INTERVISTA Nuovo accordo fiscale per i frontalieri. Puglia, Ocst: «In vigore dal 1° gennaio? Per le aziende un vero problema»

Chiara De Carli

06/12/2022

07/12/2022 - 10:55

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Aumento della franchigia, modifica della tassazione e dell’erogazione dei ristorni. Ecco il nuovo accordo fiscale dei frontalieri spiegato dal direttore dell’Ufficio frontaleri dell’Ocst.

INTERVISTA Nuovo accordo fiscale per i frontalieri. Puglia, Ocst: «In vigore dal 1° gennaio? Per le aziende un vero problema»

Sono passati più di cinquant’anni da quando nel 1974 Svizzera e Italia hanno siglato l’accordo fiscale per regolamentare la tassazione dei frontalieri. E ora ci troviamo a un soffio dall’approvazione di quello nuovo.
Franchigia, tassazione e ristorni sono le questioni calde che si snodano nel nuovo accordo fiscale. Lo scorso 24 novembre, il Consiglio dei Ministri italiano ha approvato il disegno di ratifica ed esecuzione dell’accordo tra i due Stati. Ora al vaglio delle commissioni del Senato. Passi necessari, «ma non sufficienti per poter fa entrare in vigore l’accordo – spiega il direttore dell’Ufficio frontalieri dell’Organizzazione cristiano sociale ticinese (Ocst) Andrea Puglia –. Perché questo avvenga, il Parlamento deve convertire il disegno di legge in questione in legge. Se avverrà entro fine anno, allora il nuovo accordo potrà partire dal 1° gennaio del 2023, altrimenti se slitterà nel 2023, il nuovo accordo entrerà in vigore nel 2024».

Direttore, accordo fiscale entro la fine dell’anno oppure no?
«Il Parlamento ha iniziato a discutere il disegno di legge nelle apposite commissioni, ma è difficile che riescano a concludere l’iter entro fine anno. Al momento dunque non esistono risposte certe. Se da una parte le mosse degli ultimi giorni esprimono l’intenzione di fare il più in fretta possibile, dall’altra, a nostro avviso, mancano i tempi tecnici per riuscire a metterlo a segno entro fine anno. La buona notizia per la Svizzera è che il disegno di legge prima o poi sarà convertito in legge. Se non altro è comprovato che non è caduto nel dimenticatoio».

Cos’è meglio? Che divenga legge entro fine anno o per l’anno prossimo?
«In Svizzera si va augurando che il Parlamento italiano riesca a fare in fretta e concludere l’iter entro fine anno. Paradossalmente, però, potrebbe essere un problema. Se l’accordo entra in vigore già il primo gennaio, significa che la Confederazione nel giro di pochissimo tempo dovrà aggiornare le tabelle dell’imposta alla fonte da applicare ai frontalieri, a cui si aggiungerà la necessità di spiegare la questione alle aziende. Inoltre nel caso in cui una società abbia deciso di assumere ad ottobre un frontaliere italiano che inizierà a lavorare presumibilmente nei primi mesi del 2023, in considerazione dei tre mesi di preavviso da dare al datore di lavoro, si dovrà confrontare con delle condizioni fiscali diverse e più severe rispetto a quelle esistenti a ottobre. Questo può generare problemi alle aziende. A questo punto forse non è poi così conveniente che venga approvato entro la fine dell’anno».

Come cambierà l’imposizione fiscale?
«I nuovi frontalieri, cioè coloro che inizieranno a lavorare dopo l’entrata in vigore del nuovo accordo, pagheranno l’imposta alla fonte in Svizzera ma dovranno poi dichiarare il reddito da lavoro svizzero in Italia e pagare le tasse anche in Italia sulla base di quelle che sono le aliquote italiane. L’Italia detrarrà quanto già dichiarato in Svizzera. Inoltre l’Italia su richiesta dei sindacati dei frontalieri ha previsto una franchigia fiscale di 10 mila euro».

Cosa significa?
«Se per esempio un frontaliere percepisce un salario annuo di 60 mila franchi, in Italia non sarà tassato su 60 mila. Ai 60 mila franchi percepititi devono essere sottratti questi 10 mila euro, quindi complessivamente l’imposizione sarà calcolata su circa 50 mila euro.

Per quanto riguarda l’imposta alla fonte?
«I nuovi frontalieri avranno un’imposta alla fonte diversa rispetto a quella prevista per i cosiddetti vecchi frontalieri. Sarà calcolata all’80% dell’aliquota ordinaria. Per esempio se oggi un frontaliere, in base a quello che è il suo reddito e al suo stato di famiglia, paga un’aliquota al 10%, un nuovo frontaliere a pari condizioni pagherà in Svizzera l’8%. Le aliquote sono direttamente proporzionali al reddito, quindi esistono un’infinità di percentuali. Dunque rispetto alle tabelle di oggi ogni aliquota sarà ridotta del 20%. In altre parole: i nuovi frontalieri pagheranno in Svizzera un’aliquota più bassa rispetto alla quella che si paga oggi, ma dovranno poi dichiarare il reddito in Italia che a sua volta applicherà le proprie aliquote sul reddito andando a scontare 10 mila euro dal reddito tassabile e andando a scontare l’imposta alla fonte già pagata in Svizzera».

