Complicazioni in vista per aziende e lavoratori frontalieri che dal 1° luglio prossimo potrebbero dover dire addio al telelavoro a causa della fine dell’accordo amichevole firmato da Svizzera e Italia nel corso della pandemia. Samuele Vorpe, professore Responsabile del Centro competenze tributarie della Supsi, ci aiuta a capire cosa sta accadendo e i possibili scenari di una situazione al quanto difficile dal punto di vista fiscale.
Conto alla rovescia per il telelavoro. O almeno per i frontalieri. Con il ritorno alla normalità e l’allentamento delle misure anti Covid, le proroghe stipulate tra Confederazione e Stati confinanti per agevolare l’homeworking potrebbero venire meno.
In questi due anni di pandemia, il telelavoro è stato uno strumento fondamentale e di enorme supporto nei mesi di chiusura, soprattutto per quei lavoratori provenienti da oltre confine impiegati in modo particolare nel terziario, settore che si presta notevolmente a questa modalità di lavoro. Ora Berna e i governi vicini sono all’opera per trovare un accordo e regolamentare il telelavoro transnazionale.
In ballo una questione giuridica, secondo cui in base ai Regolamenti comunitari n. 883/04 e 987/09 quando il frontaliere lavora da remoto da uno Stato diverso dalla Svizzera può farlo al massimo per il 24% del tempo totale annuo di lavoro, ovvero circa un giorno a settimana, in modo tale che il datore di lavoro non debba cambiare il destinatario dei contributi sociali. Un quadro però che non trova conferma nell’accordo fiscale sui frontalieri stipulato nel 1974 tra Italia e Svizzera in cui lo status di frontaliere viene definito dal rientro giornaliero al proprio domicilio.
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La pandemia ha velocizzato tutto
Era il 19 giugno del 2020 quando Roma e Berna siglavano un documento amichevole per regolamentare i frontalieri costretti al telelavoro.
Con questo accordo “in via del tutto eccezionale e provvisoria – si legge nel testo del documento – si accetta che […] i giorni di lavoro svolti nello Stato di residenza, a domicilio e per conto di un datore di lavoro situato nell’altro Stato, a seguito delle misure adottate per combattere la diffusione del Covid-19, sono considerati giorni di lavoro svolti nello Stato in cui la persona avrebbe lavorato e ricevuto il corrispettivo salario, lo stipendio e le altre remunerazioni analoghe”.
In poche parole, durante la pandemia, grazie a questo accordo, il lavoro svolto in modalità telematica per i frontalieri è stato equiparato dalle autorità nazionali italiane come regolarmente svolto in Svizzera, senza implicazioni fiscali e previdenziali.
Dal primo luglio tuttavia la burocrazia potrebbe quindi imporre un ritorno al passato. A tal proposito, Samuele Vorpe, professore Responsabile del Centro competenze tributarie della Supsi, alza le mani di fronte a questa situazione: «Significa che i frontalieri dovranno varcare la frontiera e rientrare a domicilio ogni giorno se vogliono essere tassati soltanto in Svizzera secondo l’accordo sui frontalieri» sottolineando che verrebbe a crearsi una condizione al quanto sfavorevole per il frontaliere.
Professore, cosa sta accadendo?
«Le autorità amministrative di Svizzera e Italia hanno siglato nel mese di giugno 2020 un accordo amichevole durante la pandemia per regolamentare, di fatto, il telelavoro. In poche parole, quando la persona presta lavoro in Svizzera in qualità di frontaliere anche nel momento in cui non rientra al suo domicilio quotidianamente, viene comunque considerata frontaliere. Ai sensi dell’accordo amichevole dunque è stato temporaneamente disconosciuto il fatto che il frontaliere debba rientrare ogni giorno al suo domicilio. E questo vale anche in condizione di telelavoro. Dal punto di vista fiscale significa che la persona in telelavoro continua ad usufruire dello status di frontaliere senza rientro giornaliero. Di conseguenza, il suo reddito è imponibile solo in Svizzera, senza doverlo dichiarare in Italia».
Come si evolverà la situazione?
«Con la prossima caduta dell’accordo amichevole, venendo meno la situazione di emergenza pandemica, tutto tornerà come prima. E significa che i frontalieri dovranno varcare la frontiera e rientrare a domicilio ogni giorno se vogliono essere tassati soltanto in Svizzera secondo l’accordo sui frontalieri. Questo perché secondo l’accordo sui frontalieri tra Svizzera e Italia del 1974 per lo status di “frontaliere” è necessario il requisito del rientro giornaliero al domicilio in Italia. Laddove invece si continui con il telelavoro, applicando alla lettera l’accordo fiscale, viene meno il requisito del rientro giornaliero e, di conseguenza, il lavoratore non è più considerato frontaliere».
