La notizia giunta ieri, insieme alla cancellazione della Svizzera dalla blacklist, apre a diversi quesiti. Primo fra tutti: non si poteva fare prima? E c’è chi da oltreconfine indica la Svizzera come responsabile di questa situazione.
Oltre alla notizia dell’intesa preliminare tra Italia e Svizzera riguardo all’eliminazione della Confederazione elvetica della blacklist del 1999, è stato messo nero su bianco da ambe le parti che sarà siglato un accordo transitorio sul telelavoro dei frontalieri.
Dalle poche notizie emerse dal comunicato stampa e dalla dichiarazione di intenti siglata dalla ministra delle finanze Karin Keller-Sutter e dal suo omologo italiano Giancarlo Giorgetti, tuttavia non si evincono molte informazioni.
Ricordiamo che dallo scorso 1º febbraio, i frontalieri italiani hanno visto venir meno la possibilità di fare telelavoro. O meglio. Possono continuare a lavorare da casa, ma non sono più considerati dei frontalieri, in quanto secondo l’accordo ancora in vigore del 1974, questo titolo decade, poiché non sussiste il rientro al domicilio quotidiano.
Il tempo scorre, la normativa rimane vecchia
Fatto sta che da allora sono passati quasi tre mesi. «Il comunicato stampa diffuso ieri mattina - spiega Francesca Amaddeo, docente e ricercatrice al Centro Competenze della Supsi - lascerebbe trasparire un prolungamento del precedente accordo amichevole. La data del 30 giugno 2023 è in linea con la scadenza, ad oggi, fissata per gli accordi in tema di previdenza sociale, ma è molto distante dall’incontrare le esigenze dei contribuenti e delle autorità fiscali. Si tratta di un accordo amichevole dichiaratamente “non prorogabile”». Un annuncio che lascia spazio solo a interrogativi: «Cosa succederà dopo? Inevitabilmente occorrerà disciplinare il trattamento fiscale del telelavoro con un nuovo e diverso accordo. Disciplinerà i mesi restanti del 2023 o anche il futuro? Regolerà il telelavoro sia per i frontalieri che per i lavoratori dipendenti fuori fascia oppure si limiterà solo ai primi? Quale sarà la soglia di tolleranza introdotta? Il 25% o il 40%? Certo è che non si tratta di una soluzione e che, ancora una volta, si resta un passo indietro».
La diatriba è iniziata ufficialmente il 22 dicembre scorso, giorno in cui era stata annunciata la disdetta dell’accordo amichevole con l’Italia. Ironia della sorte, lo stesso giorno, veniva siglato l’accordo con la Francia, con un’intesa che permette ai frontalieri francesi di lavorare in Romandia fino a un massimo del 40% delle ore lavorate. «Quasi una beffa, soprattutto per il Cantone Ticino - continua Amaddeo - La soluzione svizzero-francese è ragionevole e moderna: si pone in linea con gli sviluppi internazionali, sia giuridici e fiscali, sia di previdenza sociale. Scegliere un accordo transitorio dimostra essere ben distanti da una soluzione che possa ritenersi soddisfacente».
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Matteo Mandressi, Cgil Como: «situazione anacronistica»
«Si deve risolvere rapidamente questa situazione. È inammissibile», afferma Matteo Mandressi dell’ufficio Coordinamento frontalieri Cgil di Como. «L’accordo è stato richiesto sin da subito, da quando sono scaduti i termini. Il ministro Giorgetti aveva assicurato pubblicamente che lo si sarebbe fatto nel breve termine». I fatti, tuttavia, parlano da soli. Al 21 di aprile, di un’intesa nemmeno l’ombra. «Intanto è palese che si tratti di un accordo di scambio con la Svizzera sulla questione della blacklist. La transitorietà si spiega in parte con la necessità di tenerlo legato all’approvazione dell’accordo fiscale». Che lettura dare quindi? «A nostro avviso, si cerca di sanare il pregresso da febbraio fino a giugno, a cui fa seguito un accordo strutturato e definitivo. Ci viene da chiedere perché, allora, non è stato fatto fin da subito». Inoltre, «la maggior parte di chi lavorava da remoto da febbraio non lo ha più fatto, perché le aziende svizzere non lo hanno concesso. Il rischio è che questo accordo diventi vigente a termini scaduti». Ma c’è di più: «Da quello che ci risulta, l’Accordo fiscale che era in via di approvazione alla Camera, probabilmente tornerà al Senato, perché si vuole inserire una norma sul telelavoro. Un aspetto importante». C’è da ricordare, ad ogni modo, che il precedente accordo amichevole era stato fatto scadere poiché legato alla situazione della pandemia. Viene da chiedersi, però: una volta che il nuovo accordo sarà approvato, l’eventuale normativa sul telelavoro sarà anch’essa applicata a partire da gennaio 2024? «Bisognerà capire se troveranno un’escamotage giuridico affinché possa essere applicata fin da subito e non dal primo gennaio».
