INTERVISTA Il futuro delle materie prime? La sostenibilità. Matteo Somaini, LCTA: «Allineamo il business, restiamo attrattivi»

Sara Bracchetti

4 Luglio 2023 - 10:14

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Il presidente di Lugano Commodity Trading Association riflette sul cambiamento epocale del settore. Fra le sfide, anche tracciabilità e regionalizzazione del business. Ma la globalizzazione resta: «La relazione commerciale aiuta quella umana. Dove c’è trading, non c’è guerra».

INTERVISTA Il futuro delle materie prime? La sostenibilità. Matteo Somaini, LCTA: «Allineamo il business, restiamo attrattivi»

Basta tornare indietro di qualche mese appena, per capire come le commodity, termine portato alla ribalta in tempo di pandemia per indicare le materie prime che si scambiano sul mercato, abbiano in pochi anni attraversato un processo di evoluzione epocale. Difficoltà di approvvigionamento, incremento dei prezzi, in poche parole la famigerata "crisi delle materie prime", come la ribattezzarono i media in atto di semplificazione: e anche se oggi si può dire che l’emergenza sia rientrata, quello che ci troviamo dinnanzi, al di là delle apparenze generate dal lasciarsi indietro i momenti più duri, è una situazione molto differente e destinata a mutare ancora. Nel senso della sostenibilità, anzitutto, che sta improntando l’economia e, ovviamente, il commercio delle materie prime, chiamate ad adeguarsi a nuove aspettative.

Il ruolo di Lugano

Un quadro complessivo che a Lugano si guarda da lontano e si analizza da vicino, per tramite delle aziende che operano nel settore e si trovano alle prese con un panorama che porta ancora qualche somiglianza con quello che era prima del 2020, ma promette, qui come altrove, di trasformarsi in maniera ineluttabile. L’obiettivo primo della Svizzera è uno: non perdere di attrattività, osserva Matteo Somaini, dal 2020 presidente di Lugano Commodity Trading Association e membro del Cda dell’associazione federale Suissenégoce. Fiducioso che ce la si possa fare, a patto di tenere alta l’attenzione. Laurea in ingegneria gestionale al Politecnico di Milano, una carriera nell’industria dell’acciaio in Duferco dove oggi è responsabile delle relazioni con gli istituti bancari, racconta con la passione di chi crede che il commercio sia un’occasione di confronto e scambio che va al di là del prodotto e arriva all’uomo: chiamato a fare del business un’occasione di relazione interpersonale che si allarga alla cultura e abbraccia le differenze come un valore.

Lugano Commodity Trading Association

Una visione nobile che porta quotidianamente in Lugano Commodity Trading Association, associazione senza scopo di lucro dove si raccolgono alcuni dei maggiori operatori che ruotano attorno alla sfera del Commodity Trading, delle spedizioni, delle assicurazioni e del finanziamento del settore. Era il 2010 quando nacque, per rispondere anzitutto a una nuova necessità di comunicazione. «Fino a quel momento, le aziende avevano sempre mantenuto un profilo basso. Dopo la crisi del 2009, si cominciò a percepire il bisogno di comunicare in modo efficace, specie con gli stakeholder. Nacque così Lugano Commodity Trading Association, soci fondatori la Camera di Commercio, tre banche e una manciata di trader fra cui Dith - Duferco International Trading Holding. C’era però un’altra necessità da soddisfare: trovare personale qualificato, che fino a quel momento le università non formavano. Proprio in quel periodo stava nascendo, a Ginevra, un master dedicato al commodity trading. L’associazione avrebbe avuto anche il compito di gettare le basi di un percorso di formazione adeguato in Ticino. Nel frattempo, LCTA è cresciuta. Oggi raccoglie una cinquantina di società. Il suo ruolo non è solo quello di piattaforma di networking: sotto quel profilo, già ci si conosce tutti».

Scenari attuali

Quali sono dunque i suoi scopi, oggi?
«Rimangono i medesimi due, ma declinati in chiave più appropriata alle esigenze di una società in evoluzione e improntati all’obiettivo di produrre valore per i nostri associati. Sotto il profilo educativo, sono stati attivati corsi ad hoc negli anni, come il “CAS Commodity Professional”, in collaborazione con Zug Commodity Association e Luzern Hochschule. Di recente, abbiamo inoltre messo a punto un corso che mira a colmare il gap educativo che esiste tra un master e una preparazione più operativa. Il Certified Commodity Trading Specialist, alla prima edizione fra il 2 ottobre e il 25 novembre, replica i contenuti del Cas, ma adattati alla maniera in cui il mondo del trading si evolve e più improntato a un know how che viene direttamente dal settore, invece che dal mondo accademico. Per quanto riguarda il secondo aspetto, cioè la comunicazione, oggi più che mai è necessario interfacciarsi con le autorità e con l’opinione pubblica».

Ne consegue: all’interno della Svizzera. Il trading è però qualcosa che, per definizione, guarda al di fuori dei propri confini. I due aspetti come si conciliano?
«Ѐ vero, come associazione non ci interfacciamo con l’esterno. Ovviamente, però, abbiamo diverse società che operano con hub di altri Paesi. Tramite le relazioni societarie, ci si interfaccia inevitabilmente anche con le realtà estere. Uno dei nostri scopi è anche quello di promuovere la piazza svizzera e dimostrarne l’attrattività, in vista della nascita di nuove aziende».

