Lavorare nella Confederazione ha degli svantaggi? «Oltre allo spostamento e a turni più lunghi, no», ha detto il segretario del sindacato degli infermieri NurSind di Varese.
Un tempo erano i Paesi del Nord Europa a recarsi in Italia per scovare infermieri pronti a fare i bagagli e a partire verso ospedali e case di cura di Gran Bretagna, Danimarca e Germania. In cambio venivano loro offerte condizioni economiche vantaggiose e soluzioni agevolate per facilitare il loro insediamento, come un corso di lingua e una somma cospicua utile per pagare l’affitto del primo mese di alloggio. Da ormai qualche tempo, alla lista di questi Paesi, si è aggiunta anche la Svizzera, dove l’assenza di personale sanitario rappresenterà un vero problema negli anni a venire.
Salario e vicinanza all’Italia, rendono la Svizzera il Paese ideale
Sì sa. Ad attrarre al di qua del confine è soprattutto il salario, molto più alto rispetto a quello della vicina Penisola. Stiamo parlando, in media, di 3500 franchi netti al mese che un infermiere appena assunto potrebbe portare a casa e destinato ad aumentare, a fronte dei 1500 euro di un omologo italiano che rimarrà pressoché identico per tutta la vita. Tra quel che fa pendere l’ago della bilancia verso la Svizzera, c’è poi la vicinanza al proprio Paese di origine. Oltre a dare concrete possibilità di crescita professionale. Opportunità che dall’altra parte sono negate.
Questa ricerca spasmodica di personale, ora più che mai, potrebbe spingere sull’orlo del precipizio una sanità italiana già in crisi, reduce dal colpo di grazia inferto dalla pandemia da Covid-19. Molti infermieri, infatti, sono andati in pensione o hanno scelto di licenziarsi per andare verso strutture private o all’estero, altri di cambiare definitivamente lavoro.
Infermieri in pensione difficili da rimpiazzare
All’Asst dei Laghi, cioè l’azienda ospedaliera che controlla le strutture della provincia di Varese, «le doppie notti, il salto di riposo e il richiamo al lavoro sono ormai all’ordine del giorno», racconta Vito Antonucci segretario del sindacato degli infermieri NurSind di Varese. Entro la fine anno sono previsti poi 180 pensionamenti, un numero difficilmente colmabile, dati i concorsi che vanno pressoché deserti.
Provocatoriamente gli chiediamo se non ci siano degli svantaggi al recarsi a lavorare in Svizzera. Ma oltre a evidenziare «turni più lunghi - a volte di 12 ore -, ampie distanze da percorrere per raggiungere il posto di lavoro (si parla anche di 200 chilometri al giorno)», non ve ne sono. Qualcuno che torna indietro c’è, ma sono davvero pochi.
L’impegno richiesto a un infermiere italiano che vive sul confine e sceglie di lavorare in Svizzera è davvero alto: «chi deve fare il turno notturno, per esempio, parte alle 5 del pomeriggio da Varese». Ma a questi sacrifici vengono affiancati «percorsi di formazione e specializzazione, nonché una vera possibilità di crescita». Stimoli che consentono al lavoratore di andare avanti e sopportare tutta la fatica che ne deriva.
Sistema sanitario italiano, la politica sembra dormire
Il sistema lavorativo ospedaliero italiano sembra fare acqua da tutte le parti. Antonucci lamenta infatti che anche a livello di welfare aziendale la situazione è si è aggravata: «Avevamo un asilo nido con una convenzione, una volta scaduta non è più stata rinnovata. Molti dipendenti pagano anche il parcheggio pur essendoci possibilità per agevolarne l’organizzazione. Le richieste di part-time da parte di madri e di infermieri con più di 60 anni, vengono negate. C’è chi si licenzia non solo per andare in Svizzera, ma anche per cambiare lavoro, perché esasperato».
Infermieri italiani in fuga verso la Svizzera: quale soluzione?
Per tamponare la situazione, Antonucci delinea un’unica vera soluzione: «Un riconoscimento salariale, con un incremento di 500 euro netti in busta paga. In modo particolare per i turnisti che sono classificati al pari degli impiegati pubblici statali».
Dalla politica, però, tutto sembra essere ancora immobile. «Sono trent’anni che sento parlare di un’indennità di confine. Onestamente ho ascoltato tante parole, ma di fatti ne ho visti ancora pochi. A livello governativo anche nel Def (Documento di Economia e Finanza che indica la strategia economica e finanziaria pubblica nel medio termine, ndr) non c’è una lira per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego. A livello regionale, ufficiosamente dicono che vorrebbero fare concretamente qualcosa, ma se non arrivano risorse da Roma, non possono modificare niente».
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