L’intesa è stata firmata questa mattina dalla ministra delle Finanze Karin Keller-Sutter e dal suo omologo italiano Giancarlo Giorgetti.
La questione della black list tra Italia e Svizzera va avanti da diverso tempo. Finalmente, nella giornata di oggi 20 aprile 2023, è arrivata la notizia di un’intesa preliminare tra i due Stati: la ministra delle Finanze Karin Keller-Sutter e il suo omologo italiano Giancarlo Giorgetti hanno firmato un accordo, in cui Roma si assume l’impegno di eliminare la Confederazione elvetica dalla lista nera.
Per comprendere al meglio la situazione, bisogna tornare agli anni Novanta, precisamente al 10 maggio del 1999, quando con il decreto ministeriale n. 107, l’Italia ha inserito nella black list la Svizzera e altri Paesi considerati «a regime fiscale privilegiato», ovvero i cosiddetti paradisi fiscali.
Residente in Svizzera, ma assoggettato in Italia
Oltre a individuare quali siano gli Stati a regime fiscale privilegiato, nel decreto ministeriale si fa anche riferimento all’imposizione fiscale sui redditi dei cittadini italiani residenti nella Confederazione elvetica. Più precisamente, all’articolo 2 viene definito quando un contribuente deve considerarsi fiscalmente residente in Italia. Dunque, stabilisce l’assoggettamento di imposta in virtù di determinati requisiti: «Se per la maggior parte del periodo d’imposta, ossia 183 giorni l’anno, la persona è (i) iscritta ai registri anagrafici comunali oppure ha in Italia (ii) la residenza, ossia vi dimora abitualmente o (iii) il domicilio, da considerarsi come il centro principale dei suoi affari e interessi, ecco che il soggetto deve versare le imposte in Italia», ci spiega Francesca Amaddeo docente e ricercatrice del Centro Competenze Tributarie alla Supsi. «Fin qui tutto regolare - continua -. Se non fosse che l’art. 2 ha uno specifico capoverso, il 2bis, che introduce una sorta di prova diabolica per alcuni tipi di contribuenti».
Ci spieghi meglio.
«Si prevede, infatti, che il cittadino italiano - si badi bene, non il residente - che si trasferisce all’estero in uno dei Paesi indicati nella famosa lista nera, tra cui la Svizzera, sarà comunque considerato fiscalmente residente in Italia, anche se regolarmente iscritto all’AIRE, fino a prova contraria. Formalmente, pertanto, il contribuente residente in Svizzera - ipotizziamo detentore di un permesso B, C o, addirittura, naturalizzato, regolarmente attivo su suolo svizzero, dove magari ha lavoro e famiglia -, che versa regolarmente le imposte, per esempio, nel Cantone Ticino, continua a essere considerato dall’Agenzia delle Entrate italiane come contribuente nella Penisola, con tutti gli obblighi che ne conseguono (ad es., presentazione della dichiarazione d’imposta, versamento delle imposte, ecc.). Solo in sede di accertamento o di contenzioso, il contribuente, su cui incombe l’onere di dimostrare che è realmente residente in Svizzera, potrà (leggasi: dovrà) fornire tutte le prove in suo possesso che attestino l’effettivo distacco dal proprio Paese di origine».
Perchè la Svizzera fu inserita nella black-list?
«La ragione è da rinvenirsi principalmente nell’allora forte segreto bancario che permeava la Svizzera, dove i contribuenti italiani dirottavano i propri averi anche per sfuggire ad un’importante tassazione italiana. Si ricordi che la black list risale al maggio 1999. A distanza di ben 24 anni, quel Decreto è ancora valido e vincolante, nonostante la caduta del segreto bancario e nonostante l’adeguamento dell’ordinamento svizzero alle richieste della comunità internazionale in termini di collaborazione e trasparenza, specie tramite l’introduzione dello scambio di informazioni».
Quali vantaggi derivano dall’eliminazione dalla black list?
«L’eliminazione della Svizzera dalla black list era dovuta. L’intesa politica in merito era già stata raggiunta con la famosa Roadmap del 2015. L’Italia, infatti, a fronte dell’adesione della Svizzera al meccanismo di scambio di informazioni, oltre che in vista degli adeguamenti ulteriori, ivi comprensivi dell’eliminazione dei regimi speciali previsti per le società a statuto speciale, aveva accordato la cancellazione della Svizzera dalla lista nera. Nonostante i requisiti fossero già presenti da diverso tempo, tuttavia, tale cancellazione non è avvenuta. Ci sono voluti otto anni per rispettare questa promessa. La norma italiana così formulata rappresenta - finché non sarà formalmente modificata - un ostacolo alla mobilità e un disincentivo. La Svizzera rispetta gli standard internazionali e presenta un atteggiamento collaborativo, come confermato dalla comunità internazionale. È errato continuare a considerarla un Paese black list sia nei rapporti con l’Italia, sia nel contesto internazionale, perseverando nello sminuirne la reputazione».
Questo accordo è arrivato in ritardo sui tempi? Perché?
«Come detto, l’intesa raggiunta nel 2015 non è stata seguita da un intervento in questi termini da parte dell’Italia. I requisiti per procedere erano già presenti da diverso tempo, non vi era nessun ostacolo di tipo giuridico. Si è trattata di una (non) volontà politica. Un silenzio che, tuttavia, è molto significativo».
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