In Svizzera nel 2023 per la prima volta le importazioni di formaggio hanno superato le esportazioni. Come vive il settore caseario ticinese questa situazione?
Il formaggio svizzero sta vivendo un serio periodo di crisi. Nel 2023, per la prima volta, nel nostro Paese sono stati importati più prodotti caseari di quanti ne siano stati esportati, uno scenario fino a poco fa impensabile per uno dei prodotti nostrani più apprezzati nel mondo.
Secondo quanto riportato dall’Associazione nazionale dei prodotti caseari, la causa di questa situazione risiederebbe nell’apertura del mercato del latte svizzero, avvenuta negli anni ’90 e che si è protratta fino ad oggi. L’introduzione di latte straniero ha comportato una riduzione della produzione interna, spingendo molti allevatori a cambiare il loro modello di lavoro, orientandosi verso altre tipologie di prodotti.
Ci siamo chiesti quale fosse la situazione nel contesto ticinese e abbiamo interpellato Valerio Faretti, presidente della Società ticinese di economia alpestre (STEA).
Qual è la situazione attuale del settore caseario nel Canton Ticino in relazione all’inversione di tendenza della bilancia delle importazioni riportata a livello nazionale?
«Per il Ticino non abbiamo riscontrato particolari difficoltà sotto questo aspetto, dato che l’attività di esportazione per noi è minima. Il nostro mercato è maggiormente concentrato a livello locale. Poi ci sono realtà che realizzano qualche esportazione, come il Caseificio del Gottardo, ma non si tratta comunque di grandi quantità. Al contempo, grazie all’apprezzamento ricevuto dal formaggio d’alpe ticinese D.O.P. stagionato stiamo facendo delle prove con delle vendite anche all’estero, ma per ora si tratta di tentativi molto sporadici».
C’è una dipendenza crescente dalle importazioni anche da noi?
«Il formaggio d’importazione è comunque molto diffuso in Ticino, specialmente nella grande distribuzione. Nonostante nel periodo della pandemia Covid-19 abbiamo avuto un forte aumento di produzione e di smercio dei nostri prodotti locali, ora siamo tornati più o meno ai livelli del 2019. Un altro aspetto da considerare è che in Svizzera abbiamo molta popolazione residente straniera con abitudini alimentari diverse, e questo influenza il nostro mercato. Poi c’è la questione economica: il formaggio che viene importato ha un costo e un prezzo di vendita molto più basso, trattandosi di produzioni industriali. In Ticino invece ci sono realtà più piccole e familiari che producono merce di qualità, anche a costo di notevoli sforzi e impieghi di manodopera molto più dispendiosi».
La riduzione della produzione interna di formaggi ha influenzato gli allevatori e le loro abitudini di lavoro?
«I metodi di produzione tradizionali sono ancora molto diffusi, soprattutto nella zona degli alpeggi. Questo per garantire prodotti d’eccellenza, anche a livello svizzero. E’ un altro aspetto che causa un prezzo più alto. Tuttavia, i grandi guadagni sono tutti dalla parte della grande distribuzione, grazie ai costi contenuti. Ciò che ha portato alcune aziende agricole a cambiare direzione sono stati i margini troppo limitati. In questo periodo sta per esempio calando la produzione di latte nel nostro territorio, per cui sempre più allevatori investono sulle vacche nutrici o nel bestiame da ingrasso piuttosto che in mucche da latte».
Quali sono le principali sfide che i produttori di formaggi ticinesi affrontano al momento?
«In Ticino, così come in Svizzera, il grande problema è il prezzo del latte. Oggi viene pagato quasi la metà di quello che servirebbe ai produttori. Con 50 centesimi al litro di latte, l’allevatore non può sostenere la propria attività. Il periodo di crisi economica, ha toccato sia noi che i consumatori, per cui la gente cerca il prodotto a basso prezzo piuttosto che quello di qualità. Allo stesso tempo noi non possiamo adattarci svendendo i nostri prodotti, quel poco che si guadagna andrebbe perso. Certamente gli agricoltori possono godere di vari sussidi, ma questi sono più che dovuti poiché l’agricoltura contribuisce anche in altri settori, ad esempio mantiene il territorio in buono stato facilitando la vita al turismo. Per cui la decadenza del nostro settore si ripercuoterebbe su tutti».
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L’apertura del mercato del latte estero in Svizzera ha influenzato anche la produzione di formaggi nel nostro cantone?
«Si dice che il latte svizzero non sia abbastanza per soddisfare i fabbisogni della popolazione. Si importano quindi prodotti dall’estero perché costano meno. Così facendo però non si salvaguardano gli interessi dell’agricoltura svizzera. Anche la politica agricola ha fatto degli sbagli e continua a farli. Secondo me ci sarebbe bisogno di chiudere un po’ di più i confini, commercialmente parlando, altrimenti sempre meno acquirenti compreranno latte di produzione elvetica, e i produttori locali non potrebbero andare avanti».
Come si differenziano i formaggi nostrani rispetto a quelli provenienti da altre regioni svizzere o dall’estero?
«Essenzialmente si tratta di prodotti di maggior qualità. Il nostro formaggio d’alpe è molto apprezzato, come dimostrato in molte fiere nella Svizzera interna. Quando viene stagionato come si deve riesce ad avere qualcosa in più a livello di gusto di molti prodotti sia svizzeri che internazionali».
Quali sono i progetti o le strategie che si stanno attuando per promuovere la produzione e la vendita di formaggi ticinesi?
«Insieme alle altre associazioni di settore abbiamo un progetto di sviluppo regionale dove si vuole far stagionare di più il formaggio, almeno per 10 mesi. Questo verrebbe poi venduto in Svizzera interna, anche nella grande distribuzione, cominciando a esplorare nuove interessanti aperture di mercato. Se il progetto andrà in porto, in teoria entro fine anno, avremo la possibilità di aumentare la produzione fino a 9/10mila forme di formaggio in più. Ciò potrebbe rilanciarci anche nel mercato estero, ma questo si vedrà più avanti. C’è poi il progetto Blenio Plus, per costruire un nuovo caseificio nella Valle. Qui verrebbero prodotti formaggi più speciali e ricercati. Inoltre, siamo molto soddisfatti del recente appoggio che il Cantone ci sta dando. L’imminente inscrizione come “Bene Immateriale dell’UNESCO” della stagione alpestre Svizzera è un altro motivo in più per cercare di tenere i prezzi “alti” come dovrebbero».
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