Il Covid ha accelerato il fenomeno del telelavoro e ampliato, di conseguenza, le difficoltà di reclutamento delle pmi. Sara Carnazzi, Credit Suisse: "Chi è troppo piccolo è in seria difficoltà".
Il picco si è avuto lo scorso marzo, quando si è toccato "il valore più alto dal 2008". Già allora, in piena recessione, le difficoltà di reclutamento in Svizzera erano state grosse; poi, la situazione sembrava aver trovato un equilibrio. Precario, evidentemente: è bastato il Covid, che certo non è poca cosa ma resta comunque una concausa, a esasperare il mondo del lavoro e inasprire problematiche mai risolte. Nella primavera scorsa, oltre un’impresa su tre si è così sentita "semplicemente" incapace di trovare personale qualificato.
Salari bassi e insicurezza: microimprese bocciate
A essere maggiormente penalizzati, come prevedibile, i piccoli, che pagano lo scotto di salari più bassi e una minore sicurezza del posto di lavoro: improbabile che i più talentuosi, con facoltà di scegliere a chi offrirsi, abbraccino di buon grado tale condizione di fragilità. "Nella corsa ai talenti sono soprattutto le piccole imprese a soffrire", rivela Sara Carnazzi Weber di Credit Suisse, che lo scorso anno ha condotto un’inchiesta intervistando ottocento piccole e medie imprese svizzere: per scoprire, fra le altre cose, che il pessimismo si è allargato. Specie fra le aziende medie, che hanno vissuto un deterioramento più importante rispetto alle microimprese già in crisi da anni.
La flessibilità entra nei colloqui di lavoro
Per queste ultime, però, le cose si aggravano: "Hanno meno possibilità di offrire formazione interna e prospettive di sviluppo - spiega Sara Carnazzi - In particolare, qui sono più limitate le opportunità di lavoro flessibile: un criterio sempre più importante nei colloqui di reclutamento".
Il Covid ha alzato le nostre aspettative
Chi può permetterselo, dunque, risponde con un "grazie e arrivederci", rivolgendo i propri occhi altrove. "Quello che le microimprese dovrebbero fare è puntare sui loro vantaggi: gerarchie orizzontali, competenze gestionali più distribuite e magari l’opportunità di partecipare all’impresa". La differenza, peraltro, la fa non solo la dimensione dell’azienda, ma anche il settore in cui si colloca: "Le differenze possono essere notevoli. In alcuni settori il Covid ha portato a un cambiamento delle aspettative: ormai non siamo più disposti a rinunciare alla flessibilità e le imprese che non soddisfano questa richiesta sono svantaggiate. Parliamo di una pmi su tre".
Non riusciremo a rimpiazzare i vecchi
Così, man mano che i vecchi lasciano, i problemi crescono. "Nel 2029 arriveremo al punto massimo del pensionamento e i nuovi ingressi non saranno in grado di colmare la lacuna. Già il prossimo anno il saldo sarà in negativo".
Formazione vs progresso tecnologico
Il tutto, nonostante il sistema educativo si guadagni elogi: ma è il mondo che cambia e l’istruzione, per quanto finora di alto livello, sembra non saper tenere il passo. "Due sono gli aspetti su cui lavorare. Il 45% vorrebbe più velocità: il sistema è troppo lento rispetto ai ritmi dell’economia, i contenuti della formazione non vengono adeguati alle esigenze del progresso tecnologico. Il 58%, inoltre, chiede che vengano insegnate di più le competenze generali e meno quelle tecniche".
Servono maggiori competenze sociali
Tradotto: capacità analitica, di risolvere i problemi, di fare innovazione. Fanno capolino anche le competenze sociali. Se la scuola latita, ecco che "le pmi cercano di prendere in mano il proprio destino. Visto che non trova competenze specifiche sul mercato, il 75% investe sul perfezionamento professionale dei propri collaboratori e sulla formazione di personale che si trova già in azienda. E’ questa la risposta diretta alla carenza di personale qualificato".
Qui i soldi non sono un problema
Corsi, seminari, conferenze, workshop, esterni e sul posto di lavoro: nove aziende su dieci ci provano. Incontrano però ostacoli che spesso non sanno superare: "Due su tre ritengono che la mancanza di tempo sia quello principale. Il 60% indica anche una mancanza di interesse da parte dei collaboratori, il 58% una carenza di capacità interna". Sorpresa, però: le ragioni economiche restano invece ai margini. Non sono un deterrente, per nessuno. "Neanche le microimprese si sentono svantaggiate".
Il 20% aspira a essere visionario
Se si allarga la prospettiva, ecco che il passo dalla formazione continua in azienda a quello della promozione dei talenti domestici è brevissimo. "Il 13% delle pmi dà sistematicamente la precedenza alle giovani leve interne, con vantaggi a livello di costi, di tempo e di minimizzazione dei rischi. Eppure il 21% non lo fa e il 19% lo fa raramente". Motivo? "Manca di personale idoneo, dice il 43%. Ma una su cinque sottolinea anche che un reclutamento esterno è positivo: permette di portare nuove conoscenze e visioni capaci di fornire nuovi impulsi".
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