Per Ubs potrebbe rivelarsi davvero un grande affare, aver acquistato il pacchetto Credit Suisse al prezzo stracciato di 3 miliardi di franchi. Ma è presto per dirlo. Intanto le incertezze continuano a tenere in ostaggio i mercati.
Credit Suisse non c’è più. Il colosso bancario elvetico, fondato nel 1856 da Alfred Escher, da oggi è parte di Ubs. Una giornata storica e allo stesso tempo desolante.
Un finale che non si può definire completamente a lieto fine. Certo, l’intera faccenda ha lasciato l’amaro in bocca a molti: a cominciare dai quotidiani elvetici i cui titoli hanno parlato di “acquisizione vergognosa” e “scandalo storico”.
La parola fine arriva dopo anni di speculazioni e scandali. Tra i più eclatanti ricordiamo l’inchiesta per evasione fiscale aperta dalla Procura di Milano per aver nascosto al fisco e trasferito in paradisi fiscali 14 miliardi di euro, tramite polizze vita. Lo scandalo sui pedinamenti nel 2020, la truffa dei Tuna Bond in Mozambico tra il 2012 e il 2016; le dimissioni del presidente del gruppo, Antonio Horta-Osorio per aver violato la quarantena in occasione di Wimbledon 2021 e per essere volato per una vacanza personale alle Maldive con il jet privato della banca. All’appello non mancano perdite miliardarie, nell’ambito di Greensill Capital e Archegos Capital Management, per cui fu accusata da parte dell’Autorità federale di vigilanza sui mercati (Finma) di aver violato gli obblighi di vigilanza.
Nel giugno del 2022 è arrivata anche la condanna da parte del Tribunale penale elvetico, per aver spalleggiato il riciclaggio di denaro da parte di cosche bulgare. Era la prima volta che un istituto elvetico veniva condannato: fu costretta a pagare una multa di 2 milioni di franchi. E ancora, il caso «Suisse secrets». Fino a luglio 2022 quando entrò in scena Ulrich Körner, nominato ceo al posto di Thomas Gottstein, arrivato per cercare di sistemare le sorti dell’istituto. A ottobre, la presentazione del piano di revisione strategica. Arrivando al 2023: a marzo, la vendita di tutte le partecipazioni da parte della società americana Harris Associates ha fatto crollare il titolo sotto i 2 franchi e infine, settimana scorsa, le parole del primo azionista del presidente della Saudi National Bank, Ammar Al Khudairy, che hanno innescato una reazione a catena.
L’ancora di salvataggio
Giovedì l’entrata in scena della Finma e della Banca nazionale svizzera che aveva messo a disposizione un prestito da 50 miliardi di franchi che tuttavia non erano riusciti a calmare le acque. Ieri la decisione finale, con l’arrivo Ubs che l’ha comprata per 3 miliardi di franchi, a 76 centesimi per azione, contro CHF 1,85 alla chiusura di venerdì. Nel pacchetto messo a punto, c’è un’assunzione di perdite fino a 5 miliardi di franchi, un prestito garantito dalla Bns fino a 100 miliardi di franchi svizzeri e una garanzia fino a 9 miliardi di franchi svizzeri data dal governo. Gli azionisti della banca, inoltre, riceveranno una azione Ubs ogni 22,48 azioni di Credit Suisse detenute.
Mercati ostaggi dell’incertezza
Intanto l’acquisizione di Credit Suisse lascia aperte tante questioni. E lo si può comprendere dall’andamento dei mercati che questa mattina hanno aperto in profondo rosso. Il titolo dell’ex seconda banca svizzera è precipitato del 60%. Ma ad andare giù anche Ubs che alle prime battute ha perso il 14%, recuperando poi terreno nel pomeriggio e arrivando a guadagnare oltre il 6% a 18,15 franchi per azione.
«Non c’è dubbio che per Ubs acquistare Credit Suisse per 3 miliardi di franchi è stato un ottimo affare - spiega Enrico Lanati (in foto, il primo a sx) di cambiavalute.ch -. Agli investitori però non è ancora noto cosa vi sia all’interno del pacchetto Credit Suisse: ovvero potenziali cause legali o perdite. Ubs, dal canto suo, si è tutelata contro eventuali rischi che al momento non sono noti, con il supporto da parte di Confederazione e Bns». Nel medio periodo «mi aspetto dei mercati abbastanza deboli, poiché il tumulto non è ancora finito. Ci potrebbero essere delle correzioni a livello di tutte le aziende legate al sistema bancario, non solo quelle quotate a Zurigo, ma anche in America e in Europa. Dall’altro lato, Ubs nel lungo termine potrebbe aver fatto un’ottima acquisizione, perché le masse sono tante così come il numero di clienti che in Svizzera è interessante».
