Mancano pochi giorno alla scadenza dell’accordo amichevole tra Italia e Svizzera, e il direttore di Aiti invita i due Stati a prendere un «accordo in extremis».
Un paio di settimane fa, le associazioni di categoria e i sindacati del Ticino avevano inviato una lettera congiunta alla Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali (Sfi). Il motivo? Chiedere a Berna di intervenire, in merito alla revoca dell’accordo amichevole siglato tra Italia e Svizzera nel giugno del 2020, in materia di telelavoro.
E così il presidente delle Associazioni industrie ticinesi (Aiti) Oliviero Pesenti, la vicepresidente della Camera di Commercio dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino (Cc-Ti) Cristina Maderni, il segretario cantonale dell’Organizzazione cristiano-sociale ticinese (Ocst) Renato Ricciardi e il segretario regionale di Una Regione Ticino e Moesa Giangiorgio Gargantini, avevano riacceso i riflettori sulla fatto che, dal primo di febbraio, potrebbe complicare la vita a lavoratori frontalieri e datori di lavoro ticinesi. L’Accordo amichevole infatti, scadrà il 31 gennaio. Significa che i frontalieri, a partire dalla prima ora lavorativa svolta telematicamente dall’Italia, saranno assoggettati all’imposta fiscale italiana.
La risposta della SFI
Lunedì il direttore di Aiti, Stefano Modenini, ha fatto sapere su LinkedIn che la SFI ha confermato con una lettera alle parte sociali ticinesi, la disponibilità a trovare un accordo con l’Italia sul telelavoro dei frontalieri.
Nella risposta si legge: «A partire dal primo febbraio 2023 saranno applicabili le regole abituali previste dalla Confederazione per evitare le doppie imposizioni e dell’Accordo del 1974 relativo all’imposizione dei lavoratori frontalieri». Regole che «garantiscono la necessaria certezza del diritto e permettono di evitare la doppia imposizione anche per coloro che esercitano la loro attività lucrativa, totalmente o parzialmente, in telelavoro».
Fatta questa premessa, continua la SFI «Vi è la disponibilità da parte svizzera di discutere con l’Italia in merito a eventuali regole speciali per l’imposizione del telelavoro». Puntualizzando, infine, che «l’accordo del 2020 relativo all’imposizione dei lavorati frontalieri, attualmente ancora in fase di ratifica in Italia, prevede espressamente la possibilità che le autorità competenti concordino norme speciali in matteria».
Il commento di Modenini
«Bene - commenta Modenini sul social - ma purtroppo mancano solo otto giorni alla fine di gennaio, ci vuole un accordo in extremis altrimenti il telelavoro rischia di essere bloccato».
Matteo Mandressi, Cgil Como
Raggiunto telefonicamente Matteo Mandressi, segretario della Cgil di Como ci ha confermato che dall’altra parte del confine nulla si muove. «Nonostante i sindacati Cgil, Cisl e Uil abbiano chiesto formalmente al governo di rivedere la loro decisione - ci racconta - ad oggi non abbiamo ancora ricevuto notizia di un cambio di passo o di un nuovo intervento». «Riteniamo questa decisione incomprensibile e non comprendiamo il vantaggio che si possa ottenere dal mancato rinnovo dell’accordo amichevole».
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