Fra 139 e 450 milioni di franchi l’indotto economico annuo stimato di uno strumento principalmente rivolto a una clientela straniera, su cui le fiduciarie sono pronte a scommettere. Ecco a che cosa serve, a chi, come abbiamo fatto senza e i vantaggi che porterà al Paese.
Si parla di centinaia di milioni di franchi che potrebbero arrivare nelle casse della Confederazione, il giorno in cui la Svizzera avrà il suo trust: istituto giuridico per l’amministrazione conto terzi del patrimonio che, finora, sulla base della Convenzione dell’Aia del 2007, è riconosciuto dallo Stato elvetico solo se realizzato all’estero.
Fiducia, nella traduzione letterale dall’inglese che lascia i contorni di senso un po’ troppo sfocati. Dietro alla definizione che in superficie resta opaca, la semplicità di qualcosa che di fatto è però elementare: un patrimonio del cui peso liberarsi, per qualsivoglia motivo, cedendolo a beneficiari che non dovranno mai fare la fatica di occuparsene, godendo piuttosto dei vantaggi ricavati dalla gestione di un fiduciario in cambio di fee annuali o percentuali di rendita. Parecchi, nelle stime, i cittadini elvetici che hanno già stipulato un contratto all’estero. Quando e se sarà possibile realizzare un trust in Svizzera, presumibilmente fra un paio d’anni, i capitali potrebbero restare invece in patria; molti altri potrebbero essere attirati da fuori, con conseguente tornaconto per la piazza finanziaria elvetica e creazione di posti di lavoro.
Secondo le ipotesi, la diffusione del trust di diritto svizzero potrebbe generare un indotto economico annuo da 139 a 454 milioni di franchi, un gettito fiscale suppletivo per gli enti pubblici da 57 a 190 milioni. Numeri eccellenti, su cui puntano le fiduciarie ticinesi, confidando sulla capacità attrattiva di una Svizzera rinomata per la sua affidabilità, sicurezza, solidità e finalmente presto in grado di offrire una nuova opportunità per amministrare capitali finanziari, titoli azionari, beni mobili o immobili.
«Il Consiglio federale ha licenziato un messaggio che contiene la legiferazione del trust », spiega Corrado Solcà, cofondatore della Capifid Bullani SA, società che raggruppa professionisti attivi da oltre 50 anni sulla piazza finanziaria di Chiasso pronti, con il vantaggio di una posizione di confine, ad assistere nuova clientela locale ed estera. «Dal 12 gennaio 2022 è in consultazione la modifica del Codice delle obbligazioni che accoglie questo istituto giuridico, attualmente presente in altri Paesi ma ancora assente in Svizzera, che semplicemente riconosceva quelli esteri.
Che cosa significa "riconoscere" quelli esteri?
«Significa consentire in Svizzera la trattazione dei trust esteri con attori residenti all’estero o in Svizzera. Se la legge sarà approvata, presto i patrimoni potranno essere gestiti da trust locali».
Perché solo oggi?
«Autorità e mondo della finanza hanno raggiunto in questi ultimi anni standard di controlli così elevati e performanti da evitare che il trust possa ancora essere visto come uno strumento per mascherare, se non occultare, capitali anonimi, senza evidenza dei beneficiari. Inoltre, per i medesimi scopi la Svizzera poteva e ancora può affidarsi alle fondazioni».
Perché introdurre il trust, dunque?
«L’istituto del trust è un incrocio fra il rapporto fiduciario e la fondazione. Al momento il nostro ordinamento vieta le fondazioni di mantenimento: le fondazioni svizzere possono essere costituite unicamente per far fronte a costi di educazione, dotazione o assistenza ai membri di una famiglia o per scopi analoghi. Inoltre, la fondazione è un soggetto dotato di personalità giuridica e necessita di atto notarile. Il trust è un contratto che accetta diverse forme di stipula; in alcuni Paesi e situazioni, può essere anche orale. Il trust svizzero non potrà però avere scopo caritatevole, come invece la fondazione».
Proviamo a entrare nel dettaglio: come funziona il trust?
«Il trust rappresenta un patrimonio di cui il disponente, o settlor, si dispossessa a favore di uno o più beneficiari, affidandolo in gestione ad un amministratore, il trustee. Le tipologie sono diverse: c’è il trust revocabile oppure irrevocabile, a seconda che il disponente conservi o meno il diritto di rientrare in possesso del patrimonio. Ci sono trust con beneficiari noti, Fixed Interest, e trust discrezionali, dove i beneficiari non sono definiti in maniera palese e non vantano una pretesa certa ma, per esempio, sono individuati con la semplice dicitura di "discendenti", che magari non sono ancora nati».
