Tra qualche settimana scadrà l’accordo amichevole tra Svizzera e Francia che regolamentava il telelavoro transfrontaliero durante l’emergenza sanitaria.
I frontalieri dovranno dire addio al telelavoro? Se lo chiedono tutti a cominciare dagli stessi lavoratori che in questi due anni di pandemia hanno proseguito la loro attività dal proprio domicilio, se lo chiedono i datori di lavoro che hanno potuto far fronte alle chiusure obbligatorie grazie alla tecnologia che ha reso tutto più semplice. Con il 30 giugno prossimo, gli accordi amichevoli che regolamentano la sicurezza sociale e l’obbligo fiscale dei lavoratori frontalieri che lavorano a distanza tra Svizzera e Francia scadranno e da un giorno con l’altro tutto tornerà come prima. L’accordo infatti, nel corso dell’emergenza sanitaria da coronavirus, ha permesso ai quasi 150 mila frontalieri della Svizzera romanda di rimanere assoggettati al regime previdenziale e fiscale svizzero, equiparando il lavoro da casa al lavoro transfrontaliero. Ma cosa accadrà dal 1° luglio?
Preoccupazione soprattutto per Ginevra
Per fare un esempio, nella sola città di Ginevra in cui i lavoratori frontalieri sono circa 90 mila, negli ultimi 2 anni il telelavoro ha vissuto un vero e proprio boom, passando da 4 mila in epoca pre pandemia a quota 54 mila telelavoratori. Insomma, quale sarà l’evoluzione di questa situazione in cui i tempi hanno decisamente superato le normative? Se lo domanda anche Marco Taddei, responsabile settore Politica internazionale dell’Unione svizzera imprenditori che con tono preoccupato ribatte: «È la fine del telelavoro dopo due anni di attività da casa al 90-100%? Ma soprattutto che ne sarà di Ginevra?»
Boom di telelavoro anche nell’Arco giurassiano
Il telelavoro ha registrato un vero e proprio successo anche nei Cantoni dell’Arco giurassiano. Secondo i dati diffusi nei giorni scorsi dall’istituto Bass, nel mese di febbraio oltre 65 mila frontalieri assunti lavoravano da casa. Ora il timore è che Parigi possa mettere una stretta sulle imposte spettanti dai frontalieri, impiegati formalmente in Svizzera, ma che svolgono la loro attività lavorativa da casa propria, al di là del confine svizzero-francese.
Con il 1° luglio verosimilmente si farà un salto nel passato, quando per garantire lo status di lavoratore frontaliere era necessario il rientro giornaliero al proprio domicilio. «In condizione di normalità – spiega Taddei – si deve fare riferimento ai Regolamenti comunitari sui contributi fiscali e agli accordi fiscali tra i diversi Cantoni della Svizzera romanda e la Repubblica francese. Per quanto riguarda i Regolamenti comunitari europei il margine del telelavoro per i frontalieri è fissato al 25%. Nel momento in cui tale soglia viene superata, il datore di lavoro svizzero è tenuto a versare l’importo per i contributi sociali all’ente previdenziale del paese di residenza del dipendente».
La situazione si fa complicata, non solo sul fronte previdenziale, ma anche su quello fiscale «poiché le direttive non fanno riferimento a un Regolamento europeo, ma ad accordi nazionali e addirittura cambiano da Cantone a Cantone».
Riforma fiscale francese
Un quadro reso ancora più complesso dalla riforma fiscale adottata nel 2019, poco prima dell’avanzata della pandemia. «In Francia nel 2019 – racconta Taddei – era entrata in vigore la nuova legge fiscale, sospesa poi a causa della pandemia. In questa nuova normativa si parla del telelavoro transfrontaliero per cui il datore di lavoro – belga, lussemburghese o svizzero – è costretto a nominare un rappresentante fiscale ufficiale in Francia. Nell’ambito dell’imposta alla fonte, il datore di lavoro deve affidare tale competenza a un rappresentante fiscale dell’amministrazione francese. Il problema è che questa normativa si scontra con l’articolo 271 del codice penale svizzero che vieta questo agire».
