Nelle scorse settimane la Lega ha depositato un’interrogazione al Consiglio di Stato per contrastare le assunzioni privilegiate di manodopera frontaliera a basso costo.
La Svizzera ha bisogno di forza lavoro e, per questo, il numero di frontalieri continua ad aumentare. Situazione che non cambia per il Ticino: basta infatti guardare agli ultimi dati diffusi dall’Ufficio federale di statistica secondo cui tra aprile e giugno di quest’anno solamente nella regione sono cresciuti dell’1,4% rispetto al trimestre precedente, arrivando a quota 79’181 unità.
Mancanza di personale o furbizia?
Tuttavia, nonostante il fenomeno della carenza di manodopera sia una situazione verso cui la Svizzera sta realmente andando (e di cui abbiamo parlato più volte), alcune aziende puntano all’assunzione di personale frontaliero per risparmiare, pagando il lavoratore il minimo indispensabile.
Nelle settimane scorse, un annuncio comparso su un portale di ricerca di occupazione, mostrava la chiara richiesta di personale frontaliero. Scatenando, di conseguenza, la reazione da parte dell’opinione pubblica e della Lega dei Ticinesi che non ha perso tempo e ha inoltrato al Consiglio di Stato un’interrogazione che recitava «Basta annunci di lavoro con la chiara richiesta di manodopera estera».
Tra i firmatari, il granconsigliere Sem Genini che sulla questione afferma: «Pubblicare un’offerta di lavoro indirizzata solo a persone frontaliere è inaccettabile. Come dimostra la reazione unanime dell’opinione pubblica e anche, da quanto ho potuto leggere, dell’ammissione di colpa e delle scuse da parte del diretto interessato. Lo dico da rappresentante di un movimento che denuncia da anni le storture di questa situazione o chi cerca di fare il furbo. Questo caso ci ha portati all’ennesima richiesta al Consiglio di Stato, per elaborare una strategia e bloccare proprio queste situazioni insostenibili».
Come potrebbe agire la politica per arginare il fenomeno?
«Come Cantone limitrofo ad una nazione, l’Italia, con un grande bacino di persone formate, ma con problemi strutturali e finanziari che ne riducono l’attrattività lavorativa, il nostro margine di azione è purtroppo abbastanza ridotto. Ciò però non vuol dire che bisogna restare a guardare senza agire.
Un’economa dinamica e in salute integra la forza lavoro locale ed esterna: la prima è sostenuta dalla seconda. Se viene invece sostituita, abbiamo un grosso problema».
Cosa chiedete al Consiglio di Stato?
«Abbiamo rivolto una serie di domande al Consiglio di Stato, chiedendo in particolare di prendere posizione su quanto sta accadendo in Ticino in questo ambito: se è possibile per le autorità sanzionare in qualche modo le aziende che pubblicano annunci per soli frontalieri e se il nostro Governo ritiene auspicabile che tali aziende siano sanzionate. Inoltre, abbiamo chiesto di elaborare una strategia in modo da contrastare il fenomeno e, infine, di fornire un dato su quanti disoccupati ticinesi potrebbero occupare le posizioni offerte ai frontalieri».
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Le associazioni di categoria sostengono che, soprattutto nei settori più specializzati come la farmaceutica o l’informatica, sia impossibile attingere solo alla manodopera interna e che sul lungo termine anche il bacino di frontalieri a cui solitamente il Ticino e la Svizzera attinge non sarà più abbastanza. Che cosa proponente a riguardo?
«Stiamo parlando di due casi ben diversi. L’annuncio da cui è scaturita la nostra reazione non è per un lavoro altamente specializzato, ma per un’impiegata di vendita. Che doveva essere, come chiaro requisito, frontaliera.
Il ricorso a manodopera estera, specialmente nell’economia iper specializzata attuale, può essere positivo e inevitabile in alcuni casi, oltre a essere un segno di dinamismo e innovazione, a patto di evitare però distorsioni negative sul mercato interno come nel caso degli affitti e del telelavoro (un altro capitolo tuttora aperto di non facile soluzione). Se invece si ricorre a scelte facili per pagare meno il personale, non solo si crea una pressione al ribasso, ma significa che non si è competitivi in quanto innovativi, ma perché si risparmia sul costo del lavoro a discapito delle persone locali.
Inoltre, i lavoratori indigeni sono stati formati in Svizzera, con le garanzie di qualità e di conoscenze che ne consegue. Non dimentichiamolo».
Il nuovo accordo fiscale dei frontalieri potrebbe disincentivare l’arrivo di nuovo personale?
«Per la manodopera non altamente qualificata penso che il nuovo accordo potrebbe effettivamente disincentivare l’arrivo di nuovo personale frontaliero. Questo sicuramente a livello teorico. Bisognerà osservare l’evolversi della situazione ed i cambiamenti nei singoli settori per valutarne effettivamente la portata e l’efficacia e per dare una risposta più completa. Il tempo ce lo dirà. La situazione congiunturale ticinese, svizzera ed italiana sarà preponderante in questo contesto. Perché un disincentivo potrebbe per esempio anche essere vanificato da un peggioramento della situazione oltreconfine».
È risaputo che per arginare la concorrenza dei frontalieri "basterebbe" adottare (e migliorare) i contratti collettivi. Che cosa si può fare per incentivare le aziende ad andare in questa direzione?
«Se esistesse una soluzione di facile applicazione e senza effetti collaterali, ovvero che non provochi un irrigidimento e una diminuzione dell’attività economica nel nostro Paese, la sosterrei sicuramente. L’aumento della burocrazia e della regolamentazione statale è invece molto problematico in tutti i settori e ambiti e purtroppo è proprio quello che sta accadendo.
Si è già fatto molto per migliorare i contratti collettivi, forse meno nel metterli in pratica e seguirli. Ma questo deve venire dalle singole aziende. Non ci può essere una vera responsabilità sociale delle imprese se esse non si adeguano ma soprattutto integrano nel tessuto sociale della Svizzera. L’identità di un’azienda non sono solo i suoi dati economici, ma il suo ruolo nella società in cui opera. Se lo si perde, il tessuto produttivo diventa anonimo e disumano, e probabilmente non di successo».
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