INTERVISTA Frontalieri ad un passo dall’accordo fiscale. Matteo Mandressi, Cgil Como: «E ora, i ticinesi, riducano il dumping salariale»

Chiara De Carli

05/12/2022

06/12/2022 - 16:31

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Il governo italiano ha messo un piede sull’acceleratore sull’accordo dei frontalieri, dopo essere rimasto in sospeso per anni, anche a causa delle continue cadute degli esecutivi. Ora è questione di giorni per capire se entrerà in vigore già dal prossimo primo di gennaio o dal 2024.

INTERVISTA Frontalieri ad un passo dall'accordo fiscale. Matteo Mandressi, Cgil Como: «E ora, i ticinesi, riducano il dumping salariale»

Il nuovo accordo fiscale tra Italia e Svizzera è a un passo dall’entrata in vigore. Lo scorso 24 novembre il Consiglio dei Ministri italiano ha approvato il disegno di ratifica ed esecuzione dell’accordo tra i due Stati. La palla è poi passata in mano al Senato. Il 29 novembre, infatti, con una notifica ha annunciato che le Commissioni hanno avviato l’esame del disegno di legge di ratifica, Accordi Italia-Svizzera frontalieri e doppie imposizioni. Ci troviamo insomma a un soffio dal cambio di passo definitivo che per i frontalieri italiani significherà dire addio al precedente accordo del 1974.

Una salassata? Ma non per tutti

A cambiare sarà soprattutto la tassazione per i lavoratori che ogni giorno si recano a lavorare nei Grigioni, in Ticino e in Vallese dalle fasce di confine italiane. Attualmente per i frontalieri è prevista una tassazione esclusiva in Svizzera con un ristorno al 40% dei gettiti ai Comuni della zona di confine. Raggiunta l’intesa, i nuovi frontalieri, ovvero coloro che firmeranno un contratto svizzero dall’entrata in vigore del nuovo accordo fiscale, saranno tenuti a versare un’imposta alla fonte pari al 70% di quello che pagano ora. Il resto dovranno dichiararlo in Italia, sotto forma di Irpef e tenuto conto delle imposte già prelevate in Svizzera, evitando così la doppia imposizione.
Le regole, dunque, cambiano in modo particolare per i nuovi frontalieri. Coloro che invece lavorano in Svizzera dal 2018, sono tutelati da una clausola di salvaguardia, che permette il mantenimento della tassazione esclusiva in Svizzera.
Ora dunque, «non rimane che aspettare i tempi tecnici di legge - ci spiega Matteo Mandressi, segretario della Cgil di Como-. Il nostro auspicio è che il nuovo accordo rispetti quanto proposto da sindacati e associazione Comuni di frontiera».

Mandressi, quando entrerà in vigore? 2023 o 2024?
«L’accordo in essere prevede che all’approvazione della ratifica, entrerà in vigore dal primo gennaio dell’anno successivo. Dunque se il Senato lo approverà entro fine anno, il 1° gennaio 2023, mentre se i lavori parlamentare non dovessero esaurirsi per il 31 dicembre, si andrà al 1° gennaio del 2024. Insomma, in queste tre settimane che ci separano dalla fine dell’anno, si gioca il destino dell’entrata in vigore. I contenuti sono già definiti, non ci sono modifiche da apportare e noi ci auguriamo che effettivamente sia così».

Non dovrebbe essere un fatto certo?
«Ci hanno rassicurato che quanto già stabilito non sarà toccato. Soprattutto per quel che concerne innalzamento della franchigia e meccanismo di ristorni per i Comuni della fascia di frontiera. L’accordo che farà parte della legge di ratifica senza modica, riguarda quanto deciso nel dicembre del 2020».

A proposito di innalzamento della franchigia, perché è così importante?
«Consente di moderare l’effetto economicamente negativo che comporta la nuova tassazione per i lavoratori frontalieri. Al momento, il lavoratore frontaliere ha un’aliquota imponibile solo in Svizzera. Con l’entrata in vigore del nuovo accordo, il frontaliere pagherà l’imposta alla fonte in Svizzera e dovrà provvedere alla dichiarazione dei redditi in Italia. Portando il correttivo di franchigia a 10 mila euro, l’impatto sarà meno violento dal punto di vista economico. Per noi questo aspetto è fondamentale».