I vecchi frontalieri invece?
«Continueranno a pagare l’imposta alla fonte in Svizzera, quindi non dovranno pagare le tasse anche in Italia. Da sottolineare il fatto che i vecchi frontalieri non sono tutti gli attuali frontalieri, ma solo coloro che hanno la residenza fiscale nei comuni di confine, entro i 20 chilometri, e che hanno il rientro giornaliero tra Italia e Svizzera. Gli altri vecchi frontalieri, che per esempio arrivano da Milano non un paese di confine, pagheranno le tasse anche in Italia come i nuovi frontalieri. Il nuovo accordo ha creato questa clausola di salvaguardia per i vecchi frontalieri che pagheranno le tasse solo in Svizzera, ma sono coloro che già hanno una residenza fiscale nei comuni di confine e con rientro giornaliero tra Italia e Svizzera».

Il nuovo accordo renderà meno attrattivo lo stipendio svizzero. Sarà ridotto il dumping salariale?
«Mediamente i frontalieri ricevono il 25% in meno rispetto ai residenti, perché la vita in Italia costa mediamente il 25% in meno rispetto alla Svizzera. Attualmente, certi datori di lavoro attraggono i frontalieri con salari più bassi rispetto al mercato perché per loro rimane uno stipendio importante. Chiaramente i nuovi frontalieri saranno più tassati e questo gioco al ribasso sarà destinato a diminuire. Quindi, se l’azienda vorrà ancora attrarre il frontaliere, dovrà adeguare l’offerta salariale a quelli che sono i prezzi del mercato svizzero e questo è positivo. Ben venga l’adeguamento salariale, però ricordiamo che questo fenomeno si contrasta con il contratto collettivo di lavoro. Per esempio se prendiamo i settori già regolamentati da contratti collettivi di lavoro, questo differenziale di salario non c’è. Questo nuovo accordo mitigherà solo leggermente il problema e la soluzione non risiede nel nuovo accordo fiscale, quanto nel fare più contratti collettivi di lavoro. Si apre poi un’altra questione».

Prego.
«Da un lato con il fatto che il frontaliere pagherà le tasse anche in Italia migliorerà il mercato, aiuterà tanti residenti a soffrire meno la residenza dei frontalieri, costringerà le aziende ad alzare gli stipendi, però dall’altra genererà alcuni problemi tra cui il vuoto di manodopera».

Ovvero?
«Se da una parte i datori di lavoro dovranno pagare di più per attirare i frontalieri, dall’altra dobbiamo prepararci a un fatto: esistono settori in cui la manodopera locale non è sufficiente, come per esempio l’edilizia. Se domani sparissero i lavoratori frontalieri crollerebbe tutto, perché non ci sono abbastanza residenti disposti a fare quel tipo di lavoro. Con uno stipendio meno attrattivo, è molto probabile che i lavoratori decidano di rimanere in Italia a lavorare: senza tutta quella strada da fare e con più tutele contrattuali. I contratti italiani danno diritto alla protezione dal licenziamento, ci sono molti più congedi e ferie, con turni non di nove ma di otto ore. Il rischio è che si vada a creare un vuoto di manodopera, non facile da colmare. Lo stesso vale per gli infermieri. In Ticino abbiamo tantissimi infermieri frontalieri perché nel nostro cantone non ce ne sono abbastanza. Oggi è facile convincere un infermiere da Milano a venire a lavorare in Ticino per il doppio dello stipendio, domani non si sa».

L’altra questione riguarda i ristorni.
«Da quarant’anni a questa parte la Svizzera paga all’Italia i famosi ristorni, cioè il 38% delle imposte alla fonte pagate in Svizzera dai frontalieri residenti nei comuni di confine con rientro giornaliero. E mentre il vecchio frontaliere continuerà a pagare l’imposta in Svizzera, la Svizzera continuerà a versare i ristorni all’Italia ma fino al 2033. Poi basta. Quindi nel 2034 in Ticino saranno presenti ancora tanti vecchi frontalieri che continueranno a pagare solo l’imposta alla fonte in Svizzera, ma la Svizzera non dovrà più pagare i ristorni, tenendo quelle tasse per sé».

Quali altri novità apporterà il nuovo accordo?
«In ottemperanza dell’accordo sulla libera circolazione, il frontaliere non dovrà più presentare l’estratto del casellario giudiziale per ottenere o rinnovare il permesso di lavoro. Oggi se un frontaliere deve chiedere il permesso g deve presentarlo, domani non sarà più necessario. Dopodiché il datore di lavoro potrà ancora richiederlo, ma non il Cantone».

E per quanto riguarda il telelavoro?
«È stata inserita una nuova clausola. Si tratta di una voce molto vaga per la verità, in cui gli Stati hanno scritto che parallelamente all’accordo fiscale dovranno contrattare qualcosa anche per il telelavoro, con l’intento di equiparare i giorni di telelavoro svolti dai frontalieri in territorio italiano ai giorni di lavoro svolti su suolo svizzero.
Gli Stati hanno inserito una voce molto generica in cui si dice che in base a quello che sarà lo sviluppo sulla normativa del telelavoro in Unione europea (Ue) dal punto di vista previdenziale, si riservano la facoltà di integrare l’accordo, andando a pattuire sul piano fiscale una concessione ai frontalieri che faranno telelavoro. Quindi, per esempio, se l’Ue deciderà che il frontaliere dal punto previdenziale potrà lavorare da casa per il 40% del tempo di lavoro, allora gli Stati dovranno modificare questo accordo fiscale decidendo che anche sul piano fiscale al frontaliere è permesso lavorare il 40% del tempo di lavoro da casa».

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