Per il manager di Crypto Finance, i momenti di difficoltà che la blockchain sta attraversando sono solo fasi prevedibili e giuste di una realtà che cresce in maniera selettiva, salvando il meglio per procedere spedita verso un successo assicurato.
Siamo nel pieno dell’inverno, anche se non è ancora cominciato. O forse no: siamo addirittura sul finire di stagione, a sentire i più ottimisti o gli sconsiderati. Eppure non è follia, non paradosso né nonosense. È solo un mondo che segue regole diverse, lontane dal reale comunemente inteso. Perché qui siamo nel campo virtuale, in quella parte anzi più arcana e difficile da contemplare col buon senso. Qualcuno ha sentito parlare di blockchain? Voilà. Per la maggioranza resta un’idea vaga da approcciare con curiosità e precauzione, un nome talvolta che indica un futuro che può appartenere solo ad altri. Per pochi ancora, è invece un’opportunità meravigliosa, che però attraversa momenti difficili senza alcun dubbio: com’è giusto che sia, spiegano gli appassionati, quando si è giovani, inesperti e in cerca delle forze e del consenso per diventare grandi, in senso letterale e figurato.
Ecco dunque che le crisi da affrontare non sono la dimostrazione di un’impossibilità: sono il preludio naturale alla primavera, poi l’estate e il successo. Se il mondo crypto non se la passa bene, da qualche tempo a questa parte, è solo perché sta crescendo e deve divenir robusto; scartare quel che non funziona, selezionare il meglio di se stesso, per trionfar nel mondo.
«Da un punto di vista prettamente tecnico, generalmente parlando, le criptovalute sono un tipo di asset piuttosto nuovo - spiega Stefan Schwitter, responsabile della divisione Asset Management per Crypto Finance, già a Lugano per discutere con altri specialisti in una tavola rotonda se il crypto winter volga al termine - La maggior parte non esiste da più di cinque anni e, com’è normale, segue dei cicli di mercato che, ultimamente, hanno dato origine a situazioni particolarmente estreme. Si parla di inverno quando le criptovalute scendono, crollano».
Si chiacchiera di quarta ondata: normale o forse troppo, per una realtà ancora giovane come dice? Questi "inverni" continui non provano a dirci piuttosto qualcosa, sulla solidità del mondo cripto?
«Si tratta della quarta ondata per alcuni investitori. Per altri è la terza. No, non è una situazione normale, se guardiamo a una realtà stabile, matura. Se parlassimo di marchi come Nesté o J&J, ci sarebbe da riflettere. In questo caso, però, si tratta di qualcosa di nuovo. Gli inverni fanno parte di un normale processo di crescita».
Non dobbiamo preoccuparci: pronto a mettere la mano sul fuoco?
«Dipende da quali ragioni abbiamo e da che tipo di investitori siamo. Sul breve termine, un crypto inverno può distruggere un investitore che specula. Se invece si tratta di un investitore realmente coinvolto e preso dal mondo crypto, che lo conosce ed è preparato ad aspettare anche per anni, fino a che il mercato sia favorevole, non c’è pericolo. In generale, non c’è da allarmarsi: la tecnologia è robusta e sicura».
Eppure, un mese fa, un quotidiano autorevole come il Financial Times ha scritto e titolato che questo crypto winter "rischia di trasformarsi in un’era glaciale". Mero allarmismo o qualche fondamento c’è?
«Il Financial Times è un quotidiano eccellente, ma tende a essere piuttosto critico nei confronti delle criptovalute. Conosco l’articolo e non sono affatto d’accordo con l’analisi. Questo è il primo inverno estremamente impegnativo e difficile. D’altro canto, anche durante le precedenti crisi alcune realtà sono completamente scomparse».
Perché questo inverno è più duro degli altri?
«Ci sono due aspetti da tenere in considerazione. Se si guarda ai precedenti due/tre inverni, il mercato crypro è crollato di una misura pari a circa l’85%. In questo momento, siamo circa all’80%, quindi assolutamente in linea. Poi però c’è il secondo aspetto, che riguada il numero di investitori entrati nell’area crypto, notevolmente incrementato rispetto al passato. In questo senso, la crisi è più grave».