Perché rinunciare al patrimonio?
«Per tutelarlo. Si tratta di una rinuncia che però definisce, in maniera più o meno indicativa, come dovrà essere gestito dalla persona fisica o giuridica cui lo si affida. Mediante l’atto istitutivo il disponente definisce in maniera unilaterale le regole cui il trustee dovrà attenersi nell’amministrazione del patrimonio. Rinunciare al patrimonio consente di pianificare e differire in futuro la sua attribuzione ai beneficiari».
Ci sono figure specifiche ai quali idealmente l’istituto del trust è rivolto?
«Il trust si rivolge a chiunque abbia un patrimonio, qui o altrove. L’unico limite, attualmente, è che i disponenti residenti in Svizzera possono usare solo trust esteri. Se la legge in esame dovesse passare, un eventuale patrimonio potrà invece essere gestito dalla Svizzera, a favore sia dei propri residenti, con determinate ricadute fiscali, sia di residenti esteri».
Chi è, o sarà, il trustee?
«Non tutti potranno gestire il patrimonio di un trust: bisognerà anzitutto avere un’autorizzazione della Finma, l’autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari. A svolgere questo ruolo potranno essere persone fisiche o giuridiche. Considerato che è previsto un capitale proprio minimo di 100mila franchi, è probabile che prevarranno le persone giuridiche».
Quali sono i requisiti per amministrare in questo modo il patrimonio altrui?
«A livello legislativo, la figura del trustee sarà molto ben inquadrata. Vi sono diverse limitazioni e requisiti da rispettare per ottenere l’autorizzazione della Finma. In primo luogo, per garantirne la continuità, di principio vi dovranno essere almeno due persone qualificate. È previsto un minimo formativo di 40 ore all’anno e servono almeno cinque anni di esperienza nell’ambito di un trust. Dal punto di vista economico i trustee dovranno disporre di adeguati fondi tali da coprire almeno un quarto dei costi fissi risultanti dall’ultimo conto annuale».
Ragioniamo per ipotesi. La Svizzera domani approva il trust. Come si diventa trustee, e dopo quanto tempo si sarà operativi?
«C’è chi l’autorizzazione ce l’ha già. Teoricamente, si potrebbe essere operativi già oggi, non fosse che manca ancora lo strumento giuridico. Quando lo si avrà, si potrà cominciare. Subito: il trust è immediato. Una volta che c’è il contratto di costituzione, si parte».
Oggi il trustee svizzero che cosa fa: può occuparsi di trust esteri?
«Esistono fiduciari che possono gestire trust con sede in altri Paesi».
Capita spesso?
«Nel nostro Paese sono già attive nel settore dei trust fra le 2mila e le 3mila persone. Da uno studio eseguito nel 2013 dalla Swiss Association of Trust Companies è emerso che le 33 società di trust affiliate alla sua associazione amministravano più di 3.000 trust con trustee in Svizzera, per un totale di attivi di oltre 45 miliardi. Il mondo ormai si affida al trust».
A quale scopo?
«Lo scopo principale è successorio. Negli ultimi anni è cresciuta la sensibilità politica al riguardo: non dimentichiamo che dal primo gennaio 2023 entrerà in vigore la revisione del diritto successorio, con previsioni molto più liberali rispetto a quelle attuali. In questo contesto, il trust è uno strumento flessibile al servizio della pianificazione successoria: si pensi al fatto che si potranno prevedere rendite o l’attribuzione di capitali a favore dei beneficiari, così come la semplice preservazione di determinati beni».
Quanti sono gli svizzeri che già hanno trust fuori dai confini?
«Non è fattibile rispondere in maniera precisa, non avendo a disposizione studi e dati. È comunque possibile avere un’idea del forte interesse che la popolazione mondiale ha nei riguardi del trust, prendendo in considerazione alcune cifre riportate da un articolo dell’associazione professionale Step UK lo scorso anno. Nel 2015, nel Regno Unito, si stima siano stati amministrati fra 1,5 e 2 milioni di trust. Secondo l’Australian Tax Office, in Australia ve ne sono circa 850.000. Nel 2016, in Nuova Zelanda, risultavano registrati 11.671 trust stranieri, mentre i trust locali si attestavano tra i 300mila e i 500mila».
