Svizzera più virtuosa di altri Paesi nel proporre una normativa snella, capace di garantire standard di inviolabilità: secondo l’avvocato di Lugano, councellor per le aziende, non manca molto al successo clamoroso e globale. «I problemi? Molti meno di quanto si creda».
Le mille opportunità della blockchain: che si aggiora con velocità superiore al corso del mondo, carica di un potenziale arduo da gestire e perfino, talvolta, immaginare. I termini si moltiplicano, aggiungendo nuovo a un vecchio non ancora appreso; le sigle paiono emergere dal nulla, con il loro significato inizialmente arcano che, pian piano, si svela assieme a risvolti e opportunità. Collocate dentro il virtuale, portano influssi anche al mondo reale, che guarda incantato a come si sviluppa e con quali ritmi. Chi lo detesta e condanna, chi lo celebra e difende. Poi c’è chi, con occhio emancipato, ne fa anche una nuova occasione professionale. Come Lars Schlichting, avvocato a Lugano specializzato in ambito LegalTech. Non per cavalcare l’onda in maniera opportunistica, ma come visionario sicuro di cogliere, dentro di esso, il seme di qualcosa di immenso che presto, anzi prestissimo, si mostrerà al mondo che ancora non ci crede. «Ormai non manca molto», dice, ritagliandosi il ruolo di consigliere digitale e finanziario che aiuta «le imprese nella difficile sfida introdotta dalla rivoluzione digitale». Spiegando le sue norme, accompagnandole all’ingresso di un mondo ancora, sostiene, pieno di equivoci.
Avvocato, siamo stati abituati a pensare che la blockchain sia la libertà: la fine del potere centrale e l’inizio di un mondo in cui si fa da sé. Scopriamo invece che le regole servono, anche qui - o almeno dovrebbero servire. Come spiegarlo?
«Attenzione anzitutto: la blockchain non è senza regole. È senza intermediari. Proviamo a spiegarlo con le transazioni finanziarie. Nel mondo bancario tradizionale, se faccio un bonifico Sepa, la transazione è gestita da un ente chiamato European Payments Council, che segue le regole dettate dagli Stati. Significa che, a livello teorico, se un funzionario fosse un truffatore, potrebbe dirottare il denaro e farlo arrivare al proprio conto, invece che a quello di destinazione. Con la blockchain, è impossibile che un terzo possa interferire con il trasferimento di denaro da un wallet all’altro. Entrambe le transazioni, però, sono regolate: nel primo caso dalle norme legali, nel secondo caso dal protocollo, che è inviolabile».
Nessuna possibilità di infrazione?
«Per violarli, servirebbe il controllo del 51% dei miners: un costo difficilissimo da sostenere. Si dice spesso che le transazioni consumano energia: errore. L’energia che serve a una transazione nella blockchain è irrisoria. È il consumo di energia che serve a mettere in sicurezza la transazione, per evitare attacchi esterni e renderla inviolabile, che è elevata».
Parliamo di sicurezza, quando la blockchain è accusata di prestarsi alle peggior cose. Per esempio, al riciclaggio. Come mai?
«Diciamo subito che anche le criptovalute soggiacciono alle normative antiriciclaggio. Anzi, sono più regolate che le valute tradizionali. Io posso andare ad esempio a cambiare fino a 5mila franchi senza bisogno di identificazione. Nella blockchain, il limite è mille franchi. Tuttavia l’idea che il nome “criptovaluta” significhi “nascondere la valuta”, come pure il fatto che le transazioni siano pseudonime, ha creato questa immagine negativa. In realtà la percentuale di riciclaggio nel mondo delle critpovalute è identica a quella del mondo tradizionale».
È così dall’inizio o è il risultato di una "corsa ai ripari"?
«Non è sempre stato così. C’è stato un incremento nelle regolamentazioni. Ad esempio il limite di cui ho appena parlato inizialmente era uguale per le valute tradizionali e le criptovalute, poi la soglia di vigilanza per le criptovalute è stata alzata, abbassando il limite di operazioni senza identificazione».
Il legislatore svizzero: e il resto del mondo? Che differenze esistono fra l’atteggiamento elvetico e quello dell’Europa, per esempio?
«La Svizzera ha applicato un approccio fintech neutrale, decidendo di adattare al Bitcoin e alla blockchain le normative già esistenti prima del loro avvento. Dopo di che, ha creato una normativa ad hoc, ma molto snella, di facile comprensione. Altri Paesi hanno avuto un approccio differente, considerandolo un mondo nuovo che necessitava dunque di regole nuove. Risultato: nell’Unione Europea è nata la MiCA, un regolamento lungo e difficile, anche per gli addetti ai lavori».
