Secondo il Kof, vi sarà una crescita generale, ma comunque insufficiente a compensare l’inflazione: per il 2022 almeno, il valore reale del guadagno di un lavoratore dipendente sarà in ribasso dell’1%.
Un dato di fatto: i rincari con cui ci si confronta ormai ogni giorno porteranno a una perdita notevole del potere d’acquisto delle famiglie con reddito da lavoro dipendente: stimato, secondo il capo economista dell’Unione sindacale svizzera Daniel Lampart, in circa 2.200 franchi all’anno per una famiglia di quattro persone.
Una conseguenza: non si può sperare di continuare come nulla fosse, lasciando pagare alle fasce di popolazione più deboli il prezzo più alto di una situazione difficile per tutti, allarmante per qualcuno. «È indispensabile introdurre aumenti salariali generali», riflette lo stesso Lampart.
Una domanda: cambierà qualcosa, e che cosa, in un prossimo futuro nelle tasche dei lavoratori?
Poche indagini sugli accordi salariali
Difficile fare una previsione che possa vantare un certo grado di scientificità. Attualmente, in Svizzera, non vengono condotte indagini su dati reali pregressi e su tendenze in essere e anche i sondaggi realizzati dalle aziende stesse, con indicazione esplicita degli accordi salariali per l’anno successivo, sono poco rappresentativi, in termini di cadenza insufficiente e di dimensione ristretta del campione.
Il Kof interpella 5mila aziende
Ciò premesso, la sensazione è che per il 2023 i salari siano destinati ad aumentare, sia pur non in misura del tutto sufficiente. A dichiararlo è il Kof, che ha condotto per la prima volta un’indagine speciale sul comportamento delle aziende, alle quali è stato rivolto preciso quesito: «Come ti aspetti che i salari lordi dei dipendenti nella tua organizzazione cambino in media tra oggi e un anno da oggi (in percentuale)?». Oltre il 40% ha dichiarato di attendersi un incremento pari ad almeno il 2%, se non oltre.
La risposta di 1.550 manager e capi
A prestarsi al rilevamento sono state 1.550 aziende elvetiche sulle 5.556 interpellate, pari al 27,9%. Il questionario fornito è stato compilato da proprietari e manager nel 70% dei casi, capi di dipartimento nel 17%: ruoli di rilievo che dimostrano come le aspettative segnalate non siano generici auspici, ma possano effettivamente tradursi in realtà già nel 2023 e avere un impatto concreto sui livelli salariali effettivi nelle organizzazioni di cui sono responsabili.
I maggiori incrementi nelle piccole imprese
Nei prossimi dodici mesi, è così prevista una crescita media dei salari lordi dell’1,6%, con disparità però anche notevoli fra impresa e impresa. Quattro aziende su dieci prevedono una crescita salariale del 2% almeno, con picchi fino al 5% in alcuni casi; d’altro canto, un quarto delle aziende stima invece una crescita salariale molto più modesta, intorno allo 0,5% non di più, semmai di meno. Il 20%, poi, dichiara che non vi sarà nessun aumento. La differenza, molto spesso, sta nelle dimensioni: nei gruppi più grossi e strutturati sono attesi aumenti lievemente inferiori rispetto alla imprese più piccole. La buona notizia, per tutti, è che quantomeno non sono in previsione tagli alla retribuzione nominale.
Ecco i settori più fortunati
Se l’analisi si concentra sui settori, piuttosto che sui singoli, ecco che la crescita salariale è generalizzata e si attesta intorno all’1% almeno. I valori più elevati, pari al 2%, si registrano nell’ambito dei servizi finanziari, informatici e della tecnologia, alloggi, veicoli a motore, industria del legno, ingegneria meccanica e produttori di apparecchiature per l’elaborazione dati, tra cui l’industria orologiera.
Settore immobiliare fra i più penalizzati
All’estremità inferiore dell’intervallo di crescita salariale si trova invece l’industria della stampa, con una crescita salariale media dello 0,5%, mentre la maggior parte degli intervistati nel settore immobiliare e in altri settori manifatturieri ritiene addirittura che i salari nominali non aumenteranno affatto.
Aumenti attesi nel mese di gennaio
Gli aumenti potranno tradursi in atto nella maggior parte dei casi a partire dal 2023. Alle aziende è stato infatti chiesto in quali mesi dell’anno in genere aumentano o riducono i loro salari: gennaio è stata la risposta nel 66,4% dei casi, dicembre nel 9,2%. In genere, ogni variazione avviene solo una volta all’anno; solo l’8% delle aziende ha dichiarato di effettuare due adeguamenti salariali all’anno, a gennaio e a luglio. Un’impresa su cinquanta sarebbe in grado di intervenire sui compensi anche tre o più volte in dodici mesi.
Le pmi preferiscono dicembre
Interessante notare come siano le imprese di dimensioni più modeste ad adeguare i salari alla fine dell’anno, mentre quelle che preferiscono gennaio hanno una media di 123 dipendenti equivalenti a tempo pieno. Ancora più grandi quelle che scelgono aprile: 370 dipendenti. Resta il fatto che sarebbe auspicabile un intervento più frequente: correggere gli importi solo una volta all’anno significa condannare i dipendenti a restare molto indietro rispetto alle tendenze economiche.
Salari reali in calo nel 2022
L’incremento atteso non porterà però a un reddito sufficiente a far fronte alle conseguenze della guerra in Ucraina. Secondo il Kof, i salari nominali cresceranno in media dello 0,8% nel 2022 e 1,8% nel 2023: percentuali insufficienti a compensare l’inflazione. I salari reali dovrebbero quindi diminuire quasi dell’1% quest’anno per salire dell’1,1% il prossimo. Probabile che, dinnanzi alla richiesta dei lavoratori di un risarcimento per l’aumento dei prezzi al consumo, le aziende risponderanno con un diniego giustificato da una maggiore incertezza economica, costi di produzione più elevati e, potenzialmente, un calo della domanda di esportazione.
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