Un assegno energetico di 200-400 franchi a testa per saldare le bollette, che lieviteranno di almeno 1200 euro. Cifre insostenibili per chi già investe nell’affitto fino a metà del proprio reddito, a causa di canoni ingiusti: «Ogni mese una famiglia paga 370 franchi in più del dovuto».
Almeno 1.200 franchi in più per pagare il gas e la nafta dell’impianto di riscaldamento, secondo stime che si aggiornano e si aggravano con lo scorrere del tempo e della guerra. Le ultime, condotte dall’associazione svizzera inquilini (Asi), raccontano di una situazione problematica per tutti, ma drammatica in particolare per le famiglie con i salari più bassi, che in qualche caso non raro per l’affitto arrivano già a sborsare quasi la metà del proprio reddito. Colpa di canoni che sono cresciuti in maniera troppo veloce e inadeguata, senza rapportarsi al reale costo della vita, per un esborso che oggi ha raggiunto i 370 franchi in più ogni mese rispetto a quello che sarebbe legittimamente dovuto. Colpa anche di una situazione di debolezza che impedisce agli inquilini di opporsi alla presunta ingiustizia, come sarebbe loro pieno diritto. Il calo nel numero di nuovi contenziosi aperti per canoni di locazione e affitto, 11.057 da luglio a dicembre 2021 pari all’8,5% in meno rispetto ai sei mesi precedenti e addirittura al 17,6% in meno rispetto a un anno prima, stanno a indicare non tanto una situazione che si va facendo più pacifica e accettabile. I valori sono i più bassi degli ultimi dieci anni e solo il 4,5% del totale riguarda richieste di riduzioni degli affitti; ma la «tendenza regressiva» ipotizzata dall’Ufficio federale delle abitazioni, neanche un paio di settimane fa, è solo un’apparenza, secondo il presidente nazionale degli inquilini Carlo Sommaruga, consigliere agli Stati ginevrino. Gli inquilini, semplicemente, rinunciano per paura delle conseguenze e accettano in silenzio di far fatica ad arrivare a fine mese. Ecco perché, in questo momento di gravità legato al conflitto Russia-Ucraina, è indispensabile intervenire; con «un sussidio energetico che combatta la precarietà, legato al reddito, fra 200 e 400 franchi a testa», utile ad alleggerire i conti di conguaglio che verranno presentati nel 2023.
Sommaruga, almeno 100 franchi in più al mese per pagare il riscaldamento, per economie domestiche che, dato Asi, già ne pagano
370 di troppo per l’affitto. Com’è possibile?
«L’Asi ha sollecitato uno studio alla Bass sulla situazione degli affitti nel periodo 2006-2021: è risultato che gli affitti sono aumentati più del costo della vita e ogni anno, anche quando sarebbero dovuti scendere per legge secondo l’evoluzione del tasso ipotecario, dell’inflazione, dei costi di mantenimento degli stabili e il reddito degli investimenti. Già nel 2017 Raiffeisen aveva realizzato uno studio secondo cui, all’epoca, gli affitti avrebbero dovuto essere fino al 40% più bassi del livello praticato. La differenza tra cifra pagata e cifra effettivamente dovuta secondo il calcolo dei costi reali dei proprietari è sempre aumentata. L’anno scorso, il divario tra affitti legittimi e illegittimi applicati dai locatori è stato di dieci miliardi, cioè 370 franchi al mese in più per ogni famiglia. Sull’arco degli ultimi 16 anni, la media è di 220 franchi: cifre altissime».
Come si è arrivati fino a qui?
«Per due motivi. Primo, il controllo degli affitti si fa soltanto se l’inquilino agisce in giustizia, Secondo, si è trasformata la proprietà degli edifici. Prima si trattava di persone fisiche, cittadini e piccoli imprenditori che avevano investito in stabili per la locazione. Negli ultimi vent’anni è aumentata la quota di immobili concentrati nelle mani di fondi di investimento, società quotate in borsa, compagnie d’assicurazioni, banche. A Basilea, il 30% del mercato è detenuto da due banche e la Cassa pensioni del Cantone. A Zurigo, negli ultimi 10 anni, BlackRock è passata da 200 milioni di investimento a 2 miliardi».
Conseguenza?
«È evidente che, a queste condizioni, il meccanismo attuale del diritto della locazione è insufficiente per garantire l’applicazione corretta legge. Il sistema riposa sull’azione dell’inquilino: è lui che deve chiedere la diminuzione dell’affitto».
Perché non farlo?
«Abbiamo condotto un sondaggio intervistando 18mila cittadini: l’inquilino ha paura di entrare in conflitto con il proprio locatore. Gli strumenti a disposizione ci sono, ma, a parte un 30% che non li conosce, la maggioranza è spaventata dall’idea di creare tensione con il proprietario e doversi confrontare poi con misure di ritorsione. La buona relazione con il locatore è qualcosa di primordiale».
