Non è un paradosso: secondo il manager di Seba Bank, la decentralizzazione non si realizzerà nel modo in cui ci aspettiamo. La libertà dovrà scendere a compromessi, ma gli istituti di credito dovranno «cambiare completamente»
Arduo dire se l’inverno sia davvero finito. Non la stagione che è ormai prossima; quello che piuttosto prova a raccontare, con termini relativamente familiari, una realtà complessa e ancora sconosciuta ai più com’è il mondo crypto. C’è chi dice, raccontando l’ultima crisi che ancora attraversa la blockchain, ribattezzata cryptowinter, che il peggio è passato. Chi sostiene, invece, che c’è ancora da soffrire: e tanto. Tutti d’accordo però su un punto. Il futuro è lì: nessun inconveniente condurrà alla morte quella che la maggioranza degli esperti chiama rivoluzione.
Via libera alla decentralizzazione, alle transazioni dirette; stop al potere concentrato in poche mani, ai vertici degli istituti e delle banche che controllano il denaro. Sbaglia però chi crede che questo significhi scordarsi completamente il passato. Le banche sopravviveranno a tutto questo, e pure egregiamente, adattandosi a nuove esigenze e opportunità: parola di Gregory Mall, responsabile delle soluzioni di investimento per Seba Bank, ospite a Lugano per confrontarsi e raccontare cosa accadrà, fra poi neanche tanto.
Mall, l’aspirazione di Seba Bank è “creare un ponte fra gli asset tradizionali e quelli digitali”. Come si fa a collegare due mondi così distinti?
«Diventando intermediari fra due mondi. Noi di Seba Bank stiamo aiutando i player della finanza tradizionale a guadagnare spazio nella blockchain; dall’altro lato, molto interessanti sono anche i crypto nativi, portatori di specifiche richieste e aspettative anche per quanto riguarda i servizi bancari normali. Purtroppo non sono molte le banche davvero in grado di capire i loro bisogni, di riconoscere da dove viene la loro ricchezza o di avere a che fare con il loro background. Noi parliamo un solo linguaggio, comprensibile a entrambi i player. È questo mix a rendere la nostra banca unica, non l’ennesima copia di qualcosa che si concentra solo sul crypto. Che comunque resta il nostro dna e la nostra missione».
Eppure c’è qualcosa che non torna. Ci avevano detto che la blockchain era la fine del potere centrale, la negazione delle banche. Quello che lei racconta non è una contraddizione?
«Il dibattito è legittimo. Chi ha una visione massimalista pensa in questo modo, ma non sono così tante le persone estremiste fino a questo punto nel ragionare. Ormai sono tutti d’accordo sul fatto che nei mercati crypto non ci sarà una decentralizzazione completa. La decentralizzazione riguarderà piuttosto un numero limitato di protocolli. Per il resto, si agirà in una struttura centralizzata, perché è semplicemente necessario che sia così. Voglio dire: si può benissimo vivere nella propria utopia libertaria. Il problema è che poi, con questo standard, è difficile soddisfare concretamente i propri bisogni. Con le criptovalute, per esempio, non si può comprare casa, oggi. Dunque, da una prospettiva pratica, ciò obbliga a cambiare ideologia».
Sarà sempre così o verrà il momento in cui la decentralizzazione smettera di essere un’utopia?
«Non è necessariamente un’utopia. Ci sono aspetti di finanza decentralizzata che si realizzeranno e coopereranno nel business. Non da un giorno all’altro, ovviamente; ma i progressi sono costanti. E, in questo mondo, credo avremo bisogno di controparti affidabili che garantiscano la nostra sicurezza».
Allude alle banche: dunque non smetteranno di esistere?
«Non credo proprio. Cambierà però completamente il modo in cui sono organizzate, specialmente per quanto riguarda la trasparenza».
Come?
«Ciò che possiamo osservare oggi, nella finanzia decentralizzata, è un sistema di pagamento rivoluzionario. Questo è un passo importante, che avrà profonde implicazioni, a cominciare dall’assenza di discriminazione. Ma i vantaggi sono molti altri».
Quanto tempo ci vorrà? Al momento la blockchain è solo per una minoranza.
