Lo ha mostrato l’indagine congiunturale presentata dalla Camera di Commercio martedì mattina.
Tutto sommato è stato un anno positivo questo 2022 per le aziende ticinesi. A confermarlo a più riprese, gli interlocutori riuniti negli uffici della Camera di Commercio (Cc-Ti), per spiegare i dati raccolti dall’ultima inchiesta congiunturale.
Per il 2023, tuttavia, le prospettive sono più cupe, a causa delle «molte incertezze presenti nel panorama internazionale», ha anticipato all’inizio della conferenza stampa il presidente dalla Camera di commercio del Cantone Ticino (Cc-Ti), Andrea Gehri.
L’inchiesta in questione ha visto coinvolte 247 aziende associate - di cui 83 del segmento industria-artigianato e 164 del comparto commercio e servizi - che «malgrado le crescenti difficoltà legate ai costi dell’energia, alle reperibilità e ai prezzi delle materie prime e, per le aziende esportatrici, alla forza del franco», sono riuscite a portare a casa un buon risultato, ha proseguito Gehri.
Tra i valori più significativi, dallo studio è emerso che il 44% delle aziende ha effettuato degli investimenti che si prospettano stabili anche per il 2023. Scendendo nel particolare, il numero di aziende appartenenti al settore secondario propense a fare degli investimenti per l’anno prossimo è in aumento al 67%, a fronte del 61% dichiarato nel precedente biennio. Rimane costante l’autofinanziamento, con il 33% delle aziende partecipanti che lo considera buono e il 37% soddisfacente, valori praticamente invariati rispetto agli anni passati.
Preoccupano invece la riduzione dei margini di utile «che potrebbe portare a medio termine a una perdita di competitività e quindi avere riflessi sull’occupazione, che per il momento si conferma stabile», con il 72% delle aziende che ha dichiarato di voler mantenere stabile il numero di dipendenti.
Guardando al 2023, i toni del presidente della Camera di Commercio si fanno meno ottimistici: «Dal 36% delle aziende che considerano di aver avuto un buon 2022, le prospettive si abbassano al 32% per primo semestre del 2023 e al 28% per quanto riguarda la seconda parte dell’anno». Tutte le aziende si attendono insomma che ci sarà una flessione e a un rallentamento della produzione, influenzato soprattutto dal perdurare delle difficoltà sulle catene di approvvigionamento e nell’ambito energetico. Il settore energetico è quello che più di tutti preoccupa le aziende ticinesi: «Il 74% ha segnalato aumenti del costo dell’elettricità superiore al 10% nel 2023». I timori sono soprattutto dati dall’eventuale sospensione della produzione, poiché avrebbero conseguenze pesanti su forniture, prezzi, margini e investimenti.
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La parola è stata poi presa dal direttore della Cc-Ti, Luca Albertoni che ha evidenziato come dall’indagine congiunturale emerga un dato di particolare importanza: «C’è una forte discrepanza tra le risposte fornite dal settore secondario rispetto a quello terziario, sinonimo che il ramo della produzione è il più in difficoltà e le cause sono ancora una volta da ricondurre alle difficoltà sulle catene di approvvigionamento e al rincaro dei prezzi dell’energia».
«La fortuna del nostro cantone è il tessuto economico diversificato che consente all’economia di stare in piedi». «Le aziende sulle aspettative per il 2023 sono state molto prudenti, poiché non si riesce a prevedere nulla. La forte incertezza dilagante, non lo consente. Quel che è certo – sottolinea Albertoni – è che le aziende si aspettano un peggioramento, soprattutto nel segmento industriale».
«Il dato confortante arriva dall’autofinanziamento, rimasto contenuto. Ciò significa che le aziende hanno ancora un buon margine di manovra finanziaria», ha poi continuato.
Sul fronte energetico grazie alla collaborazione tra Cc-Ti e Enerti SA, società delle aziende di distribuzione di energia elettrica in Ticino, le aziende possono avere la possibilità di ottenere modelli tariffali con prezzi bloccati per 3 o 4 anni: «una soluzione per alcuni» che consente di «pianificare con costi alti, ma per lo meno prevedibili». Dall’indagine emerge, inoltre, che soprattutto nel settore secondario il 29% delle aziende, prevede un aumento oltre il 50% dei costi attuali e spicca come, sempre in questo comparto, le fonti energetiche più utilizzate siano elettricità (46%), nafta (44%) e gas (33%). Nel caso in cui si verifichi una eventuale penuria di energia, le imprese si mostrano meno propense a un’interruzione della produzione (8%), ma più decise a misure come telelavoro (51%) e arresto parziale della produzione (39%). Risultati che cambiano al confronto tra secondario e terziario: nel primo caso la misura più gettonata sarebbe la sospensione parziale della produzione (62%) e laddove possibile telelavoro (30%); nel terziario domina il telelavoro (64%), seguito dall’arresto parziale della produzione (24%). Albertoni a questo punto ha voluto puntualizzare: «Le soluzioni non sono sempre facili. Nessuno si augura un contingentamento dell’energia, ma è un’ipotesi da prendere in considerazione. In ambito industriale ci vogliono settimane per sospendere delle attività, come per esempio lo spegnimento dei forni. Le aziende preferirebbero organizzarsi in anticipo: una misura potrebbe consistere nel lavorare per 3 settimane consecutive e sospendere le attività per una. Le misure determinate dalla Confederazione sono in parte inadeguate: non c’è un approccio settoriale e trattare tutti allo stesso modo è sbagliato. Bisognerebbe focalizzare l’attenzione su questo aspetto».
Il fotovoltaico, fiore all’occhiello del Ticino
Tra le diverse misure implementante dalle aziende è emerso che le aziende scelgono sempre più il fotovoltaico, poiché «fin da subito hanno diversificato le proprie fonti approvvigionamento», spiega Michele Merazzi, vicedirettore della Cc-Ti. «Sono infatti molto più responsabili rispetto ai privati e alle istituzioni e stanno mostrando un’attitudine propositiva verso il risparmio energetico».
Il Ticino, inoltre, è un passo avanti rispetto alle imprese del resto della Svizzera: «Siamo arrivati a questo momento con aziende già preparate e con operatori formati e questo ha fatto sì di ottenere una maggiore expertise sull’installazione di pannelli fotovoltaici e solare termico». La difficoltà delle materie prime colpisce però anche questo settore: «Se prima per avere dei pannelli fotovoltaici una azienda ticinese si rivolgeva a un installatore e necessitava di due settimane di attesa, ora servono fino a tre mesi. Ora, i pannelli iniziano ad arrivare con una maggiore rapidità, ma allo stesso tempo c’è difficoltà nel reperire inverter e batterie». Batterie che - spiega - sono sempre meno adottate, poiché: «con i prezzi dell’energia in aumento, a molte aziende conviene rivendere il surplus e dunque lo stoccaggio ha perso di valore». Il fotovoltaico è il nuovo fiore all’occhiello del Ticino, insomma: «Grazie all’esperienza accumulate, ci sono aziende ticinesi che si occupano di installare impianti fotovoltaici che vengono contattate da enti privati o aziende da oltre Gottardo, proprio perché è risaputo che nella nostra regione l’expertise è maggiore». E guardando al prossimo futuro «Si prospetta che vi sia una carenza di personale qualificato nel settore», per questo «si sta già lavorando per incrementare il più possibile il numero di persone formate nel settore dei sistemi di installazione di impianti elettrici e fotovoltaici».
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