In Svizzera il 59% delle donne lavora a tempo parziale. E ora che la popolazione invecchia sempre di più, la popolazione femminile sottoccupata potrebbe essere una risorsa da sfruttare. Ma come?
L’invecchiamento della popolazione non lascia scampo al mercato del lavoro che da qui a 10 anni potrebbe assistere alla contrazione di decine di migliaia di persone che lasceranno aziende e imprese per andare in pensione. Una delle risposte a questa necessità, secondo lo studio commissionato dall’Associazione industrie ticinesi (Aiti) alla Scuola universitaria della Svizzera Italiana (Supsi), consiste nel far lavorare di più le persone sottoccupate, ovvero quella categoria di lavoratori e lavoratrici intenzionati a incrementare la loro percentuale di collaborazione ma che di fatto non riescono. In questa categoria il 16% è rappresentato dalle donne che lavorano in Canton Ticino, per la Supsi una potenziale risorsa a cui attingere nel futuro per far fronte alla penuria di forza lavoro.
Questo dato se contestualizzato alla Svizzera trova riscontro in quanto pubblicato dall’Ufficio federale di statistica (Ust) che mostra come nel 2020 6 donne su 10, ovvero il 59%, lavoravano a tempo parziale. Per gli uomini i valori cambiano, si parla del 18,3%, quindi meno di 2 uomini su 10, aveva scelto di lavorare di meno.
Ma quali sono le ragioni per cui le lavoratrici scelgono di abbandonare o lasciare il mercato del lavoro? «È difficile conoscere le motivazioni che spingono le donne a uscire dal mercato del lavoro - spiega Rachele Santoro, Delegata per le pari opportunità del Cantone Ticino - spesso sono registrate come disoccupate, quindi in cerca di lavoro; altre volte invece sono inattive e non cercando un nuovo impiego, si pongono automaticamente al di fuori delle statistiche pubbliche. Tuttavia a causa della pandemia, è stato registrato sia la riduzione della percentuale di lavoro sia l’abbandono dell’impiego da parte delle lavoratrici».
Le cause?
«In questo caso sono state ricondotte alla difficile conciliazione tra sfera lavorativa e familiare. Questi risultati trovano riscontro nel Barometro nazionale sull’uguaglianza pubblicato nel 2021 da parte della Conferenza svizzera delle delegate alla parità e in uno studio diffuso lo scorso marzo dalla Società di consulenza PwC. Dall’indagine emerge che in Europa, secondo l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Ocse), le donne che si sono assunte la responsabilità di cura e abbandonando l’attività professionale durante il lockdown sono state tre volte più numerose».
Si evince dunque una maggiore predisposizione da parte della donna nel farsi carico dei bisogni familiari che implica l’abbandono del mondo del lavoro. La mancanza di servizi incide?
«I fattori che inducono le donne ad abbandonare il mondo del lavoro sono diversi. Sicuramente, la difficoltà nel conciliare le due sfere lavoro-famiglia è uno di questi, anche perché ancora oggi l’onere spetta principalmente alle donne. Per agevolare le famiglie sarebbe necessario avere a disposizione dei servizi in prossimità del posto di lavoro o del domicilio. Ma i dati statistici ci dicono di più: le nuove generazioni vorrebbero che donne e uomini abbiano la possibilità di scegliere se ridurre o meno le proprie percentuali di lavoro, proprio per spartirsi equamente le incombenze familiari. Un’opportunità che al genere maschile spesso ancora oggi viene negata».
Per quanto riguarda l’aspetto lavorativo ci sono delle soluzioni per rendere tutto più flessibile?
«È importante lavorare sulle intenzioni delle aziende per trovare soluzioni che vadano incontro sia alle esigenze del datore di lavoro sia a quelle del lavoratore e della lavoratrice.
Nel Canton Ticino, dove il tessuto economico è costituito principalmente da piccole e medie imprese, si nota che i datori di lavoro fanno più fatica a trovare soluzioni flessibili a livello logistico e organizzativo. Le soluzioni ci sono e possono essere date attraverso la flessibilizzazione delle condizioni lavorative, come ad esempio la concessione di orari flessibili, il telelavoro il lavoro a tempo parziale, ecc. Inoltre, da poco è stato introdotto un criterio sulla responsabilità sociale per le imprese, il quale integra anche alcuni elementi relativi al miglioramento della conciliabilità lavoro-famiglia. Le aziende che introducono condizioni di lavoro socialmente responsabili possono ottenere dei vantaggi competitivi a livello di commesse pubbliche. Rappresenta un sistema di incentivi per spingere le aziende a innovarsi e ad adottare una gestione del lavoro socialmente responsabile».