Obiettivo non più facile come magari un tempo. Siamo nel 2023, siamo usciti dal Covid e siamo ancora alle prese con la guerra. Com’è cambiato il quadro e quali sono le difficoltà da affrontare?
«L’uscita dal Covid ha agito da interruttore che ha fatto scattare una grande volatilità, un’impennata dei prezzi, difficoltà di approvvigionamento a seguito delle strozzature che ci si è trovati a gestire. Ci ha però anche portato la consapevolezza della necessità delle materie prime. L’innesco della guerra non ha fatto altro che riaccendere tutto questo, per quanto riguarda la maggior parte delle commodities, ad eccezione di quelle a traino quasi esclusivamente cinese, come ad esempio il rame, che hanno seguito dinamiche leggermente diverse. Ci sono poi le tematiche legate all’energia, legate al gas proveniente dalla Russia. Attualmente, ci troviamo in una situazione generale che potremmo sintetizzare in un ritorno alla normalità».

Possiamo definirla davvero così? Ultimamente si parla spesso di normalità a indicare che ci si è lasciati alle spalle una anomalia, ma quello che ci si trova davanti è una normalità piuttosto differente rispetto a quella del passato. Anche per le commodities è questo è il caso?
«Vero: attualmente c’è meno volatilità rispetto ai tempi post-Covid, ma ci troviamo a livelli superiori a quelli dell’epoca precedente al Covid. In questi pochi anni, molto è cambiato. Pensiamo solo al concetto di transizione energetica: sarà qualcosa con cui avremo a che fare per decenni ancora, sia pur con sfumature diverse a seconda dei luoghi e dei settori. Per quanto riguarda le materie prime, difficilmente si tornerà alla situazione pre-Covid, anche solo per il semplice fatto che il trading di prodotti meno inquinanti è più costoso. La modalità di business subirà una maggiore attenzione alla sostenibilità. In Europa dovremo fare i conti con un cambio strutturale».

Ѐ dunque questa la sfida del futuro: la sostenibilità?
«La tracciabilità delle materie prime, la sostenibilità e la regionalizzazione del business: dobbiamo attenderci più flussi intra-regionali e più barriere, dazi. Questo anche per ragioni legate alla sostenibilità: per esempio, per sfavorire l’importazione di prodotti ad alto impatto ambientale».

Per le aziende, chiamate ad adeguarsi al cambiamento, sarà più un bene o un male? Qual è il suo punto di vista, sulla fase che stiamo attraversando?
«Ѐ una svolta necessaria. Una presa di coscienza, il raggiungimento della maturità del settore. Ciò che spaventa di più è come saranno gestite le diverse velocità del mondo. La maggior parte dell’Asia produce ancora elettricità prevalentemente a partire dal carbone. L’Europa sta compiendo passi importanti, ma non tutti i Paesi mostrano lo stesso sforzo».

Tutto questo come cambierà il trading?
«Che cosa ne risulterà, come gli assetti verranno riaggiustati, quali cambiamenti geopolitici ne risulteranno, è la grossa incognita. In termini assoluti, vedo comunque la cosa come molto positiva. Lugano Commodity Trading Association in questo può avere un ruolo di leadership, grazie alla presa di coscienza delle incertezze a livello globale. Anche per questo motivo siamo attenti all’aggiornamento della formazione, così da restare al passo con il cambiamento».

Somaini, lei ha parlato di regionalizzazione. Dunque è vero quello che si è detto in questi mesi: la globalizzazione è finita, ha dimostrato essere inattuabile? Oppure ci troviamo solo in una fase di passaggio, di aggiornamento, e la globalizzazione tornerà, magari in modo diverso?
«Credo molto nello scambio globale: di merci, ma anche di conoscenze e di cultura. Per una ragione anche molto semplice e significativa: là dove ci sono relazioni commerciali, non c’è guerra. Il trading ha anche questa funzione di mantenimento dei buoni rapporti. Quando ci si incontra, ci si capisce: si capisce il modo di pensare, le ragioni dell’agire, si comprendono le differenze. Ciò detto, è probabilmente vero che la spinta estrema alla globalizzazione era da ridimensionare. Quello che sta accadendo ai flussi commerciali è in parte un assestamento necessario, anche se in questo momento il rischio è di andare all’estremo opposto. La dinamica è in atto e non è necessariamente negativa: un ripensamento ha senso. Mi è capitato, in passato, di vedere progetti che già sulla carta avevano poca logica e si prestavano al fallimento».

Qual è il prezzo che ci troveremo a pagare?
«I flussi di pure materie prime saranno toccati in maniera relativa. Una parte del business rimane necessariamente globale per ragioni naturali o geologiche. Probabilmente soffriremo le posizioni protezionistiche. Ma è importante adattare alla realtà il proprio modello di business. Bisogna dare prova di flessibilità».

Le imprese svizzere avranno bisogno di aiuto?
«Non a livello di conduzione del business. Il "sistema Svizzera" ha dimostrato capacità di risolvere le situazioni. Oggi, l’associazione può dare supporto alle imprese nella comunicazione con pubblico e autorità, là dove una volta si era più deboli, e nel coordinare azioni che intraprese in ordine sparso risulterebbero meno efficienti ed efficaci. Dove possiamo e dobbiamo mantenere alta l’attenzione è nel non perdere l’attrattività. Il possesso di know how e di eccellenze è un ottimo punto di partenza per coltivare e mantenere il sistema fertile, anche guardando all’innovazione».

Da chi dobbiamo guardarci?
«Per anni un ruolo importante l’ha avuto Singapore. Oggi Dubai sta crescendo e i grossi paesi consumatori di commodity, come la Cina, producono campioni locali che diventano sempre più influenti sul mercato. La grande esperienza che esiste in Svizzera da sola non basta, se non viene nutrita regolarmente. Il nostro compito è di non dare nulla per scontato e acquisito».

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