Silvana Snider, Commissione speciale rapporti Lombardia-Svizzera
L’ex consigliera al MEF e membra della Commissione speciale rapporti Lombardia Svizzera, Silvana Snider, mette subito le cose in chiaro: «Un possibile accordo definitivo è possibile solo con dei dati precisi su cui dibattere. E solo con l’approvazione del nuovo accordo sul regime fiscale dei frontalieri sarà possibile aprire dei tavoli di discussione dedicati». Sul fatto che Svizzera e Francia abbiano già un accordo, respinge: «Ogni Stato ha i propri sistemi di fiscalità».
A più riprese sottolinea, infatti, pur rimanendo sul vago, che sono necessari «dati certi e numeri esatti dei frontalieri» per comprendere l’impatto che l’accordo potrebbe avere sul fisco italiano.
Ricorda inoltre che stando alla normativa attualmente in vigore «un frontaliere che lavora da casa è considerato alla pari di lavoratore italiano che lavora in Italia per un’azienda svizzera». È quindi giusto definire con esattezza: «Quale percentuale un dipendente frontaliere può lavorare in Italia, pur continuando a essere definito frontaliere? È una questione che vogliamo e dobbiamo risolvere». «Ma non può farlo l’Italia da sola». Da quel che dice, infatti, sembrerebbe che «la Svizzera non sia convinta di volerlo sottoscrivere». «Quando ci si siede al tavolo per un accordo si deve essere in due a volerlo fare: non è detto che sia per forza l’Italia a non volerlo».
Viene da chiedersi, allora, quali dati abbia chiesto l’Italia governata da Giorgia Meloni alla Confederazione elvetica per destare così tanta riluttanza.
«Chiaramente c’è una spinta da parte delle amministrazioni di confine nel voler trovare un punto di incontro. Tuttavia, lo Stato deve fare un accordo con la Confederazione non con il singolo Cantone».
La politica ticinese rimanda le accuse al mittende
Sentiti esponenti della politica elvetica rimandano al mittente le accuse, poiché è uno dei pochi accordi a vantaggio della Svizzera, dunque nel suo interesse. Se sul telelavoro non si dovesse trovare una quadra, come detto, l’Italia potrebbe imporre il proprio regime fiscale ai lavoratori frontalieri che lavorano da casa per un’azienda svizzera.
Intanto, Ignazio Cassis, in concomitanza dell’inaugurazione dell’Ambasciata elvetica in Vaticano, ha colto l’occasione per fare visita al ministro delle finanze Giorgetti: «Giornata di intensi colloqui oggi a Roma: con il Ministro dell’economia e delle finanze Giancarlo Giorgietti ci siamo rallegrati per l’intesa firmata ieri che sancisce l’uscita della Svizzera dalla black list. Un ulteriore passo importante nelle relazioni», ha scritto su Twitter.
Giornata di intensi colloqui oggi a #Roma: con il Ministro dell’economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti @MEF_GOV ci siamo rallegrati per l’intesa firmata ieri che sancisce l’uscita della #Svizzera dalla black list 🤝 Un ulteriore passo importante nelle relazioni 🇨🇭-🇮🇹 pic.twitter.com/KnkcuBtqYx
— Ignazio Cassis (@ignaziocassis) April 21, 2023
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