La manovra dalla portata storica sta avendo effetti anche sulla moneta elvetica. «Nella giornata di oggi stiamo assistendo a un indebolimento nei confronti dell’euro e questo è dovuto al fatto la tensione sta aumentando, a seguito della decisione presa domenica sera. Una misura assolutamente straordinaria, anche perché si è deciso senza il voto degli azionisti. Sostanzialmente ci sono due forze contrapposte: la prima è quella che vede una banca centrale che sarebbe contenta di vedere la moneta indebolita, la seconda prevede che ci sarà un flusso di acquisti da parte di investitori istituzionali che sarà incentrato sull’acquisto di franchi. Al momento, sembra prevalere la prima forza. Mi aspetto che si possa tornare alla parità tra euro e franco nel breve termine, ma nel medio termine il franco svizzero tornerà a essere più forte nei confronti dell’euro, con un rapporto di circa 0,98 euro a 1 franco». E guardando alle prossime decisioni della Banca nazionale svizzera in merito alla politica monetaria commenta: «sicuramente ora sarà più cauta nel rialzare i tassi di interesse».
L’acquisizione poteva essere gestita meglio
A Zurigo quest’oggi nei pressi di Paradeplatz, la piazza dove il palazzo di Credit Suisse osserva quello di Ubs, l’aria è davvero tagliente. Non è difficile pensare che sarà uno degli ultimi giorni, in cui l’insegna ’Credit Suisse’ svetterà sul tetto dell’edificio e che tra qualche tempo su entrambi ne comparirà un’unica sola.
«L’acquisizione di CS da parte di Ubs è ovviamente l’argomento del giorno, dato che molti cittadini hanno conti in una delle due banche. Anche i cittadini meno interessati al settore bancario si chiedono cosa significherà per la politica fiscale dei prossimi anni». A raccontarlo è Christoph Basten (in foto, il secondo da sx), professore del dipartimento Banca e Finanza dell’Università di Zurigo che nella sua analisi sostiene: «per ora sembra evitata una crisi bancaria più grave», anche se si assiste a «una concentrazione di mercato superiore a quella auspicabile nel settore bancario nazionale». Ci troviamo di fronte a una banca «ancor più "troppo grande per fallire" di quanto non lo siano state le due componenti da sole». Il "mostro bancario" avrà infatti un bilancio totale due volte tanto la crescita economica della nazione.
Tra i diversi dubbi sollevati dopo la notizia della fusione, il timore che l’era svizzera sia in qualche modo finita. Basten sottolinea che «per quanto riguarda la gestione patrimoniale, Ubs è ora ancora più evidentemente il numero 1 a livello globale. Ma oltre a conferirle un maggiore potere di mercato, significa anche che Ubs e la Svizzera saranno sottoposte a maggiori pressioni politiche dall’estero nelle prossime crisi geopolitiche».
Tra le soluzioni, l’acquisizione da parte di Ubs, forse era la meno peggio, ma per il professore si poteva valutare piuttosto una scorporazione della banca: «In base alle informazioni in mio possesso, avrei preferito che Ubs rilevasse solo la parte di gestione patrimoniale, che l’attività bancaria nazionale diventasse indipendente o fosse rilevata da un altro operatore più piccolo come Raiffeisen e che l’attività di investment banking fosse venduta all’estero o fallisse».
Solamente settimana scorsa le parole lapidarie del presidente della Saudi National Bank (Snb) a Bloomberg Tv, senza le quali probabilmente non si sarebbe arrivati a questo punto. «Parole davvero inopportune. Presumo che Al Kudairy non abbia pensato molto alle possibili conseguenze di questa affermazione. Anche la Saudi National Bank pagherà una buona parte dei costi». La Snb alcuni mesi fa aveva rilevato il 9,9% del capitale per 1,4 miliardi, diventanto il primo azionista di CS. La quota, sottoscritta a fine novembre nell’ambito dell’aumento di capitale da 4 miliardi, ora vale circa 300 milioni. In una nota Snb ha dichiarato che “i cambiamenti della valutazione dell’investimento di Snb nel Credit Suisse non hanno impatti sui piani di crescita e sulla guidance per il 2023”.