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Ci sono delle aziende in Ticino che si sono mostrate più sensibili a questa tematica?
«Si tratta soprattutto di grandi aziende come la SUPSI che ha predisposto all’interno dei suoi campus dei nidi aziendali, a disposizione non solo di collaboratrici e collaboratori, ma anche di studentesse e studenti.
Oppure aziende internazionali: è il caso di Ikea che già nei Paesi nordici ha dato avvio a condizioni di lavoro flessibili, arrivate poi anche in Ticino. Esempi ce ne sono, ma è anche vero che fanno riferimento quasi esclusivamente a grandi realtà. Tuttavia, con la pandemia il telelavoro ha cambiato per forza di cose le condizioni lavorative di molte aziende e questo ha permesso anche alle piccole imprese ticinesi di innovarsi».
La presenza di asili nido all’interno o nelle vicinanze delle aziende riduce l’abbandono al rientro dalla maternità?
«Su questo tema non abbiamo dei dati statistici oggettivi a disposizione. È chiaro che quando da parte del datore di lavoro ci sono tutta una serie di garanzie, si arriva meno facilmente a decidere di abbandonare il posto di lavoro. La possibilità di ridurre la percentuale lavorativa o di usufruire di strutture di accoglienza favoriscono il mantenimento dell’impiego anche al rientro dal congedo per nascita. Quando invece la realtà per cui si lavora è più rigida oppure si vive in posti lontani dai centri urbani e diventa difficile gestire la custodia dei figli, ecco che a causa di difficoltà logistiche-organizzative si rinuncia totalmente o parzialmente al posto di lavoro, almeno per un periodo».
Il fenomeno dell’abbandono del mercato del lavoro da parte delle donne si è ridotto rispetto al passato?
«In Cantone Ticino l’andamento risulta essere stabile. Come detto prima, con la pandemia di Covid c’è stato un aumento dell’abbandono del posto di lavoro o la riduzione della percentuale lavorativa in misura maggioritaria da parte delle donne. Ma abbiamo anche un altro dato a disposizione che riguarda le persone sottoccupate, cioè coloro che vorrebbero lavorare di più. Dalla statistica emerge che dei lavoratori impiegati a tempo parziale, il 32% sono sottoccupati e di questi il 22% è rappresentato dalle donne, mentre il restante 10% dagli uomini. È chiaro che questo fenomeno colpisce maggiormente le lavoratrici ed è un dato che lascia intuire il persistere della presenza di problemi di collocamento professionale».
Cosa sta facendo il Cantone per rispondere a queste esigenze?
«Il Cantone già da qualche anno ha dato una prima risposta strategica attraverso la Riforma fiscale sociale: un messaggio che il Canton Ticino ha adottato nel 2017. In questo ambito, è stata lanciata la piattaforma “Vita-Lavoro” tramite cui le aziende che desiderano implementare progetti di conciliabilità lavoro-famiglia, come per esempio creare degli asili nido tra più aziende o in zone lontane dai centri urbani o fare un investimento interno all’azienda per il telelavoro, possono ricevere degli incentivi finanziari per la realizzazione del progetto. È pur vero che le aziende si confrontano con l’ostacolo del tempo e spesso diventa difficile assumere un ruolo proattivo nella promozione di questi progetti.
Inoltre a seguito della pandemia il Consiglio di Stato ha istituito un Gruppo strategico per il rilancio del Paese, nel quale è inserito a sua volta il gruppo “Economia e genere”. Lo scopo consiste nell’adottare misure atte a promuovere la parità nel settore professionale-economico, per evitare la ricaduta degli effetti della pandemia sulla popolazione femminile».
Quanto pesa il fattore culturale?
«Sicuramente è un aspetto da tenere in considerazione. Se confrontiamo il Canton Ticino con il resto della Svizzera, vediamo che la percentuale di donne occupate a tempo parziale è più elevata rispetto alle altre regioni svizzere. Spesso in Ticino ci si affida alla custodia da parte di famigliari, quando nel resto della Svizzera si lasciano i bambini in custodia ai nidi».
Il costo dei servizi scoraggia ad utilizzarli?
«Nella scelta di una famiglia tra decidere quanto lavorare e quanto usufruire dei servizi di custodia, l’elemento dei costi è un fattore molto importante ed è quindi importante disporre di una strategia di sostegno alle famiglie. A livello federale si stanno proponendo dei provvedimenti per aumentare gli aiuti diretti alle famiglie al fine di ridurre l’impatto economico sul budget familiare, ma è pur vero che i tempi della politica spesso sono lunghi».
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