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Sembrava che la blockchain fosse un mondo senza divisioni, senza confini. Invece no. Dove abbiamo sbagliato?
«Non è sbagliato: è vero, la blockchain lo è. Se per esempio quest’oggi voglio inviare dei bitcoin in Russia, nessuno me lo impedisce, proprio perché non ci sono intermediari. Il Bitcoin è molto libertario, non ha barriere. Esistono però, di nuovo, le regole. E le regole sono quelle dei protocolli della blockchain, ma anche quelle locali, decise dagli Stati. Che magari, contro la Russia, hanno adottato le sanzioni e dunque se mando Bitcoin in Russia posso essere sanzionato. La stessa cosa si può dire del Metaverso».
Già, il Metaverso. Il nuovo nome che amplia la realtà di un mondo sofisticato. Che cosa porta di nuovo?
«Anche in questo caso, il Metaverso è un mondo libero, aperto a tutti, dove si è andato ad aggiungere un tassello. Siamo passati dal Web1, quello dell’information economy fatto di user e password, dove l’azione possibile era quella del "read", al Web2, cioè la platform economy dei vari Facebook e Twitter, "read and write", per arrivare al Web3, cioè il web della token economy: read, write and earn - leggi, scrivi e guadagna. Se lo applichiamo al mondo del gioco e alla realtà degli NFT e del metaverso, siamo passati dal pay-to-play al free-to-play e, adesso, al play to earn. Oggi il gioco, un tempo centralizzato e acquistabile su disco rigido, è sempre più metaverso, fatto anche di asset digitali che utilizzo, posso trasferire ad altri e posso anche vendere. Siamo giunti al B2B e al B2C: i brand hanno capito che la pagina Facebook non basta, devono interagire di più con i follower. Attraverso gli NFT, si crea un legame fra il consumatore e il brand».
In che modo?
«Per esempio, se sono un noto marchio di scarpe, posso decidere di proporre scarpe digitali associate a scarpe nel mondo reale. Più uso le scarpe nel mondo reale, magari attraverso un sistema di conteggio dei passi tramite smartphone, più acquisto potere per l’utilizzo delle mie scarpe digitali e magari posso anche guadagnare premi».
Tutto questo non genera anche qualche sorta di problematica nella realtà?
«Certamente. I problemi possono essere legati alla legge sui giochi in denaro, anzitutto. Poi c’è la proprietà intellettuale: non tutti i brand hanno protetto il loro marchio nel metaverso. Non ultimo, di nuovo il riciclaggio di denaro».
Uno dei grandi punti interrogativi, quando si parla di blockchain. Le preoccupazioni sono fondate?
«Purtroppo l’attuale legge sul riciclaggio ha ormai dimostrato di non essere efficiente, dato che non sta fermando le attività di riciclaggio. Al contrario queste normative come scritte oggi stanno seriamente bloccando imprenditori e l’innovazione. Ci sono imprenditori che non riescono a realizzare le loro idee, fermati dalle banche che non aprono conti o bloccano transazioni perché terrorizzate - e a giusta ragione - dagli oneri e i rischi legati alla legge antiriciclaggio».
Giusto così?
«No. Oggi abbiamo una tecnologia in grado di compiere una rivoluzione per quanto riguarda la lotta al riciclaggio di denaro, benché, sia detto, a non piacerebbe a tutti. In pratica già oggi possiamo creare una identità digitale e legarla ad un wallet digitale. In questo modo lo Stato avrebbe un controllo totale sulle nostre transazioni, fattore negativo, ma non ci sarebbe più bisogno di fornire tonnellate di dati alle banche e si potrebbe aprire conti in pochi secondi e svolgere transazioni e giustificare automaticamente. In caso di dubbi sull’attività di una persona le autorità penali potrebbero facilmente verificare tutte le transazioni sulla blockchain e scoprire più facilmente irregolarità. Si tratterebbe tuttavia di un mondo orweliano e non sono convinto che tutti lo accetterebbero. Ma la direzione è questa».
Davvero lo crede possibile? Non è un mondo troppo vasto, per riuscire a essere controllato e "punito" là dove serve?
«Certo. Per questo dico che a non tutti piacerebbe. Ma c’è una soluzione».
Quale?
«Il Bitcoin».
Cioè?
«Il Bitcoin permette ancora una certa privacy».
Ciò non determina però altri tipi di problemi?
«È chiaro che i criminali esisteranno sempre. Come detto sopra con l’attuale legge non abbiamo fermato il riciclaggio, ma l’innovazione. Penso che tramite la tecnologia ci sia un modo migliore per combattere il riciclaggio di denaro, ma bisogna salvaguardare anche la nostra privacy. In Svizzera questo problema è forse meno percepito, ma in altri Paesi lo Stato ti può dire che puoi spendere e cosa no; è quello che sta succedendo in Cina per esempio».
