnico non vengano ben spiegate: «Non siamo sicuri che tutti gli orientatori conoscano in modo approfondito il mondo delle imprese». Per questo «c’è necessità di rafforzare il legame tra aziende e scuola».
Dal canto suo Pesenti sottolinea che le aziende hanno bisogno «di competenze interne più specifiche per aumentare la competitività. Per questo è necessario creare a livello formativo una base solida uguale per tutti. Una volta assunti, sarà l’azienda a completare la formazione a seconda delle sue esigenze. In questo modo, dopo l’apprendistato, le possibilità di assunzione aumentano per tutti».
Tra le diverse tematiche importanti per Aiti, c’è l’apprendistato. Secondo l’associazione è infatti utile potenziarlo, aumentando il numero delle aziende formatrici, sostenendo e incentivando la creazione di centri di formazione aziendale e interaziendale. Senza dimenticare le 10 mila piccole e medie imprese ticinesi, da convincere a scommettere sulla formazione.
Investire sull’innovazione
Stando ad Aiti per andare avanti con lo sviluppo economico bisogna dare forma a un ecosistema dell’innovazione. Quindi istituzioni e politica devono impegnarsi in maniera più decisa a sostegno delle imprese con investimenti pubblici adeguati e superiori a quelli attuali, perché «Non si fa innovazione con pochi milioni», puntualizza Modenini. Inoltre, nell’ambito del futuro parco dell’innovazione si deve mirare alla realizzazione di centri di competenza basati sulle esigenze dell’economia cantonale. L’innovazione poi passa anche dalla tecnologia e dalla velocità della rete internet, per questo viene richiesto di completare le reti di trasmissione 5G e fibra ottica, per agevolare il lavoro di macchine che hanno sempre più di una grande capacità di calcolo.
Fiscalità e competitività del territorio
Qui l’attenzione di Aiti cade soprattutto sulla competitività fiscale del canton Ticino, al di fuori dalla media svizzera. Sì, perché «per quanto riguarda le persone fisiche – spiega Modenini – non siamo per nulla attrattivi per quelle persone che hanno redditi elevati. Attualmente in Ticino abbiamo una minoranza di contribuenti, circa 18 mila persone con reddito imponibile di almeno 100 mila franchi che finanziano circa due terzi delle aliquote delle persone fisiche e di questi 18 mila, circa 4 mila pagano più della metà di questi due terzi. Significa che non riusciamo a mantenere sul territorio le persone che guadagnano e che quando cessano di lavorare prelevano il loro capitale pensione e se ne vanno. Magari in Canton Grigiori o Uri. Sono persone che qualora dovessero rimanere potrebbero poi anche spendere e investire nel territorio, quindi lo Stato deve prestare attenzione».
Mercato del lavoro
Qualche settimana fa, la pubblicazione dello studio condotto in collaborazione con la Supsi aveva messo in luce le difficoltà circa il mercato del lavoro ticinese, condizionato in modo particolare dall’invecchiamento della popolazione e dal calo demografico. Una questione che preme insieme a quella del frontalierato. Aiti infatti chiede che vengano rivisti gli accordi che regolano il lavoro a distanza dei lavoratori frontalieri dal punto di vista delle assicurazioni fiscali e fiscale.
Richiesta inoltre la valutazione di una definizione di contratti di lavoro specifici che si adattino al meglio alla gestione delle forme di lavoro miste che andando avanti nel tempo aumenteranno sempre di più. Insomma, in poche parole è necessario regolamentare la flessibilità lavorativa, tanto richiesta dai datori di lavoro anche di fronte a picchi di impegno che variano a seconda dei momenti. In ballo poi il rapporto tra Ticino e Italia, al momento fatto solo da rapporti istituzionali ed economici. Le differenze politiche sono diverse, ma secondo Aiti alla luce delle prospettive sul mercato del lavoro è arrivata l’ora di sedersi al tavolo e avere un confronto per definire una dinamica di collaborazione, rafforzare i rapporti tecnologici, formativi, commerciali fra i territori.
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