Mentre le frontiere del Giappone restano chiuse al turismo, nel weekend Bellinzona ospita il meglio della cultura nipponica e almeno 10mila visitatori. Sheila Muggiasca, ideatrice dell’evento: «E dire che due anni fa pensavamo fosse la fine».
È un po’ come trovarsi di fronte a un ennesimo banco di prova, nonostante il passato sia robusto e le cifre, quelle di una storia in crescendo improvvisamente interrotta dalla pandemia, più che favorevoli e ottimistiche. Ma il Covid che ha fermato le due ultime edizioni, e ha lasciato forse ancora qualche paura tra la gente, getta un ombra lieve e legittima sul prossimo Japan Matsuri, il numero 9 che doveva essere un 11. Da domani all’Espocentro di Bellinzona e dintorni, per tutto il weekend e fino alle 18 di domenica raccoglierà in Ticino gli appassionati di Giappone e dei suoi "effetti collaterali": e saranno comunque moltissimi, venire e vedere per credere. L’ultima volta, era il 2019, furono 10mila persone, giunte anche dall’estero: il riconoscimento più grande per il gruppo di volontari che, in un giorno preciso del 2011, decise di provare a portare nella Svizzera italiana la cultura nipponica. Di condividere entusiasmi, sentimenti, interessi verso una realtà tanto affascinante quanto, talvolta, sentita come troppo lontana e, a tratti, magaro quasi ostile. Avvicinarla, mostrarne gli aspetti meno noti e più degni di attenzione è il compito dell’associazione di cui è a capo Sheila Muggiasca, ideatrice prima dell’evento.
Sheila, dieci anni fa cominciò tutto come un gioco, una sfida. Invece il Japan Matsuri è diventato grande. È attecchito, ha allargato le sue radici ed è sopravvissuto perfino al Covid. Come avete fatto ad arrivare qui, qual è il segreto?
«Tanta passione e amore per la cultura giapponese. Inoltre, sentiamo molto l’affetto e il tifo dei tanti visitatori del festival. In questi due anni di stop, molti ci scrivevano per farci sentire il loro appoggio e dirci che sentivano la mancanza del Japan Matsuri».
Torniamo un attimo al 2012, l’anno del salto nel buio. Come nacque l’idea?
«È stata una mia idea. Quando c’è stato il grande terremoto del 2011 ho voluto creare una raccolta fondi per aiutare il popolo giapponese. Ho molti amici in Giappone e non dimenticherò mai l’11 marzo 2011. Ho passato l’intera giornata a cercare di rintracciarli. Ho quindi iniziato a lavorare al progetto e a cercare fondi. Ho coinvolto alcuni amici e nel 2012 c’è stata la prima edizione. Molto piccola, pensata proprio come evento benefico e non un festival come è ora il Japan Matsuri».
Soddisfatti o c’era qualcosa da correggere?
«Molto da correggere, senza dubbio. Era una piccola manifestazione, non avevamo nemmeno affittato l’intero Espocentro. Ma fu un successo sin da subito. La prima edizione ebbe più di 2000 visitatori, rimasi molto stupita. Quanto alle edizioni successive, il festival lo correggiamo di anno in anno, in base anche alle disponibilità economiche. Cresce con noi e con il pubblico».
Che cosa è cambiato in questi dieci anni?
«Il Japan Matsuri è cresciuto non solo in contenuti ma anche come area espositiva. Oggi non occupiamo solo l’Espocentro, ma anche una tensostruttura, un’area del prato dietro l’Espo adibita ad area esterna e il PalaSport. L’organizzazione è diventata via via più impegnativa».
Come reagirono invece le autorità all’epoca? Difficile convincerle e avere il loro sostegno?
«All’inizio non fu facile convincere le autorità, ma non solo loro. Il Giappone non era così popolare come ora e molti pensavano stessi perdendo tempo. Poi però incontrai la signora Barbara Perini Venzi, dell’allora dicastero giovani ed eventi di Bellinzona. Rimase affascinata del progetto e mi sostenne fin da subito. Ora lavora in un altro ufficio, ma ho solo bei ricordi legati al suo impegno per aiutare il festival. Molto spesso, e anche ora, non è una questione di mentalità delle autorità, ma del singolo individuo».
Immagino che anche la risposta del Ticino, progressivamente sempre più robusta, abbia contato. Bravi voi o "bravo" il Giappone?
«Bravo il Giappone ovviamente. Ha una cultura talmente bella e affascinante che non può non piacere almeno un aspetto di essa. Inoltre, piace a grandi e piccini. Dalla cultura pop a quella tradizionale ognuno può trovare qualcosa di interessante. Noi siamo stati bravi a proporre un po’ di tutto, ma è stato facile: il Giappone lo amiamo e portiamo al Japan Matsuri quello che ci piacerebbe venisse apprezzato anche alle nostre latitudini».
Avete un target ideale?
