Con l’1,8% del Pil speso per l’educazione e l’infanzia, percentuale più alta al mondo, il Paese nordico garantisce servizi eccellenti a costi minimi per le famiglie: che ripagano l’investimento nazionale con prestazioni professionali migliori. Nei guai, invece, gli Stati Uniti.
Lavorare e gestire un figlio in contemporanea: non proprio da tutti, e di sicuro non da tutti i Paesi. C’è chi, fortunato, riceve tanto aiuto dallo Stato e riesce così ad essere parimenti genitore inappuntabile e ottimo professionista, al maschile come al femminile. Chi, invece, un po’ abbandonato a se stesso e alle sue vicissitudini in famiglia, si destreggia fra mille difficoltà; e si trova presto alle prese con problemi economici crescenti, generati dalle spese per i bambini, fino talora alla decisione di lasciare il lavoro, costretto da insolvibili incombenze.
Accessibilità ai servizi senza pari
Insomma: le politiche nazionali hanno il loro grosso peso nelle decisioni personali e lavorative. Sul punto, non ha eguali l’Islanda, che, secondo un rapporto di Bloomberg, si segnala per essere il Paese più attento al mondo ai bisogni dei genitori - e dei bambini ovviamente. L’accessibilità ai servizi di assistenza all’infanzia è senza pari e la qualità eccellente, grazie a una spesa per l’educazione e la cura della prima infanzia che sfiora l’1,8% del prodotto interno lordo secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico: la più alta cioè del mondo.
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L’infanzia si prende solo il 5% dello stipendio
Investimenti che qualcuno potrebbe chiamare eccessivi, ma che in realtà rendono molto al Paese. Per ogni dollaro speso ne rientrano tanti di più, calcolati in termini di partecipazione alla forza lavoro nazionale da parte di padri e madri. Che, peraltro, godono di un altro vantaggio in Islanda: spendono pochissimo per i figli, accollandosi il governo la maggior parte dei costi. L’assistenza all’infanzia si prende così, in media, neanche il 5% degli stipendi, sempre secondo i dati Ocse.
Poi Estonia, Germania e Canada
Molto bene fanno anche Estonia, al secondo posto dopo l’Islanda, la Germania, il Canada e la Nuova Zelanda. Al confronto, gli Stati Uniti hanno di che impallidire per la vergogna: spendono cioè solo lo 0,3% del Pil, a fronte di genitori che per la gestione dei propri figli pagano il 19% dei loro guadagni. E, sempre più spesso, finiscono in burnout, incapaci di trovare soluzioni soddisfacenti e frustrati da ciò cui si trovano costretti a fare - o non fare. Per esempio, rinunciare alla carriera, scelta che è incrementata a dismisura nei tempi del Covid.
Genitori Usa in burnout
La colpa non è loro, ma, secondo il Center for American Progress, di uno Stato poco lungimirante, incapace di comprendere che genitori con più risorse a disposizione hanno molto da offrire in cambio ai propri Paesi. Il Canada ne è un esempio recente: nel 2021 si è impegnato a investire 22 miliardi di dollari in cinque anni per aiutare le famiglie e ridurre i costi dell’istruzione precoce e dell’assistenza all’infanzia. Risultato: il ritorno economico è stato di 2,80 dollari a fronte di 1 investito, quasi il triplo.
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Più donne lavoratrici: 82% del totale
Da non sottovalutare poi gli effetti sulla partecipazione femminile alla forza lavoro. In questo ambito, le politiche islandesi si dimostrano un grosso successo, con il tasso più alto di donne lavoratrici tra i paesi monitorati dall’Ocse, secondo Bloomberg. Oltre l’82% delle donne adulte in Islanda, infatti, ha un lavoro, a fronte del 75% in Canada e il 68% negli Stati Uniti.
I servizi gratuiti di Estonia e Germania
Merito anche di una percentuale importante di servizi gratuiti. In questo senso, fa molto bene l’Estonia, che garantisce un posto in un istituto per l’infanzia a tutti i bambini di età compresa tra 18 mesi e 7 anni. In Germania, durante la scuola elementare si può usufruire dei programmi di assistenza all’infanzia "kita", gratuiti in alcune città.
Il caso anomalo della Nuova Zelanda
Caso anomalo la Nuova Zelanda, dove i programmi educativi sono, al contrario, piuttosto costosi. La qualità è, però, così elevata da far guadagnare al Paese un punteggio elevato e un quinto posto del podio. Anche il divario retributivo di genere, in chiara diminuzione, incide: si tratta infatti di un 5%, secondo il Women in Work Index di PwC, che costituisce un vantaggio per le madri che lavorano, al confronto con altri Paesi dove la differenza di stipendio è molto più marcata.
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