Il dubbio è legittimo fra chi, attirato dal nome, teme di trovare la stessa cosa. Niente di più falso: ecco perché sono diverse e perché rinunciare a una delle due, prorogate fino a maggio, sarebbe un gran peccato.
"A grande richiesta" è un po’ il filo rosso che le lega tutte: le mostre di Banksy accomunate da un’unica e semplice dicitura, a raccontare di un successo che va oltre i confini e le date definite. A Milano doveva concludersi il 27 febbraio; continuerà fino al 15 maggio. A Lugano, dopo dieci giorni di chiusura prevista il 20 marzo, le sale di villa Ciani sono ritornate ad accogliere i visitatori, aggiungendo "nuove date" fino all’8 maggio.
A Torino, dove è stata aperta il 25 febbraio, si prosegue fino al 29 maggio; chissà mai che invece non venga prolungata, come già successo altrove. Magari di nuovo in concomitanza con quella ospitata nella stazione Porta Nuova di Verona, che s’inaugura domani, 15 aprile, e sarà visitabile fino a tutto luglio.
Che cosa, dove, perché
Luoghi che si moltiplicano, assieme alle opportunità che però, a un certo punto, iniziano a confondere e generare legittime domande. Che cosa, dove, perché soprattutto: perché tante versioni della stessa cosa e in contemporanea; perché seguirle tutte; perché, al contrario, farsi bastare quella più vicina a casa, convinti che non sarà poi tanto differente da quella che c’è altrove.
A villa Ciani 132 piccole opere autentiche
Perché non è vero che sia la stessa cosa, anche quando tutto porta a pensarlo: eccola la prima e più importante delle tre risposte. Diverse delle opere che si ammirano a Lugano, in versione originale appese piccole alle pareti, si ritrovano anche alla stazione Centrale di Milano, per lo più ricreate da giovani artisti anonimi; ma il modo qui offerto per goderne è qualcosa di così diverso che rende quasi differente anche la medesima opera, riprodotta sopra i muri.
In stazione Centrale murales in "grande" stile
Un esempio su tutti, il più banale o familiare: la "Ragazza con il palloncino", che per alcuni sfugge alla presa e per altri invece è in procinto d’essere afferrato dalla mano che si allunga.
Inflazionata al punto da annoiare, sopra una parete della Galleria dei Mosaici, a cinquanta metri dai treni che partono verso mete più o meno lontane, sembra mostrarsi per la prima volta a un occhio mai assuefatto, nonostante il percorso che abbia lì condotto sia fatto di altre decine di opere analoghe viste al piano sottostante e superiore, di cui è una delle ultime.
Banksy è lì, ora incorniciato ora riprodotto su murales, ma ancora non stanca; anzi spiace realizzare che sia ormai prossimo lo shop, evidenza che niente più resta da cui lasciarsi affascinare.
Un allestimento che fa la differenza
È l’arte sua, in fondo; di un artista che, originario di Bristol ma cittadino del mondo, presente sotto copertura ovunque serva essere controcorrente, rigenera i suoi temi e così li sviscera, riproponendo gli stessi animali, gli oggetti e i volti come fossero nuovi. I topi, la regina Elisabetta II e la corona inglese, i cuori rossi, la guerra, valorizzata tanto più dall’esposizione di Lugano che, nello spazio chiuso delle stanze bianche, riesce a esaltare meglio il tema, grazie anche a una presentazione delle opere, tutte e 132 reperite da collezioni private, fin quasi troppo carica carica di dettagli. Niente è lasciato all’intuizione; l’allestimento prova a indagare l’attualità di un conflitto che è la carne dell’essere umano stesso, prima ancora delle sue realizzazioni nella realtà. Al confronto, l’accompagnamento scritto al fianco delle opere di Milano risulta minimale, addirittura talvolta quasi in conflitto con la spiegazione puntuale di villa Ciani.
Lugano: fruizione più intima e meditata
Dove si mira a una fruizione più intima, meditativa. Serve tempo per godere appieno e in ogni aspetto di questa mostra di Lugano, che non può fermarsi alle immagini soltanto, troppo piccole per essere capaci di impressionare a colpo d’occhio. Hanno bisogno di un pubblico che sappia indugiare, lasciarsi conquistare piano e con pazienza, non da ciò che vede in modo fugace ma da ciò che apprende dall’unione dello sguardo col pensiero personale. All’ingresso, un enorme pannello dice tutto ciò che è necessario sapere di vent’anni di attività, dagli albori di Banksy al progetto Dismaland che meglio parla di contraddizioni e subito, non al termine, induce a mettere se stessi in discussione, ragionare, raggiungere conclusioni inaspettate.
Milano: una esposizione emotiva e "immersiva"
Non è una mostra emotiva come quella invece di Milano, che in oltre 130 opere fra cui diverse mai esposte prima - Steve Jobs, Napoleon, Aspettando invano, Angelo dell’ozono - vuole colpire a tradimento e non poteva che puntare a tale fine, fra visitatori di passaggio che sfruttano magari il tempo ristretto dell’attesa di una partenza sui binari. "Immersiva", dice il sottotitolo, quantomai adeguato: non c’è tempo da perdere, qui. C’è da lasciare qualcosa a qualcuno, subito, sfruttando il sentimento che si prova davanti alla grandezza, letterale e figurata, di un artista che ha la capacità di unire.
L’atmosfera undeground di un mondo precario
Quella di Milano è un’esposizione in cui davvero ci si perde, come annunciano le presentazioni, e volentieri; dove si sceglie di non cercare il filo, di lasciarsi condurre in un percorso che solo in apparenza ha un inizio e una conclusione. Si passa dalla guerra all’aspirazione della pace, dalla miseria al capitalismo, il consumismo, l’individualismo e l’ipocrisia, passeggiando nel mezzo di un’atmostfera underground che di Banksy vuole raccontare piuttosto il mondo artistico. Precario, che appare e scompare, con la stessa velocità con cui un disegno appare su una saracinesca nella notte e in poche ore si dissolve, contestato o cancellato o "fuori luogo".
Il contesto è parte integrante dell’opera
Racconti diversi, che sembrano uguali ma in comune hanno solo il nome a fare da richiamo. Seguono strade spaiate, ciascuno con i suoi punti di forza e di debolezza e un messaggio che, al di là delle apparenze, si ricompone e comprende andando a raccogliere con cura i pezzi. Viste qui o là, le opere non sono mai le stesse; le modifica il contesto, che di esso per Bansky è sempre stato parte. Perché l’artista è meno semplice di quel che appare; buono per bambini ammaliati dalle storie come per adulti che vogliono provare a fare un passo oltre, per chi ancora nutre la speranza e per chi si ostina a non credere più a niente.
Non Lugano né Milano, ma Betlemme e NY
Ecco perché oggi compare oggi a Londra e domani a Betlemme, negli Stati Uniti e in Cisgiordania, a usare modi alternativi per dire le stesse cose. Ecco perché oggi poi si sdoppia, triplica, quadruplica. Ed ecco perché non sarà tempo perso ma guadagnato, in queste feste di Pasqua e anche dopo, andare a vederlo in tutte le sue forme, senza preferire l’una all’altra o sminuire il senso grande di un progetto che resta misterioso, come ancora oggi è l’identità del proprio autore.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Iscriviti alla newsletter