Lei parla da parte in causa, come professionista dell’ambito LegalTech.
«Sì, nella mia attività do consigli alle aziende su cosa fare e su cosa non fare nel mondo digitale. Aiuto a capire come utilizzare la blockchain, token, metaversi, NFT. Un’idea che mi ha occupato di recente è quella di tokenizzare gli alberi e con il denaro ricavato piantare nuovi alberi da tokenizzare e finanziare la piantagione di nuovi alberi e così via.».
Da osservatore privilegiato dunque ci dica: l’approccio alla blockchain, dal punto di vista delle aziende, com’è?
«Siamo ancora agli inizi, ma io lo vedo come un elastico che si sta tendendo sempre di più e che partirà molto velocemente. Non siamo molto lontani da quel momento».
La Svizzera, rispetto al resto del mondo, in che posizione si colloca?
«È più avanti nella blockchain, più indietro nella digitalizzazione».
Non è una contraddizione?
«No, è il risultato di due fattori. Siamo più indietro con la digitalizzazione perché abbiamo un’ottima amministrazione e questo non incentiva a cambiare. Siamo più avanti con la blockchain per via delle buone leggi di cui parlavo all’inizio, che rendono la Svizzera molto attrattiva, e anche perché, dopo la fine del segreto bancario, abbiamo sentito il bisogno di trovare qualcosa di alternativo per innovare la piazza finanziaria, anche se in realtà tante banche stanno ostacolando le attività legale alla blockchain».
Il risvolto penale della Blockchain non la occupa - o preoccupa?
«Poco. Potrà sembrare ridicolo, ma i problemi sono molti meno di quel che si pensa. Di che cosa parliamo? Di truffatori, che si offrono di vendere Bitcoin ma scappano con i soldi. Di token farsa che vengono pompati nel mercato e poi venduti, un altro tipo di truffa; ma i truffatori esistono da sempre, anche senza la blockchain. Poi ci sono gli hacker, che entrano nei portafogli altrui e che sono più difficili da trovare».
Dal punto di vista di chi perde il denaro, il risultato è lo stesso. Il distinguo cade, non trova?
«Questo è un problema di criminalità, non di blockchain, che invece è sicura. Un wallet, al contrario, si può hackerare. Come? Con il social phishing, grazie al quale il proprietario cede le chiavi private».
Nella blockchain ci sono anche molti "portafogli dormienti": esistono ma non sono più attivi, perché i proprietari non si ricordano più della loro esistenza e/o hanno perso le chiavi di accesso. Che fine faranno?
«Diventeranno la nuova caccia al tesoro. Non essendo più aggiornati da tempo, avranno livelli di sicurezza sempre più bassi e attacchi violenti finiranno prima o poi per violarli. Alcune società si specializzeranno a tal fine».
Un’azione legittima?
«Certo. È come il galeone affondato che contiene un tesoro. Nel Medioevo non c’erano le tecniche adeguate per andarlo a recuperare; con il perfezionamento della tecnologia, li si è raggiunti. Con la blockchain accadrà lo stesso».
Di quanti wallet e soldi parliamo?
«Tanti. Milioni di Bitcoin».
Bitcoin che ultimamente non ha vissuto tempi felici. Si salverà?
«Non ho dubbi. È l’unica moneta davvero decentralizzata. Intendo dire: chi entrerà nel mondo crypto per speculare, perderà dei soldi. Il mondo crypto va prima studiato e capito. Io il Bitcoin lo vedo come una sorta di assicurazione: non voglio usarla, ma mi può salvare nei momenti di difficoltà».
Può essere una salvezza anche contro l’inflazione?
«Sì, in diversi paesi con un’elevata inflazione il Bitcoin protegge il patrimonio dall’inflazione delle monete locali, anche quando scende. Se l’inflazione dovesse incrementare anche in altri paesi il Bitcoin potrà diventare una valida alternativa. Il vero problema del Bitcoin, oggi, è la speculazione che causa volatilità. Finché ci sarà speculazione, la maggior parte della gente resterà lontana dal Bitcoin, perché non capirà se il valore è dato dalla speculazione o dal suo valore reale. Quando la speculazione cesserà e non sarà più volatile, comincerà il suo successo globale, ma chiaramente il prezzo non sarà quello attuale».
È questo il solo caso d’uso del Bitcoin?
«No, ve ne sono tanti altri. Non è un caso se tanti, il giorno dell’invasione dell’Ucraina la gente non poteva prelevare il denaro, ma alcuni sono fuggiti con i loro wallet in tasca. Oppure parliamo della Russia, Navalny si è finanziato in Bitcoin dopo che Putin aveva fatto chiudere tutti i suoi conti in banca».
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