Tutt’altro, risponde lo studio di Credit Suisse. Le previsioni di un anno fa sono state smentite, ma se il mercato immobiliare di settore è tornato a crescere è grazie a un incremento dell’occupazione dopo il Covid. La flessibilità, però, è rimasta un must.
Non era neanche un anno fa quando ci si lamentava a ragione, davanti agli strascichi di un Covid che aveva, in ultimo, colpito anche il mercato immobiliare. Basta vivere per il lavoro, benvenuto smart-working e un’esistenza meglio dedica ai valori del benessere e delle relazioni umane. Così, a dicembre 2021, si parlava di una sofferenza preoccupante del settore, penalizzato da una domanda al ribasso.
Zurigo e Losanna fanno da capofila
I mesi passano però, le cose cambiano; e anche la voglia di telelavoro, benedetto come la soluzione a tutti i mali - dal traffico alla scarsa qualità della vita fino a quel momento condotta - ha perso il suo appeal. Non lo immaginava proprio lo studio di Credit Suisse, che nelle sue previsioni per il futuro prossimo annunciava una probabile riduzione fin del 15% nel fabbisogno di superfici a uso ufficio. La smentita è arrivata questa mattina, 7 dicembre, quando sono stati rilasciati i risultati di un’indagine analoga condotta sempre dal medesimo istituto bancario: il trend si è invertito. La richiesta è in aumento, specie nei grandi centri come Zurigo e Losanna.
Lo sfitto si riduce, ma non abbastanza
Merito, pare, di una crescita dell’occupazione, in particolare nell’ultima metà dello scorso anno. Non si tratta solo dunque di rinnegare lo smartworking, ma anche e soprattutto di dare un nuovo posto di lavoro, fisicamente inteso, ai lavoratori in entrata dopo il periodo buio della pandemia. Ciò ha consentito di ridurre l’elevata quantità di sfitto, anche se in misura non proporzionale al fabbisogno della nuova quota di impiegati: segno che, appunto, l’home office resta ancora robusto in una realtà, come quella elvetica, che vuole trarre dal male del Covid il massimo dell’insegnamento buono.
Le postazioni occupate sono in calo
Così, se le aziende di nuovo in crescita hanno dovuto correre in fretta ai ripari, cercando spazi sufficienti dove ospitare la propria forza lavoro incrementata, resta anche diffusa una garanzia di flessibilità che racconta di uffici necessari, sì, ma utilizzati non in tutti i giorni della settimana. Le postazioni attualmente occupate risultano infatti, secondo l’indagine, al di sotto dei valori per Covid, con situazioni molto differenti a seconda dei settori e della tipologia di imprese. Che, però, preferiscono scendere al compromesso, per incrementare il proprio appeal e guadagnarsi i lavoratori più qualificati, che oramai più che a lauti stipendi aspirano a una certa libertà.
I locatari provano a cavalcare l’onda
Un’esigenza però, dimostrano i dati, non incompatibile con quella del mercato degli uffici, che nei grandi centri urbani ha visto decrescere addirittura del 54% le superfici sfitte superiori ai mille metri quadrati. Il tutto nonostante l’offerta stia aumentando: e non c’è affatto da sorprendersi. I locatari hanno cioè deciso di cavalcare l’onda buona e hanno rimesso velocemente sul mercato gli uffici che temevano di non affittare più. Ampliando le opportunità di scelta degli imprenditori, che non di rado negli ultimi mesi hanno deciso di spostarsi da un ufficio all’ltro, giudicato più confacente a esigenze mutate.
La qualità però non è sempre all’altezza
Resta però lo spettro di una recessione, che secondo gli studi dovrebbe manifestarsi nei prossimi anni. Per non dire del problema della qualità dell’offerta, che specie in periferia si rivela inadeguata e non raccoglie i consensi della domanda. Qui gli spazi difficili da commercializzare sono in crescita, secondo un trend che si sta acuendo.
Riconvertire gli uffici? Bella idea, ma difficile
Un’opportunità di reimpiego potrebbe venire da un cambio di destinazione, trasformando gli uffici in appartamenti specie là dove mancano. Tuttavia, le riconversioni sono problematiche, dovendo rispettare i piani di zona e fare in modo non penalizzare l’investimento iniziale, da cui resta il bisogno di rientrare. I costi di conversione, peraltro, in diverse circostanze arrivano all’80% delle spese di un nuovo edificio: una buona idea che però manca di vantaggio e fattibilità economica.
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