Mercoledì e giovedì, Fed e Bns decideranno in merito al rialzo dei tassi. «Le banche centrali in Svizzera, come in Europa e negli Stati Uniti, si trovano ora di fronte al compromesso di dover alzare i tassi di interesse per adempiere al loro mandato di stabilità dei prezzi, anche a costo di una certa recessione, e allo stesso tempo devono pensare ogni volta alle conseguenze sulla stabilità finanziaria. Credo e spero che negli ultimi anni la gestione del rischio di tasso d’interesse da parte delle banche svizzere sia stata migliore di quella della Silicon Valley Bank, in modo da non legare inutilmente le mani alle banche centrali nella lotta all’inflazione.
Tuttavia, è probabile che qualche danno sia necessario. Spero che le misure adottate dalla Bns negli ultimi giorni le lascino ancora la capacità di prendere le giuste misure anche nelle altre componenti della sua politica monetaria».
Intervento fondamentale per arginare una crisi di fiducia
In Ticino, Franco Citterio (in foto, il terzo da sx), direttore dell’Associazione Bancaria Ticinese sostiene che «la soluzione comporterà sicuramente dei costi ma, vista la criticità in cui si trovava CS e la forte insicurezza vissuta tanto dai mercati quanto dalla clientela, era opportuno trovare una via d’uscita concreta. L’entrata in gioco di Ubs e il supporto fornito dalla Bns e dal Consiglio federale sono stati fondamentali per arginare una crisi di fiducia che poteva avere ripercussioni pesanti sull’intero sistema finanziario». «Rimangono alcuni nodi da sciogliere, in particolare la gestione concreta della transizione e i relativi impatti sul personale. Per questo sarà fondamentale una collaborazione con le parti sociali, tenendo presente che in Svizzera Credit Suisse ha conseguito ottimi risultati proprio grazie all’impegno delle sue migliaia di collaboratori». La reputazione svizzera rimane integra: «Nonostante le vicende del Credit Suisse abbiano creato una certa instabilità sulla piazza, è fondamentale ribadire che il sistema bancario svizzero rimane solido, lo confermano gli ottimi risultati raggiunti da numerosi istituti negli ultimi anni. Siamo fiduciosi che, con l’acquisizione da parte di Ubs, questa fase turbolenta possa stabilizzarsi».
Quale sarà l’impatto della ristrutturazione?
È chiaro che ora sarà fatta una ristrutturazione importante che avrà un impatto non banale sulle casse di disoccupazione, della spesa della Confederazione e dei Cantoni.
Dalla politica arrivano commenti più diversi. Fabio Regazzi (in foto, il primo da dx), ticinese in Consiglio nazionale (Centro): «Non c’erano altre alternative per evitare il disastro. Non è tuttavia valsa la regola del ‘chi sbaglia paga’. In questo caso, chi ha sbagliato non ha pagato. Perché sono intervenute Confederazione e Banca nazionale a sostenere la situazione». E ribatte: «Fosse successo alla mia azienda avremmo pagato di tasca nostra, saremmo falliti. Forse è un paragone esagerato, ma la realtà è questa. Si tratta di una situazione deludente». Regazzi infatti, oltre al ruolo politico, porta avanti la sua attività di imprenditore nella Regazzi Holding Sa, gruppo industriale di serramenti e protezione solare di Gordola. «Bisogna chiedersi di chi è la responsabilità. In Credit Suisse, per anni, i manager hanno intascato decine di milioni di franchi in bonus e in lauti stipendi, contro i quali non ho nulla. Ritengo tuttavia che quando si sbaglia si debba pagare, in questo caso invece la faranno franca». Mette poi le mani avanti di fronte alla possibilità di un fallimento, la cui posta in gioco, «considerando i rischi legati a clienti della banca, persone fisiche, aziende e Pmi, posti di lavoro» sarebbe stata troppo importante. «I manager, alla fine, non avrebbero pagato. Le conseguenze sarebbero state molto più pensanti per tutti, quindi ho la sensazione che non vi fossero molte alternative». Ora, dunque, bisogna pensare a «minimizzare gli effetti collaterali. Non è un’operazione a costo zero. Penso soprattutto a collaboratrici e collaboratori del Credit Suisse, la stragrande maggioranza non ha una responsabilità diretta. Dovranno però subire almeno in parte le conseguenze di questo disastro».
Il messaggio ai dipendenti
Nel frattempo il ceo Ulrich Körner e il presidente del cda Axel Lehmann hanno inviato due comunicazioni interne ai dipendenti, con ringraziamenti e rassicurazioni: «Lunedì tutti al lavoro, gestiremo il processo con trasparenza e apertura, trattando tutti con equità e rispetto e garantiamo che sarete aggiornati sulle decisioni per ridurre al minimo l’incertezza e disagi». Parole che, molto probabilmente, non sono state sufficienti a rasserenare gli animi.
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