«Non l’abbiamo. Negli anni abbiamo visto che il pubblico è sempre molto vasto. Quello di cui siamo orgogliosi è di aver creato un evento culturale che piace molto anche ai giovani, i quali accorrono numerosi».
Che cosa piace di più, che cosa meno e che cosa non vi aspettavate avrebbe interessato così tanto?
«Mi occupo della pianificazione del programma di anno in anno e devo dire che è sempre tutto ben accolto. Non saprei dire cosa interessa di meno, perché tutti gli ospiti e i collaboratori presenti al festival son sempre stati soddisfatti e molte attività tornano di anno in anno, proprio perché di successo».
Azzardo: la cosa che piace di più è la cucina. La gente come si sente a mangiare qualcosa che non riteneva fosse giapponese, di cui fa la scoperta proprio qui?
«Vero, l’aspetto culinario attira parecchie persone, ma come biasimarle. Al Japan Matsuri ci sono prelibatezze che durante il resto dell’anno non troveresti in Ticino. Ho visto molte persone incuriosite proprio da questo e naturalmente ne sono rimaste piacevolmente colpite».
Un giorno però è arrivato il Covid. Avete mai pensato che fosse tutto finito?
«Certo, anche perché nel 2020 avevamo tutto pronto. Il festival si sarebbe dovuto tenere in aprile, ma sappiamo tutti come è andata a finire. Noi ovviamente abbiamo subito delle perdite. Non è stato facile tornare, ma la passione è tanta e il tifo altrettanto».
Sheila, quanto è faticoso organizzare il Japan Matsuri? Quanto lavoro c’è dietro, quante persone?
«È molto faticoso perché siamo veramente in pochi. Pensate, nel comitato siamo solo in 5. Poi, per fortuna, durante i giorni del festival abbiamo i volontari e i soci dell’associazione. Può volerci anche un anno per organizzare il Japan Matsuri, infatti stiamo già mettendo le basi per la prossima edizione, la decima».
Il riscontro più bello che avete avuto?
«L’attaccamento del pubblico è grandissimo. C’è un episodio però che ricordo con affetto: un giorno una signora giapponese mi ha fermata e riferito che sua figlia a scuola aveva invitato tutti i suoi compagni al Japan Matsuri, in modo da poter presentare loro la sua cultura e la sua terra. Era cosi orgogliosa del festival. Lì ho capito che stavamo andando nella direzione giusta».
La critica più brutta e utile?
«Abbiamo avuto anche delle critiche, molte delle quali costruttive e che abbiamo messo in pratica. Ogni anno alla fine del festival pubblichiamo sui social un form di feedback e chiediamo alle persone di farci capire cosa è piaciuto di più e cosa di meno. Abbiamo sempre seguito i consigli nel limite del possibile, perché, ricordiamo, uno dei nostri problemi maggiori è il budget. Io sono una perfezionista e devo dire che le critiche peggiori arrivano da me stessa».
Ormai manca pochissimo, il Japan Matsuri è pronto a riaprire le porte. Qual è il piatto forte di questa edizione?
«Malgrado le incertezze siamo riusciti a invitare ospiti dal Giappone: i maestri Kagawa e Yokota, conosciuti principalmente per le serie tv di Sailor Moon, Pokemon e Naruto; i Tokyo Kenbukai edge Shinderyu, un gruppo artistico che unisce arti marziali e danze in modo sempre diverso fondendo lo stile tradizionale con quello moderno, appassionando il pubblico a ogni passo. Devo dire che siamo soddisfatti di tutto il programma. Collaboriamo sempre con grandi professionisti, siamo quindi sicuri che verrà accolto piacevolmente. Inoltre, quest’anno avremo l’onore di accogliere l’ambasciatore del Giappone in Svizzera Kojiro Shiraishi, che sarà presente durante l’inaugurazione. Il festival è patrocinato dall’ambasciata giapponese, un grande motivo di orgoglio per noi».
E il futuro? Avete in serbo qualcosa di particolare?
«Nel 2023 ci sarà la decima edizione del festival. Abbiamo in serbo tante sorprese. Ovviamente sarà un’edizione molto speciale, ma non posso dire di più, anche un po’ per scaramanzia».
Vi allargherete mai ad altre parti d’Oriente che stanno cominciando a interessare l’Occidente, come anni fa cominciò a fare il Giappone?
«Come Japan Matsuri è un po’ difficile, ma potremmo pensare a un festival “fratello”. Mai dire mai».
E pensare di spostarvi - o allargarvi - a Lugano per attirare ancora più persone?
«Non ci abbiamo mai pensato. Nel 2019 il festival ha richiamato 10mila visitatori, molti dei quali da tutta la Svizzera e anche dal Nord Italia. Bellinzona quindi è molto attrattiva. L’unico problema è che, purtroppo, non dispone di un centro per i grandi eventi e il Japan Matsuri comincia a stare un po’ stretto. Vedremo come si evolveranno le cose in futuro».
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