Per le associazioni e i sindacati ticinesi il telelavoro è diventato indispensabile per diversi motivi.
Torna a far discutere la revoca dell’Accordo amichevole tra Italia e Svizzera sul telelavoro adottato durante la pandemia. In una lettera congiunta, indirizzata alla Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali (Sfi), il presidente delle Associazioni industrie ticinesi (Aiti) Oliviero Pesenti, la vicepresidente della Camera di Commercio dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino (Cc-Ti) Cristina Maderni, il segretario cantonale dell’Organizzazione cristiano-sociale ticinese (Ocst) Renato Ricciardi e il segretario regionale di Unia Regione Ticino e Moesa Giangiorgio Gargantini, hanno riacceso i riflettori sulla questione.
Il regime speciale finirà il prossimo 1° febbraio, data in cui tornerà a essere applicato il regime di imposizione usuale. Ciò significa che in caso di telelavoro, il frontaliere sarà assoggettato al regime fiscale italiano, anche solo per un giorno di attività in Italia. Una misura in contrasto con gli stessi regolamenti europei che permettono una soglia del 25% in materia di assicurazioni sociali.
Le associazioni e i sindacati firmatari chiedono alla Sfi di prendere posizione con le autorità italiane, al fine di concordare un regime, anche transitorio, che permetta la continuazione del telelavoro parziale, idealmente parificato alle soglie ammesse nel settore delle assicurazioni sociali, oltre il 31 gennaio 2023.
Non si può tornare indietro
Era il 19 giugno del 2020, quando Berna e Roma siglavano un documento amichevole per regolamentare i frontalieri costretti al telelavoro e che di fatto rendeva flessibile anche la soglia del 25% in materia di previdenza.
«Il telelavoro praticato nel recente passato – si legge nella lettera – oltre ad aver permesso la continuazione dell’attività economica, ha contribuito a ridurre, almeno parzialmente, il traffico e il relativo carico ambientale. Inoltre, il telelavoro è potenzialmente un utile strumento anche nell’ottica del risparmio energetico, tema, purtroppo, di strettissima attualità».
Le associazioni e i sindacati firmatari si dicono «stupiti» dalla decisione dell’Italia «di porre fine con un solo mese di preavviso e senza soluzione transitoria, a questa situazione che ha portato benefici a tutti noi».
Ormai quasi nessuna azienda può fare a meno di questa forma di lavoro. È diventata infatti «una modalità che aziende, lavoratori e lavoratrici potrebbero voler utilizzare anche in tempi ordinari e non solo di crisi. Prova ne è il recente accordo trovato proprio dalla Svizzera con la Francia sul telelavoro durevole dei frontalieri francesi».
Tornando al regime fiscale ordinario, a partire dal prossimo febbraio, «si creerebbe una situazione di incertezza che aziende e dipendenti vorrebbero evitare. Anche perché – viene sottolineato – in materia di assicurazioni sociali, il regime speciale covid è stato per contro già prorogato fino al 30 giugno 2023. Abbiamo quindi una chiara discrepanza tra i regimi fiscali e assicurativi, in relazione alla medesima persona e al medesimo lavoro».
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Occorre allineamento
Le discrepanze tuttavia sussistono anche nel regime ordinario. In materia di assicurazioni sociali, come anticipato, è prevista una soglia del 25% del tempo lavorativo, al di sotto della quale la persona in telelavoro non è assoggettato agli istituti di previdenza italiani. Mentre a livello fiscale, il frontaliere per conservare il suo status deve rientrare a domicilio quotidianamente. «Le autorità svizzere e italiane trovino celermente una regolamentazione più adeguata alla situazione, introducendo delle soglie di telelavoro durevoli anche in ambito fiscale, idealmente parificandole a quelle assicurative. In tale contesto è poi importante che venga anche stabilito che il telelavoro nel limite delle soglie eventualmente concesse non può configurare stabile organizzazione con conseguenze fiscali anche per l’azienda medesima, e non solo per i dipendenti».
Quale soluzione?
I firmatari consigliano dunque «un cosiddetto accordo amichevole tra le rispettive autorità fiscali, che non prevede le lungaggini procedurali invece applicabili alla ratifica degli accordi internazionali veri e propri».
Non è di aiuto nemmeno il nuovo Accordo fiscale attualmente in fase di ratifica da parte del Parlamento italiano. Al più presto entrerà in vigore dal 1° gennaio 2024, ma comunque al suo interno non è presente un accordo relativo al telelavoro. Prevede infatti «che le parti» trovino ancora «un’intesa con procedura di amichevole composizione».
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