Anche l’ipotesi della nazionalizzazione è stata scartata per motivi di rischio. La Finma ha poi respinto le accuse di non aver agito in tempestivamente e di aver ricevuto pressioni dall’estero.
Sono passate più di tre settimane da quando Finma, Bns e Confederazione hanno deciso di salvare Credit Suisse avvallando l’acquisizione da parte di Ubs per 3 miliardi di franchi.
La Finma, ovvero l’Autorità di regolamentazione finanziaria svizzera, ha incontrato oggi la stampa a Berna, per dare delle risposte ai dubbi avanzati dall’opinione pubblica. Le prime dal fatidico 19 marzo.
Durante l’incontro i vertici hanno sostenuto che nei giorni antecedenti l’acquisizione da parte di Ubs, tra le diverse ipotesi sul tavolo c’era anche quella di far fallire Credit Suisse, possibilità presa in considerazione nella loro analisi. «Fino al momento della decisione - ha dichiarato la presidente della Finma Marlene Amstad in conferenza stampa - sono state allestite e seguite quattro opzioni: il risanamento, il fallimento del gruppo con attivazione del piano di emergenza, una temporary public ownership (TPO) e un’acquisizione. Tutti piani che erano pronti a essere firmati fino all’ultimo»
Fusione, unica via percorribile
Insieme ad Amstad, presente anche il direttore di Finma Urban Angehrn. Entrambi hanno ribadito che l’accordo tra le due banche era l’unica opzione possibile, difendendo il ruolo del regolatore nella transizione messa insieme in tempi stretti.
«Molte delle nostre misure spesso le più severe, non possono essere rese pubbliche - ha affermato Amstad -. Agire, sfruttare tutti i mezzi a disposizione, ma non poterne parlare pubblicamente fa intrinsecamente parte della vigilanza. In questo caso, tuttavia, vi è una particolare necessità di vigilanza di esporre i fatti più importanti e di rettificare voci e supposizioni. È per questo che oggi siamo qui».
La presidente ha sostenuto anche le parole dette il 25 marzo scorso dalla ministra delle finanze Karin Keller Sutter secondo cui Credit Suisse non sarebbe sopravvissuta a un altro giorno di negoziazione, in mezzo a una crisi di fiducia degli investitori. Ha poi respinto le accuse per cui Finma non avrebbe agito in modo tempestivo o sufficientemente aggressivo per affrontare i problemi dell’istituto finanziario. Nel loro intervento hanno difeso la Finma sostenendo che nel corso degli ultimi anni, l’Autorità di vigilanza ha emanato sei procedimenti esecutivi pubblici nei confronti di Credit Suisse e che già nel 2020, inoltre, la Finma aveva già richiesto a CS maggiori riserve di liquidità. Respinta inoltre l’idea che Finma abbia ricevuto pressioni dalle autorità straniere, soprattutto negli Usa.
Tra le diverse questioni è emersa quella tanto discussa delle Additional Tier 1 Credit Suisse: i detentori hanno visto sfumare un valore pari a 17 miliardi di dollari, in un solo pomeriggio. Una mossa che ha consentito agli azionisti di recuperare del valore, mentre le obbligazioni venivano di fatto cancellate. Un fulmine a ciel sereno, che ha colto alla sprovvista la piazza finanziaria. Solitamente infatti i primi ad assorbire le perdite di una banca in difficoltà sono gli azionisti. Dal canto suo la Finma ha ribadito di avere il diritto legale di annotare gli AT1 e qualora le azioni legali vengano intentate, le affronteranno, scrive Bloomberg.
Amstad ha poi detto che sarebbe lieta se Finma ottenesse il potere di multare le banche per scoraggiare comportamenti scorretti, ma ha sottolineato di non voler andare troppo oltre: «Finma non è un’autorità criminale e non vuole esserlo».
I deflussi erano in miglioramento
Sui deflussi dei clienti, il direttore Urban Angerhn ha ripercorso i mesi addietro l’acquisizione, osservando che erano «drammatici in ottobre, ancora drammatici ma in diminuzione in novembre e ancora inferiori in dicembre». Tra gennaio e febbraio erano in miglioramento, tanto è vero che avevano permesso a Credit Suisse di predisporre nuove riserve di liquidità.
Anghern ha poi esposto le diverse opzioni valutate per il futuro di Credit Suisse: «Nel soppesare attentamente i pro e i contro, le opportunità e i rischi, tutti gli attori coinvolti sono giunti alla stessa conclusione: nella situazione concreta, l’acquisizione di Credit Suisse da parte di Ubs è la migliore opzione percorribile - ha spiegato -. «La fusione riporterà la calma sui mercati e riuscirà a evitare un effetto contagio. Non si può dimenticare che Credit Suisse non è una banca qualunque, ma un istituto di rilevanza sistemica. Il suo risanamento avrebbe provocato un rischio di contagio e compromesso la stabilità finanziaria in Svizzera e nel resto del mondo». La nazionalizzazione - invocata da molti - «è stata respinta per motivi di rischio e legali e per una preferenza per una soluzione del settore privato», ha affermato.
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Le dimensioni di Ubs
Intanto preoccupano le dimensioni che assumerà il nuovo colosso bancario, ma Angehrn ha sottolineato che «saranno la metà di quelle che aveva Ubs prima del 2008 rispetto al prodotto interno lordo della Svizzera». Aggiungendo che “il regime too big to fail” in Svizzera «prevede che i requisiti patrimoniali delle banche aumentino in proporzione alle loro dimensioni; quindi, una banca di dimensioni doppie deve detenere più del doppio del capitale. Requisitivi patrimoniali che saranno applicate anche a Ubs, dopo un periodo transitorio. La Finma sorveglierà e li imporrà».
Fusione Cs-Ubs verso la formalizzazione in Europa
Bloomberg riporta inoltre che le autorità di regolamentazione dell’Unione europea hanno dichiarato di aver approvato la richiesta di rinuncia da parte di Ubs e Credit Suisse alla cosiddetta “clausula sospensiva”, che impedisce alle operazioni di procedere prima di essere state esaminate, incidendo sulla concorrenza dei 27 Paesi europei. Ubs e Credit Suisse, infine, dovranno notificare la loro fusione ai sensi del Regolamento UE sulle fusioni.
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