Rappresentante fiscale e telelavoro
Con le nuove norme tributarie le aziende straniere che reclutano frontalieri devono nominare un rappresentante fiscale nella Repubblica francese; nel testo di legge viene spiegato che quando la società non è stabilita nell’Unione europea (Ue) è soggetto all’imposta sul valore aggiunto (iva) o deve adempiere obblighi di comunicazione, nominando un rappresentante fiscale stabilito in Francia che espleta le formalità come operazioni imponibili o pagare le imposte in sua vice. Significa che in caso di telelavoro dovrebbe sorvegliare le ore lavorate dai dipendenti transfrontalieri al di fuori dei confini svizzeri e versare tasse e contributi a nome delle aziende svizzere a Parigi. Per questo da settimane la Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali (Sfi) sta lavorando a nuovi accordi. Interpellata ha confermato che attualmente sono in corso discussioni bilaterali su possibili normative future.
Cantone che vai regole che trovi
Nella Svizzera romanda, tuttavia, a seconda del Cantone in cui ci si trova le regole cambiano. A Ginevra e Friburgo «a partire dal 1° luglio, dalla prima ora di lavoro svolta da casa, datore di lavoro e dipendente frontaliere vanno incontro a infrazione penale». Questo lo si deve all’accordo fiscale siglato tra Svizzera e Francia nel 1966, in cui veniva specificato che per rientrare nello status di frontaliere nell’ambito dell’imposta alla fonte, è necessario il rientro giornaliero a domicilio.
Conseguenze sul piano amministrativo e finanziario
Il decadimento dell’accordo amichevole siglato durante la pandemia comporta delle conseguenze anche sul piano amministrativo e finanziario.
«Per i datori di lavoro ci sono degli oneri amministrativi tra cui contattare l’amministrazione francese e riempire formulari. Dei passaggi che comportano delle perdite di tempo. Oltre a ciò subentrano gli oneri finanziari: i contributi alle assicurazioni sociali versati dagli stessi datori di lavoro che per le aziende svizzere corrispondono a tre volte tanto quelli versati all’Avs».
Per quanto riguarda gli altri Cantoni?
Per gli Stati dell’arco giurassiano la questione è leggermente meglio. Sì perché grazie a un accordo fiscale transnazionale firmato nel 1983 «i Cantoni Basilea, Giura, Neuchâtel, Vallese e Vaud la soglia del telelavoro è fissata al 20%; quindi aziende e imprese potranno continuare con l’home office per un giorno a settimana. Superato questo limite, viene violata da una parte la legge fiscale francese e dall’altra, qualora venisse nominato un rappresentante fiscale come richiesto dalla nuova legge, il codice penale svizzero».
Che cosa faranno gli imprenditori?
«Non si sa bene. A Ginevra, i diversi ambienti economici come la Camera di Commercio e la Federazione degli imprenditori stanno raccomandando di interrompere il telelavoro al di là della frontiera».
Quali problemi comporta questa situazione?
«Questa condizione genera innanzitutto incertezza perché non sappiamo cosa accadrà tra qualche settimana. L’altro tema che viene sollevato riguarda la restrizione della libertà economica e di fare impresa, oltre al fatto che applicando questi limiti si crea disparità nel trattamento dei collaboratori, alimentando tensioni e ingiustizia all’interno dell’ambiente lavorativo. Infine le aziende hanno anche un problema di disinformazione. Diverse hanno scoperto il telelavoro durante la pandemia e ora hanno bisogno di essere informate poiché non sono a conoscenza della normativa».
Quali sono le soluzioni?
«Da quello che sappiamo sono in corso delle discussioni ad alto livello amministrativo tra la Sfi a Berna e il Ministero delle finanze a Parigi. Mentre a livello politico nel nostro Parlamento non ci sono degli interventi a riguardo. In Francia, invece, all’Assemblea nazionale è stato richiesto di alzare la soglia del telelavoro transfrontaliero al 40% in tutta Europa. Una proposta che incontra il parere delle assemblee generali e dell’Unione svizzera degli imprenditori che hanno preso posizione, chiedendo di alzare il limite a tale soglia. Un’altra possibile soluzione potrebbe essere la proroga delle leggi in vigore prima della pandemia, anche se rimane quella meno plausibile. Per una soluzione concreta, tuttavia, ci vorrà del tempo».
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