Mondo economico compatto in favore del sì alla legge sul pareggio del conto economico entro il 2025: «Niente tagli ai servizi, ma contenimento di una spesa che cresce con velocità superiore alle entrate»
Basterebbe adottare il principio del buon padre di famiglia, in fondo. Quale immagine migliore si questa facile metafora, ribadita da vari interlocutori riuniti negli uffici della Camera di Commercio, per spiegare le ragioni di un sì al «pareggio del conto economico del Cantone entro il 31 dicembre 2025, con misure di contenimento della spesa e senza riversamento degli oneri sui Comuni». Tema oggetto di referendum il prossimo 15 maggio, dinnanzi al quale il mondo economico si mostra compatto: non c’è alternativa, dice, se non quella di gravare ulteriormente e pesantemente sulle tasche dei cittadini. Oppure di lasciare una eredità di debiti ingenti alle future generazioni.
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Le ragioni del no? Gehri: «Pura demagogia»
Per i sindacati e diverse associazioni, sostenitori del no, si traduce solo in una brutta parola: tagli. A case anziani e ospedali, scuola, giustizia, sicurezza, trasporti pubblici e in generale a tutti quei servizi sociali ed essenziali soprattutto per le fasce più deboli della popolazione. «Siamo qui per un dovere di fare ordine e chiarezza», dichiara così il presidente della Camera di Commercio Canton Ticino Andrea Gehri, in apertura a una conferenza dove tutti gli interlocutori si trovano in assoluto accordo. «L’equilibrio è un dovere, non soltanto una raccomandazione», riflette Geheri per tutti, parlando di atto di responsabilità civica. Perché il decreto così contestato, dice, in realtà «non taglia alcuna spesa, non riduce alcun aiuto»; piuttosto, risana le finanze e blocca il meccanismo che porta lo Stato a spendere più di quanto incassi. «La presunta macelleria sociale sbandierata dai referendisti è pura demagogia».
L’incremento della spesa pubblica
Qualche dato, per spiegare: la spesa per i dipendenti pubblici, il funzionamento della macchina dello Stato e per i sussidi è aumentata di un importo superiore al 30% negli ultimi a dieci anni, 709 milioni di franchi. Il carico fiscale, rispetto al 2010, di 365 milioni di franchi. Le tasse di altri 63 milioni: e tutto questo neanche «basta a pagare i salari e i costi degli impiegati pubblici. In questo contesto è più che ragionevole sostenere una proposta che mira a limitare l’aumento incontrollato della spesa, senza toccare le fasce più deboli e le necessità manifeste».
Maderni: «Le tasse sono già troppe»
A fare eco a Gehri ecco la vicepresidente Cristina Maderni, secondo cui «solo partendo da una solida base finanziaria sarà possibile sostenere le sfide della crescita economica sociale». Troppe sono già le tasse, non nasconde: «Paghiamo per un duplicato degli uffici fiscali, sono aumentate le tasse di circolazione e sui cani, c’è la nuova tassa sul sacco e nel 2025 arriverà la tassa di collegamento»: come dire, la strada non può essere quella di un ulteriore aggravio del prelievo fiscale, «che dovrebbe essere pari a un altro 15% oltre al 45% che già ci siamo ritrovati».
Pesenti: «L’industria perde competitività»
In altri termini, più vicini alle prospettive dell’industria, «il Ticino deve impegnarsi per non perdere ulteriore competitività - non le manda a dire Oliviero Pesenti, presidente Aiti - La digitalizzazione, l’invecchiamento della popolazione pongono sfide che richiedono scelte di fondo e investimenti. Prerogativa essenziale è uno Stato con le finanze sane. Il debito pubblico cantonale sta arrivando a 3 miliardi: stiamo ipotecando il futuro dei nostri figli».
Petruzzella: «Spendere ciò che si ha in tasca»
Eccola qui, la metafora di un Paese e un Cantone che è come una grande famiglia, dove il capo ha l’obbligo di contenere una «spesa pubblica fuori controllo. Senza una correzione cresceranno i prelievi in termini di imposte e tasse casuali», conclude Pesenti. «Per noi è un principio sacrosanto - interviene Alberto Petruzzella a nome dei bancari ticinesi - Bisogna spendere i soldi che abbiamo in tasca». Altro concetto molto semplice, così come quello per cui forse, osserva, «la trasformazione digitale potrà consentire di ottimizzare i costi».
Piazzini: «La barca rischia di incagliarsi»
Perché dire sì, a tirar le somme? Perché «se non interveniamo andiamo a sbattere», chiosa Gianluigi Piazzini, presidente cantonale della Camera ticinese dell’economia fondiaria. È lui il primo fautore della logica del buon padre di famiglia, che oggi sembra l’argomento più solido da opporre a chi vuole mantenere le cose come stanno. «Il fare politica è stabilire delle priorità. Meno piste ciclabili e consolidamento delle spese sociali. Se non lo si fa, la barca si incaglia».
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