Lunedì 19 dicembre è attesa la votazione sul testo unificato al Senato italiano, sintesi tra il disegno di legge parlamentare del Pd e quello di iniziativa governativa approvato dal Consiglio dei Ministri.
Da gli indizi che giungono da Roma, l’Italia sta procedendo a passo spedito verso l’approvazione del nuovo accordo fiscale che sostituirà quello precedente del 1974. Ripercorrendo le varie tappe, lo scorso 24 novembre, il Consiglio dei Ministri italiano ha approvato il disegno di ratifica ed esecuzione dell’accordo tra i due Stati. Passato poi al vaglio delle commissioni del Senato a inizio dicembre. Due giorni fa, la discussione in commissioni esteri e finanze congiunte (sempre in Senato) che ha portato all’adozione del cosiddetto “testo unificato”, di fatto la sintesi tra il disegno di legge parlamentare del Partito democratico e il disegno di legge di iniziativa governativa approvato dal Consiglio dei Ministri. Il testo unificato comprende tutte le previsioni legislative già oggetto dei testi precedenti e sarà posto in votazione lunedì 19 dicembre.
«Questa sembra la volta buona», commenta Norman Gobbi, direttore del Dipartimento delle Istituzioni del Cantone Ticino. Gobbi, tra l’altro è anche membro di Regio Insubrica, euroregione e comunità di lavoro transfrontaliera (di cui fanno parte Cantone Ticino e le Province di Como, Varese, Verbano-Cusio-Ossola, Lecco e Novara), ente che ha svolto un ruolo da mediatore fondamentale per formulare la lista d’intenti tra Cantone Ticino e Lombardia presentata poi al governo italiano.
Direttore, ormai è fatta, salvo ulteriori imprevisti, il nuovo accordo fiscale sarà firmato anche dall’Italia. Alcuni sperano venga approvato entro fine anno, altri nel 2023. Per lei cosa è meglio?
«Prima è meglio è, idealmente entro fine anno, ma soprattutto prima che subentrino nuovi eventuali cambi di governo. Cambi cui purtroppo ci siamo abituati nel tempo, e imprevedibili anche a ridosso delle elezioni, che implichino una ripresa da capo della procedura di ratifica da parte italiana».
Quali sono i punti di forza e cosa invece, secondo lei, manca?
«Il nuovo accordo prevede a tendere maggiori entrate fiscali, sia per la Svizzera (Confederazione, Cantoni e Comuni) che per l’Italia, ed è uno strumento utile per combattere il dumping salariale. Prevede inoltre finalmente una definizione giuridica chiara del termine di frontaliere, fatto che favorisce la certezza del diritto. Non da ultimo, di interesse particolare lombardo e piemontese, mantiene importanti entrate finanziarie a favore dei comuni di frontiera: una risorsa importante per loro, sempre che vengano ben investite a favore del territorio e non servano a coprire i deficit di bilancio degli stessi comuni. Da rimarcare poi che manca attualmente una definizione chiara del telelavoro per i lavoratori transfrontalieri, fenomeno recente che si è sviluppato durante la pandemia, ma che oramai si è diffuso in vari settori».
Con il nuovo accordo fiscale il lavoro in Svizzera diventerà meno attrattivo per i frontalieri?
«Diventerà soprattutto meno attrattivo per le categorie di frontalieri che offrono i propri servizi in cambio di salari inadeguati al costo della vita svizzero e che indirettamente favoriscono il dumping salariale. Importante per noi come Cantone Ticino è continuare a difendere la manodopera indigena, sia nel mondo dell’occupazione che nel riconoscere adeguati salari in linea con il costo della vita ticinese, che permettano una vita dignitosa».
Significa dunque una riduzione di dumping salariale o c’è anche il rischio di un possibile vuoto di manodopera?
«Lavorare in Svizzera e nel Canton Ticino per i lavoratori frontalieri rimarrà – purtroppo - finanziariamente attrattivo anche con il nuovo futuro regime fiscale. La mancanza di manodopera esiste già ora in determinati settori economici, e questo pone un problema che va gestito principalmente tramite la formazione e lavorando sulle condizioni quadro del lavoro, non unicamente sugli incentivi finanziari».
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