Il governo ticinese sostiene che uno degli obiettivi di questo accordo è ridurre l’attrattività dello stipendio svizzero. È vero?
«Premetto che questa dichiarazione rappresenta solo una parte del governo, non mi spiego come ci si possa augurare che i frontalieri diminuiscano, quando per il Ticino sono necessari. Detto questo, è vero che i nuovi frontalieri avranno un vantaggio inferiore rispetto a quelli attuali, l’incentivo si riduce. Ma non diminuisce al punto da rendere meno attrattivo il salario. Considerando la franchigia e confrontando gli stipendi con la media italiana, lavorare in Svizzera rimarrà ancora vantaggioso. Ad ogni modo, solo all’applicazione dell’accordo si comprenderanno le effettive ricadute. D’altro canto, non essendo più così conveniente andare a lavorare oltre confine, i frontalieri potrebbero chiedere di essere trattati alla stregua dei lavoratori svizzeri, riducendo il dumping salariale che sussiste oggi».

Con l’accordo i ristorni non arriveranno più da Berna, ma da Roma. I Comuni sono preoccupati?
«All’interno del Memorandum dei Comuni di frontiera, cambia l’origine dell’erogazione dei ristorni; saranno garantiti ancora per 10 anni dalla Svizzera, poi la competenza passerà all’Italia.
Più che preoccupazione, posso dire che c’è molta attenzione affinché venga garantita la giusta rivendicazione del meccanismo ristorni: è importante e necessario per bilanci comunali».

Quali sono le più grandi novità del nuovo accordo fiscale?
«Cambia il meccanismo fiscale per i nuovi frontalieri che a seguito dell’entrata in vigore saranno assoggettati alla tassazione italiana. Ci sarà poi un superamento delle fasce di confine, dunque tra frontaliere comasco e un milanese o un genovese non vi sarà più differenza. In altre parole, si assisterà all’adeguamento alla fiscalità concorrente per cui il frontaliere pagherà l’imposta alla fonte in Svizzera e poi tramite dichiarazione dei redditi, pagherà la restante parte in Italia. Vi è inoltre una norma di salvaguardia per coloro che hanno iniziato a lavorare in Svizzera dal 2018 fino all’entrata in vigore nel nuovo accordo».

C’è qualche aspetto positivo in questo accordo?
«La sua ricaduta non può essere vissuta positivamente. Il frontaliere sarà maggiormente tassato. Tuttavia la nuova normativa ci consentirà di chiedere un tavolo permanente con il governo per discutere sullo statuto di frontaliere, poiché spesso in questa migrazione lavorativa si rischia di perdere alcuni diritti. Grazie al nuovo accordo potremo rimetterli al centro delle discussioni.
Nel 2015 vi era stato un precedente tentativo per un nuovo accordo, poi non ratificato. Si sarebbe trattato di un provvedimento fortemente peggiorativo, poiché avrebbe peggiorato le condizioni anche dei frontalieri che lo sono da diverso tempo».

Che cosa manca?
«Si tratta di un accordo tra Stati. Noi siamo spettatori e abbiamo detto la nostra per innalzare la franchigia, sui ristorni e per aprire un tavolo di discussione con il governo sul tema del frontalierato. Complessivamente la valutazione non è positiva. A mio avviso è mancato il coraggio di inserire tematiche che saranno trattate solo successivamente. Ad esempio, di questo periodo, sussiste ancora il problema del blocco degli assegni famigliari per i frontalieri. Da un punto di vista politico solleva ancora la questione del dumping salariale: i dati mostrano che un lavoratore frontaliere in media percepisce il 30% in meno rispetto ai ticinesi e che solamente il 50% dei contratti è regolamentato da un contratto collettivo. Ciò significa che la restante parte è in balìa dell’accordo individuale con datori di lavoro che lucrano sul lavoro del frontalieri».

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