«Ciò che bisogna tenere a mente è che in questo mondo egualitario c’è bisogno di un gateway, una porta d’accesso. Non è altrimenti possibile monetizzare, per esempio comprare casa, come dicevamo. Il processo è in corso, ma prenderà almeno un decennio. Ciò che di positivo possiamo osservare oggi è che i legislatori, nell’Ue come negli Usa, stanno riconoscendo l’impatto positivo che questa tecnologia potrà avere sul benessere delle persone, sull’inclusione finanziaria e stanno per questo lavorando a regolamenti per rendere l’ambiente sicuro. Solo quando avremo chiare regole la blockchain potrà diventare mainstream. Altrimenti, rimarrà di nicchia».
Solo un problema di regolamenti o c’entra anche la mentalità? Dieci anni sono davvero abbastanza, per la svolta?
«Almeno dieci anni. In realtà saranno diversi decenni. Fare previsioni è sempre molto difficile. Il passato ci dimostra che non si realizzano, nella magior parte dei casi. Ciò nondimeno, credo sia un trend destinato a svilupparsi sempre di più. Concentrarsi solo sul breve termine e le fluttuazioni quotidiane è sbagliato. Purtroppo, è quello su cui si focalizzano i media. Non bisogna dimenticare che il percorso è in atto e nell’ultimo paio d’anni la crescita è stata notevole».
Così si spiega dunque il brutto periodo dei Bitcoin: con il "breve termine"?
«A mio modo di vedere, il Bitcoin è un caso speciale. Bisogna distinguerlo dalle altre valute. All’inizio non era ciò che è oggi, una sorta di gioco tecnologico. Il Bitcoin è la trama, la storia dell”’oro digitale”. Può diventare un baluardo contro l’inflazione. Non ce ne siamo ancora accorti perché il mercato non ha ancora saputo riconoscere la distinzione netta fra il Bitcoin e gli altri protocolli. Questo è ciò che vedo nel futuro del Bitcoin».
Mall, ma blockchain è una realtà o un desiderio?
«Una realtà che deve affrontare grande criticismo. La blockchain è oggi una soluzione in cerca di un problema: questo riassume il criticismo che incontra. Ci sono utilizzi interessanti, ma gli effetti tecnologici sulla nostra vita al momento sono molto limitati. Se si vuole arrivare a un’ampia adozione, è necessario che venga usato di più e cominci ad avere un impatto pratico sulle nostre vite. Troppe applicazioni ancora ne fanno a meno e la tecnologia è ristretta a poche persone. Ciò che manca perché abbia successo è un’adozione su larga scala».
Vuol dire che prima o poi diventerà realmente popolare?
«Ne sono certo. Prima o poi la blockchain diventerà una utility, un protocollo per internet, uno standard con diverse interazioni. Siamo però ancora all’inizio: di questo si devono ricordare in particolare i detrattori. La tecnologia è giovane e ha bisogno di tempo per emergere e svilupparsi, allo stesso modo in cui ne ha avuto bisogno internet. Internet ha fatto la sua comparsa all’inizio degli anni Novanta, ma c’è voluto un decennio perché raggiungesse il grande pubblico, cambiasse le nostre vite e i nostri comportamenti».
Chi è attualmente il cliente Seba: può essere una persona normale, con un normale conto corrente?
«Al momento, la nostra offerta è limitata agli investitori qualificati. Non ci stiamo avvicinando al mercato di massa. Il nostro cliente è di due tipi: l’investitore tradizionale affascinato dalla blockchain, in cerca di un partner per entrarvi in modo sicuro, e i cripto nativi, che allo stesso modo hanno bisogno di un partner affidabile, in grado di comprenderli e di offrire anche servizi tradizionali».
La blockchain non è dunque qualcosa per i curiosi, che vogliono provare e capire come funziona?
«Non se si rivolgono a Seba».
E con il cambiamento climatico come la mettiamo? Lei non si sente in colpa?
«Il tema delle emissioni ci trova molto sensibili. Tutta la realtà crypto lo è. Siamo consapevoli del tema e del problema. Il Bitcoin e la blockchain possono essere criticati anche per questo, riguardo al consumo di energia, ma non senza prima capire da dove l’energia viene. I maggiori progetti si stanno concentrando sulle rinnovabili e sui luoghi dove l’approvvigionamento energetico è più favorevole, per esempio in Islanda».
Basterà l’energia, anche quando la blockchain sarà una realtà per tutti o arriverà il momento di dire ok, abbiamo scherzato, non se ne fa nulla?
«Non credo. L’uso dell’energia è notevole, parlarne è giusto, ma la soluzione viene dalle fonti rinnovabili. Di fronte ad esse, il tema e le sue obiezioni decadono».
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