C’è chi ha detto che la crisi che stiamo attraversando sta riportando i crypto-appassionati con i piedi per terra. È d’accordo?
«Quest’anno è stato molto difficile, sono d’accordo. Ci sono stati diversi falimenti, molte organizzazioni hanno dovuto affrontare grosse difficoltà. Il caso Terra Luna è noto, per esempio. In un certo senso, però, è stato un bene. Affinché il mercato fiorisca, è necessario che i business non abbastanza seri o solidi siano messi alla prova di se stessi. Questo periodo è servito a eliminare molti progetti di bassa qualità».
La guerra non ha aiutato. Il Covid era appena stato messo all’angolo. Quanto ha contato tutto questo nel definire la sorte della blockchain e dei suoi attori?
«Quando guardiamo agli investimenti, è normale osservare alti e bassi. Se vogliamo provare a dipingere un quadro complessivo, io non credo che il Covid o la guerra abbiano nello specifico penalizzato la realtà crypto o gli altri asset».
Guardiamola dalla prospettiva opposta. Può il mondo virtuale, e fino a che punto, influenzare quello reale?
«Da un punto di vista pratico, pensiamo alle persone in fuga dall’Ucraina. Se ne sono andate senza nulla, se non il loro wallet e le cryptovalute che hanno consentito loro di cominciare da un’altra parte, senza vincoli di luogo o relazioni dirette con le banche. In questo modo la blockchain può aiutare le persone in carne e ossa».
Eppure gli investitori sembrano essersi un po’ disamorati. La gente si è raffreddata, non crede più come una volta nel crypto. Cosa risponde?
«Io rispondo con un fatto. Ogni banca, dico ogni, ha un progetto che riguarda le cryptovalute. Nessuna esclusa. Forse l’amore non c’è più, e da parte delle banche non c’è mai stato, ma resta la necessità di capire e rispondere alle richieste dei clienti. Che sono concrete, come questo atteggiamento dimostra».
Forse la paura suscitata dalle sorti del Bitcoin frena un po’. Lei che ne pensa: il Bitcoin resisterà ai tempi più duri e davvero decuplicherà il suo valore in pochi anni, come qualche sostenitore ha predetto?
«Domanda da un milione di dollari. Chi può saperlo. La cosa "divertente", però, riguardo al mondo crypto e alle difficoltà che sta attraversando, è che quando se ne parla tutti restano comunque convinti di una cosa: che rivoluzionerà il futuro. Su questo non c’è nessuno che sollevi obiezioni. Il Bitcoin è un caso straordinario. Fin dall’inizio, ha suscitato due reazioni estreme: o odio o amore, senza via di mezzo. È l’unica cryptovaluta realmente libera, al di fuori delle regole monetarie, al di fuori degli schemi, è un baluardo contro l’inflazione. Il Bitcoin è il nuovo oro».
Un bene che sia così?
«Sì, è qualcosa di assolutamente positivo. Il Bitcoin offre garanzie di sicurezza, proprio come l’oro. E la tecnologia è all’avanguardia».
Resta qualcosa di nicchia, al momento. Come farà a crescere, se non c’è riuscito finora?
«Puntualizziamo: le criptovalute non sono più così piccole come un tempo. Stanno crescendo. Certo, chi le utilizza resta ancora una minoranza. Ma, secondo alcuni studi statunitensi, realizzati sulla base di interviste ai giovani, molti di coloro che stanno risparmiando per assicurarsi una pensione stanno investendo nelle cryptovalute. È un trend che si sta espandendo e passa da un gruppo sparuto a sempre più ampio. Anche le persone meno giovani hanno bisogno di capire meglio di cosa si tratta».
Il gap è generazionale?
«È possibile definirlo in questo modo. Parliamo di moneta digitale, insieme alla quale i giovanissimi sono nati. Per loro sarà qualcosa di naturale. Altri, invece, devono imparare ad averci a che fare. Molti sono scettici, soprattutto al di sopra di una certa età. Già intorno ai 40, però, inizia a esserci un’attenzione importante. Non c’è dubbio, la blockchain sarà presto ovunque».
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