Paesi cui si preferisce rivolgersi?
«I trust sono diffusi in UK, Nuova Zelanda, in New Jersey per esempio. Ogni trust ha caratteristiche diverse; a seconda dei casi, si sceglie quello più favorevole».
Qual è il vantaggio del trust rispetto ad altre amministrazioni patrimoniali?
«Dipende dall’aspetto fiscale, da valutare di nazione in nazione. Di per sé, il vantaggio maggiore sta nel fatto di poter prevedere di già il diritto successorio di domani, così che il patrimonio non venga disperso magari a causa di liti familiari o altri problemi che potrebbero insorgere».
E il vantaggio di un trust svizzero? Per quali ragioni la Svizzera potrebbe diventare un mercato fertile?
«Per la lingua, la mentalità, gli ingenti patrimoni già depositati magari in banche svizzere. L’immagine di solidità offerta dalla Svizzera, le sue normative chiare permetteranno di dare garanzie riguardo a una gestione rigorosa».
Sarà la fama l’unico mezzo per attrarre capitali da fuori?
«Anzitutto, l’immagine che la Svizzera dà di sé corrisponde alla realtà. I futuri trustee, poi, sono professionisti che hanno già a che fare con imprenditori interessati all’istituto. Attendiamo l’emanazione della legge; a quel punto, con i network già noti, potremo far conoscere una nuova possibilità di gestione ed i suoi vantaggi».
Ne abbiamo fatto a meno finora. Ne abbiamo davvero bisogno?
«Anzitutto ci sarà da valutare la convenienza fiscale, specie per i residenti: su questo, sarà la decisione del Parlamento a contare. La Svizzera ha una reputazione solida quanto a garanzie, affidabilità, sicurezza. Garantisce la serietà dei controlli e una stabilità interna che permettono di stare tranquilli. Se poi il trust avrà successo, dipenderà dalle condizioni fiscali che saranno definite».
C’è un mercato che attende con altrettanta ansia e scalpita per stipulare trust in Svizzera? O è tutto da costruire pezzo per pezzo?
«A mio parere c’è. È opinione diffusa che molti stiano aspettando questo strumento. Le valutazioni del Consiglio federale, così come i pareri dei formatori che abbiamo ascoltato, citano numeri importanti del potenziale del trust in Svizzera. Si stima che circa 5.900 persone residenti in Svizzera e 21.000 all’estero siano interessati al trust e a istituti analoghi aventi legami con la Svizzera».
Quando si esaurisce il compito del trustee?
«Questa è un’altra differenza rispetto alla fondazione. Il trust ha una durata e una scadenza, definita dal contratto».
E se nel frattempo il patrimonio è male gestito?
«Il trustee è perseguibile sia dal profilo civile e che penale. Esiste inoltre una figura, il "guardiano", che, se previsto dal disponente, ne controlla l’operato, individuando comportamenti inadeguati per malafede o negligenza. Nel trust, disponenti e beneficiari hanno il diritto di verifica e controllo sulla gestione del trustee».
In caso di cattiva gestione, il trust irrevocabile resta tale?
«Il disponente per nessun motivo potrà riavere ciò cui ha rinunciato in maniera irrevocabile. Ma il trustee si può cambiare, se non onora l’impegno come dovrebbe».
E il rischio di illegittimità che rimangano sconosciute?
«Sussiste, se pensiamo a capitali di cui i beneficiari di diritto non siano a conoscenza. Si tratta però degli stessi rischi e scenari che potrebbero verificarsi in una semplice successione testamentaria».
Riciclaggio?
«Il trust è trasparente. Tutte e tre le parti devono essere note: disponente, beneficiario, trustee. L’introduzione del trust svizzero renderebbe comunque più agevole la prevenzione del riciclaggio: la vigilanza sui trustee svizzeri e sulle relative strutture sarebbe molto meno complessa da esercitare rispetto a quella attuale esercitata sui trustee stranieri».
E la provenienza del patrimonio?
«È obbligo del trustee verificarla. Deve conoscere la fonte del capitale e come è stato generato. Se arriva da una banca, la maggior parte delle verifiche sono già state fatt».
La politica, però, è pronta a discuterne.
«Siamo ancora agli inizi. Il testo arriverà in Parlamento presumibilmente in autunno».
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