Secondo il presidente della Ticino Blockchain Technologies Association, alla base dei guai del mondo cripto vi sarebbe "solo" una regolamentazione insufficiente, che la rende vittima di quel sistema centralizzato che vorrebbe debellare. La soluzione c’è: eccola.
C’è chi la definisce una catastrofe annunciata. Chi un incidente di percorso. Chi un crimine bello e buono; chi un evento inevitabile, in un mondo che vuole crescere e, come un bambino ancora ingenuo, deve imparare come. Opinioni disparate, che dividono nei due fronti consueti e contrapposti i fedeli a ogni costo dai detrattori a prescindere. Nel mezzo, dati di fatto inconfutabili, se non per quel che riguarda cifre che si ingrossano: 30 miliardi di dollari persi, oltre un milione di creditori, nelle stime pessimistiche atte a misurare ciò che è stato il crollo della piattaforma di criptovalute Ftx.
Ipotesi numeriche, che potrebbero addirittura ingigantirsi a causa dei rischi assoociati alla perdita di fiducia nella blockchain. La quale vede sempre più minata la sua credibilità, messa in discussione da episodi clamorosi come, per dirne uno famoso, la sorte del Bitcoin. Non resta così che guardare la realtà cripto precipitare apparentemente vedono il baratro; il tutto mentre Lugano si avvicina a essa con sempre maggiore convinzione, guadagnandosi le critiche della minoranza politica. L’accusa rivolta all’esecutivo è di aver compiuto una mossa quantomeno azzardata, nell’avvicinarsi al Tether e nel lanciare il Plan B, sostenuto anche dalle università locali.
A torto? Niente affatto, giurano gli esperti. Come Giacomo Poretti, presidente della Ticino Blockchain Technologies Association e docente ricercatore Supsi, convinto nonostante tutto che la blockchain non sia afatto al capolinea e che Lugano sia anzi precorritrice di tempi, felici, a venire. «Restiamo in prima fila, il mondo ci invidia».
Poretti, sicuro? Che cosa sta succedendo, dunque?
«Sta succedendo che il crack Ftx ha mandato in fumo miliardi di dollari, generando un effetto a catena e un crollo generalizzato del mercato cripto».
Dice poco. Per quale motivo?
«La causa principale è la mancanza di una regolamentazione chiara».
Dunque anche lei è d’accordo: è colpa delle regole. Che cosa c’è che manca o non funziona?
«In pratica, il sistema è stato vittima del modello che proprio le cripto volevano combattere: l’eccessiva centralizzazione. Exchange come Ftx, Binance e altri sono a tutti gli effetti delle strutture centralizzate al pari delle grande banche e, come le banche stesse, raccolgono e gestiscono i fondi di piccoli e grandi investitori. A differenza delle banche tradizionali, queste organizzazioni vivono oggi in un limbo privo di regole chiare. Ciò ha fatto si che ci si sia accorti troppo tardi della mal gestione di Ftx. Un caso molto simile a quello che nel 2008 aveva portato al crollo di Lehman Brothers».
Con chi dobbiamo prendercela?
«Questo è forse il lato positivo della faccenda. Non si tratta di colpe specifiche del mondo cripto, ma di malversazioni di persone e organizzazioni che si sono mosse al fuori di regole e sistemi di vigilanza».
Perché non abbiamo ancora imparato la lezione? Perché non siamo intervenuti per tempo?
«Il crollo appena avvenuto potrà accelerare una maggiore regolamentazione per strutture che, di base, non fanno della decentralizzazione il loro mestiere».
Eppure, il dubbio resta. Prima il Bitcoin, ora Fxt, per citare solo i casi più imbarazzanti: è forse l’inizio della fine? Quanto è successo ci allontanerà dalla blockchain?
«Se guardiamo alla blockchain come tecnologia alla base del funzionamento delle critpo, questa si dimostra sempre uno strumento tecnologico complesso, ma estremamente efficace per ottimizzare flussi e procedure complesse. Non sarà il caso Ftx a interrompere questa evoluzione, così come il caso Lehmann nel 2008 non ha fermato il sistema finanziario internazionale. Lo sviluppo della blockchain va ben oltre il concetto di pagamenti digitali diretti, che rimangono oggi un mercato di nicchia e un’adozione molto limitata».
Che cosa suggerire agli investitori che, intanto, hanno perso denaro?
«Che il mercato cripto fosse estremamente volatile e rischioso si è sempre saputo. Agli investitori che si sono avventurati lo stesso in questo mercato c’è quindi poco da dire».
C’è modo di recuperare le perdite?
«Gran parte delle perdite difficilmente potrà essere recuperata a breve termine».
Mentre tutto questo si compie, Lugano si avvicina sempre più a un mondo che mostra i suoi punti deboli. Siamo in pericolo?
«Il recente lancio del plan B rimane un’ottima operazione di marketing territoriale. Investe nello sviluppo di tecnologie e nella creazione di competenze molto richieste dal mercato e rende nel contempo la piazza di Lugano attrattiva per le aziende del settore, non per forza legate unicamente ai sistemi di pagamento in criptovalute».
I rischi però ci sono, sulla carta. C’è chi sostiene che la mossa sia quantomeno azzardata. Lei dorme sonni tranquilli?
«Il coinvolgimento di Lugano dal punto di visto economico è molto ridotto, essendo questa iniziativa finanziata principalmente da Tether».
Ultimamente finita nei guai giudiziari.
«Seppur controversa, Tether si sta impegnando con investimenti diretti sul territorio».
La minoranza sta accusando dei medesimi, possibili, futuri "delitti" anche il Plan B: lei che cosa risponde?
«Previsioni sul futuro sono difficili da fare, ma perdere questa occasione di posizionarsi in prima fila, in un settore di ricerca e sviluppo dalle grandi prospettive, sarebbe peccato. Fino a oggi, Lugano e la sua strategia sono guardate con interesse e invidia da molti concorrenti internazionali».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Iscriviti alla newsletter