Cosa significa?
«Lavorando da casa il reddito che il dipendente percepisce dall’azienda con sede in Svizzera dovrà essere dichiarato in Italia per i giorni che lavora dal proprio domicilio. In questo caso, l’Italia concederà un credito per le imposte che vengono pagate in Svizzera e il datore di lavoro dovrà trattenere le imposte per i giorni che la persona lavora in Svizzera».
Un esempio concreto?
«Se una persona lavora da casa 5 giorni su 5, ovvero svolge il 100% delle ore dall’Italia, non svolgendo l’attività effettiva in territorio svizzero, il suo reddito sarà imponibile soltanto in Italia».
Basta un solo giorno?
«Sì, perché l’accordo non fa riferimento a giorni o percentuali di tolleranza per lavorare fuori dai confini elvetici. Specifica che per essere considerato frontaliere è necessario il rientro giornaliero».
Per quanto riguarda i regolamenti europei?
«I regolamenti comunitari europei, inseriti negli accordi bilaterali sulla libera circolazione delle persone, fanno riferimento ai contributi sociali. Affermano che il frontaliere può trascorrere in telelavoro al massimo il 25% del totale annuo di lavoro, ovvero un giorno a settimana se consideriamo un contratto al 100%. Qualora dovesse essere superata tale soglia, il datore di lavoro svizzero è tenuto a pagare i contributi sociali non più all’Avs ma all’Inps. Ma questi accordi di sicurezza sociale, non hanno nessun nesso con quello fiscale. Quindi quel 25% non è applicabile all’accordo fiscale sui frontalieri».
Ci spieghi meglio..
«Con la fine dell’accordo amichevole, nonostante il regolamento comunitario faccia riferimento indirettamente al telelavoro, un frontaliere che lavora da casa non può più ricadere nell’accordo fiscale frontalieri.
Nel momento in cui una persona residente in Italia dovesse lavorare anche un solo giorno a settimana da casa, il datore di lavoro potrà continuare a pagare i contributi all’Avs e non all’Inps. Ma dal punto di vista fiscale, come detto, non si applica più l’accordo fiscale sui frontalieri. Di conseguenza si applica, invece, la convenzione tra Italia e Svizzera che sancisce, secondo le regole ordinarie, che senza rientro al domicilio giornaliero, il reddito è imponibile anche in Italia e quest’ultima deve ovviare alla doppia imposizione concedendo un credito per le imposte pagate in Svizzera».
Cosa cambia per il frontaliere?
«Verrebbe a crearsi una situazione sfavorevole per il frontaliere, perché in Italia le imposte sono più elevate a causa della progressività molto veloce dell’aliquota già a partire dai bassi redditi. Per fare un esempio: in Svizzera per un reddito annuo di 65 mila euro si paga il 5% se la persona è coniugata, in Italia se ne paga già il 25-30%. Questo scoraggerà sicuramente il lavoratore italiano a stare in telelavoro».
Nel nuovo accordo sui frontalieri si dice qualcosa?
«L’accordo sui frontalieri che entrerà in vigore da gennaio 2023 non contiene nulla a riguardo. Si parla esplicitamente di rientro quotidiano. Specifica poi che è possibile fermarsi al massimo 45 giorni all’anno nel territorio dove si esercita l’attività lavorativa, non dove si abita. Solamente nel protocollo dell’accordo si incontra un impegno morale da parte delle autorità: laddove il tema diventerà importante e sarà necessario discuterne, dovranno essere fatte le considerazioni del caso».
Sono in corso delle discussioni tra gli Stati?
«Al momento nulla si muove. Per ora la priorità è far entrare in vigore questo accordo e una volta raggiunto il traguardo potranno iniziare nuove valutazioni, ma ci vorrà del tempo. Gli scenari che si prospettano aprono alla possibilità di un nuovo accordo amichevole come quello firmato durante la pandemia o a una revisione del nuovo accordo. Tuttavia sono solo ipotesi. Quel che è certo è che quando decadrà l’accordo amichevole siglato durante la pandemia, qualora i lavoratori non rientrino più quotidianamente al proprio domicilio non potranno fare riferimento all’accordo sui frontalieri».
Chi è chiamato a controllare?
«Deve essere il datore di lavoro ad annunciare che la persona non rientra più giornalmente al domicilio, ma qualora si continui a operare nel silenzio la persona dovrà poi essere sottoposta a verifica dalle autorità fiscali. E qui si solleva un’altra questione: quella dell’accertamento. È una situazione nuova e dovremmo vedere come si comporteranno le autorità fiscali una volta caduto l’accordo».
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