Quindi, che cosa resta da fare?
«Bisogna cambiare il meccanismo di controllo sugli affitti abusivi».
Perché la politica ancora non è intervenuta?
«Il Parlamento attualmente sta lavorando in senso contrario. La maggioranza politica Plr, Udc e Ppd è in mano a investitori e proprietari immobiliari - banche, assicurazioni, fondi investimento - e ha ogni interesse a ridurre la protezione degli inquilini con diversi progetti, attualmente in corso».
A che scopo?
«Si tratta di iniziative per lo smantellamento del diritto di protezione degli inquilini, che già è debole. Come associazione, ci stiamo organizzando per lanciare dei referendum, ma i partiti del centro e di destra lavorano per moltiplicare le revisioni. Non c’è la volontà di mettere la revisione in un solo pacchetto, ma di fare più modifiche del codice delle obbligazioni, così da obbligare l’associazione inquilini a fare diversi referendum. In questo modo si tenta di esaurire il movimento che difende gli interessi degli inquilini, visti i costi cari di un referendum».
Nel corso degli anni, davanti a un incremento così ingiustificato degli affitti, gli inquilini hanno almeno fatto un ricorso maggiore alle azioni legali per ripristinare una situazione più equa?
«No. Vista la penuria di alloggi, quando una persona trova ciò che fa per lei, non contesta l’affitto, per paura di ricevere la disdetta e ricominciare la ricerca. Preferisce accettare una soluzione compatibile con i suoi bisogni, anche se il canone è troppo caro».
La legge non lo protegge?
«C’è una protezione contro la disdetta che giunge in conseguenza di un esercizio del proprio diritto da parte dell’inquilino, ma molti non la conoscono. Chi la conosce, teme di finire su una lista nera e di non poter più trovare alloggio in futuro. Ma le liste nere non esistono».
Quanti sono gli svizzeri in affitto che subiscono questa situazione?
«In Svizzera, a fine 2020 gli affittuari erano il 61% della popolazione, con punte oltre 80 a Ginevra e Basilea città».
Quanto sborsano per avere un tetto sulla testa?
«In media, il 20% del reddito disponibile, ma è una media nazionale che falsa la realtà specifica. Il 10% più benestante paga il 10-12% del reddito e il 10% più povero investe in affitto fino al 45% del reddito disponibile».
Identikit?
«Le persone sole, in pensione, pagano in media fino a 40%. È una situazione molto problematica dal punto di vista sociale, dietro alla quale vi sono flussi finanziari enormi: 1.165 miliardi, tra i quali 10 miliardi ingiustificati, che passano nelle tasche degli investitori immobiliari, con dividendi che finiscono all’estero».
Non c’è niente che si possa fare?
«Vari rapporti di Credit Suisse parlano di "anni paradisiaci" per gli investitori immobiliari. Piuttosto che fare qualcosa per gli inquilini, si è fatto di tutto per garantire ingenti benefici a loro discapito. Per questo motivo, dopo il referendum contro lo smantellamento del movimento, promuoveremo un’iniziativa per il controllo degli affitti».
Quanto conta il fatto che manca un rapporto umano con il "vecchio" padrone di casa, sostituito da società senza volto e scrupoli?
«Certo, quando c’è un individuo proprietario, è chiaro che il rapporto è diverso. La struttura nuova che si è disegnata nella proprietà fondiaria ha un approccio di puro reddito e di rendimento, superiore a quello delle obbligazioni statali o ai guadagni in borsa: non c’è solo reddito immediato dell’affitto, ma il plusvalore fondiario, con prezzi dei beni immobili che continuano a crescere. Il rendimento è 2-3 volte superiore a quello che di dovrebbe prevedere».
È notizia di questi giorni che comprare casa è cosa più costosa che affittare: ma può forse essere una soluzione, a lungo termine, al prezzo degli affitti che lievita?
«Se parliamo di casa, è una soluzione impraticabile. Non si può immaginare, visto anche l’impatto ambientale, che tutti gli svizzeri possano vivere in una casa indipendente. Quanto alla proprietà per piani di un appartamento, nemmeno quella è una soluzione: costa troppo. Negli ultimi anni gli svizzeri hanno aumentato la proprietà individuale, ma presto ci sarà una contrazione della quota dei proprietari. Molti hanno comprato ai limiti della capacità finanziaria e, con la risalita dei tassi ipotecari, si troveranno costretti a vendere. No, la soluzione non è la proprietà individuale».
Qual è dunque?
«A lungo termine, le cooperative di abitazioni: alloggi di utilità pubblica, senza scopo di lucro, che nascono con una visione di economia sui costi di costruzione e che nel tempo diventano a buon mercato. A Ginevra, oggi ci sono appartamenti di 3 stanze più cucina a 800 -1000 franchi al mese, nelle cooperative. Sul mercato, gli stessi appartamenti vengono a 2500 franchi. Sono molto favorevoli, sia per il prezzo, sia per la qualità dell’alloggio e l’attenzione all’ambiente».
A complicare le cose ora c’è anche la guerra e i costi di gas e gasolio. Quali conseguenza porterà agli affittuari?
«Dobbiamo anzitutto distinguere tra affitti e costi accessori. L’affitto aumenta con i tassi ipotecari e l’inflazione, che non intervengono in modo immediato. L’impatto sarà lento, ma ci sarà. Ciò che è più preoccupante sono i costi accessori, l’olio per il riscaldamento e il gas. Nel 2021-22 l’aumento dei costi è modesto, ma l’aumento dei prezzi in conseguenza della guerra è stato violento. Si sentirà forte alla presentazione dei costi accessori nel 2023, per il periodo 2022-23».
Prima di allora, solo ipotesi?
«È possibile che vi sia in qualche caso una domanda di incremento degli acconti mensili, che può però essere presentata solo alla data di rinnovo del contratto ed è eventualmente contestabile. Altrimenti, aspettiamo il 2023. I costi aumenteranno di certo. Il mio consiglio è di mettere da parte 100, 200 franchi al mese per coprire la differenza che si sarà chiamati a pagare».
Basteranno?
«La stima si aggira intorno a una maggiorazione di 1.200 franchi all’anno per un appartamento di 100 metri quadrati in uno stabile mal isolato, che vuol dire il doppio dal momento che il prezzo dei combustibili fossili è raddoppiato. Pensiamo per esempio a un appartamento di quattro locali, male isolato, con un consumo di circa duemila litri all’anno: siamo passati da 60 a 120 franchi ogni centro litri di gasolio, che vuol dire 2.400 franchi invece di 1.200».
Avenergie dice che ci sono scorte di gasolio per un anno. Sarà sufficiente?
«Là dove le cisterne sono piene, si può attendere e sperare che le ostilità si concludano; se non accadrà, l’aumento si sentirà il prossimo anno. Il gas, invece, si paga subito. Se la caldaia funziona a gas, gli effetti di sentono anche adesso. L’altro consiglio che posso dare, a ogni inquilino che dovesse ricevere fatture per i costi accessori, è di far verificare gli importi all’associazione inquilini».
Siete preoccupati?
«Sì, a diversi livelli, in particolare nei riguardi della parte più precaria della popolazione. È necessario che lo Stato si faccia carico dei costi supplementari di acqua calda e riscaldamento per gli inquilini con salari modesti. Un sussidio energetico legato al reddito potrebbe essere previsto nel sistema cantonale dei sussidi ai premi dell’assicurazione malattia. Come associazione, pensiamo a un importo tra i 200 e i 400 franchi a persona: una forma di assistenza indispensabile per evitare che si riduca il minimo vitale. I più deboli già pagano troppo, in proporzione al reddito: per un guadagno fino a 4mila franchi, il 7,7% se ne va in costi accessori. Significa la povertà energetica».
Come evitarla?
«È necessario istituire rapidamente un gruppo di lavoro, a livello nazionale. Oltre ai sussidi energetici, sono necessari degli adattamenti nel campo delle prestazioni complementari dell’Avs e dell’assistenza sociale. I costi supplementari dei conguagli dovrebbero essere coperti dalle prestazioni complementari».
C’è il rischio che la gente smetta di usare acqua calda e riscaldamento anche quando servono?
«Anche questa è una possibilità su cui riflettere. L’invito di Asi è ad abbassare la temperatura domestica di 2 gradi, preferendo un maglione in più o scarpe d’appartamento a una temperatura che genera costi eccessivi. Sono numeri che possono sembrare ridicoli, ma la riduzione di 1 grado genera una riduzione del 6% del consumo di energia di origine fossile. Due gradi fanno 12. È un impatto importante: ma bisogna evitare che questo si traduca in fasce di popolazioni deboli che stanno al freddo e benestanti che continuano a girare per casa in maglietta e pantaloncini, anche in inverno».
Una questione culturale?
«Certamente. E serve che lo Stato e i Cantoni organizzino una grande campagna di sensibilizzazione, ora ancora più urgente a causa del conflitto russo-ucraino. Ridurre la dipendenza strategica dalle energie fossili e dalle importazioni russe è una necessità forte. Bisogna spiegare alla gente come metterla in atto».
Le energie alternative sono la strada?
«Sì, ma serve un investimento massiccio da parte dello Stato con sovvenzioni importanti. Servono misure di accompagnamento, per esempio per la sostituzione delle caldaie a energia fossile. Oggi i più grandi consumatori di energia in Svizzera sono gli stabili dove non è stata fatta riqualificazione energetica. Ma non sta agli inquilini, che già soffrono di affitti troppo cari, pagarla attraverso affitti su cui tali costi verrebbero ribattuti. Sta allo Stato e ai proprietari che hanno incassato sovraredditti negli ultimi anni».
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